sabato 4 marzo 2017

LA MORTE DI DJ FABO: distinguere per capire meglio

Sul suicidio di Dj Fabo si è scritto molto “a caldo” (l’ho fatto anch’io in un editoriale su «Avvenire» del 28 febbraio), ma forse proprio questa sovrabbondanza di reazioni immediate rende utile una pausa di riflessione più pacata. Essa ci consente, infatti, di distinguere, nella questione,  livelli diversi che spesso, nella sovrabbondante produzione giornalistica di questi giorni,  sono stati sovrapposti e confusi.

Il primo è quello squisitamente umano. Il dramma di un uomo di 39 anni cieco e paralizzato, che percepisce la propria condizione, per usare le sue parole,  come «un inferno di dolore», non si può ridurre a un “caso” etico o giuridico. Di fronte ad esso ogni giudizio – anzi ogni discorso –  suona fuori luogo. Il solo atteggiamento adeguato è il silenzio. Nessuno ha il diritto di condannare questo fratello che ha molto sofferto. Chi è credente, può pregare per lui. Chi non lo è, rinunzierà comunque a ingabbiare il suo gesto in una categoria precostituita.

Forse proprio per questo – passo al secondo livello, che concerne l’aspetto culturale della vicenda – mi ha disturbato  vedere trasformare un’angosciosa esperienza personale in una bandiera ideologica. La tragica fine di Dj Fabo è stata annunciata, accompagnata e seguita da proclami che hanno cercato, con successo, di usarla per colpire emotivamente l’opinione pubblica. Si dirà che lo si è fatto per promuovere una giusta causa. Sospendendo per ora la valutazione sul giusto e sull’ingiusto, mi sembra che ridurre la morte di un uomo malato a uno spettacolo – sullo stesso piano dei tanti che il pubblico avidamente consuma, per poi dimenticarli –  possa servire a far vincere una battaglia politico-giuridica, ma è comunque una sconfitta dal punto di vista  culturale, perché banalizza ciò che si pretende di voler salvaguardare, la dignità e il mistero dell’essere umano. In quest’ottica, mi pongo tra coloro che, pur contrari all’aborto, si rifiutano di combatterlo ricorrendo a filmati o fotografie raccapriccianti.

Ma c’è un terzo livello che ci porta più vicini al cuore della questione, ed è quello, per così dire, filosofico. Si è sentito ripetere in continuazione, in questi giorni, che va riconosciuto a tutti il diritto di decidere della propria vita senza doverne rendere conto a nessuno, meno che mai alla comunità civile. In questo modo, però, la profonda, sofferta comprensione per il drammatico gesto di Dj Fabo viene incanalata in un preciso alveo di pensiero, che da più di trecento anni domina la civiltà occidentale e che definisce l’essere umano  nella logica di un “individualismo possessivo”.....

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