domenica 31 dicembre 2017

PAPA FRANCESCO A CHIUSURA DELL'ANNO: GRATITUDINE E RESPONSABILITA'

" ..... In questa atmosfera creata dallo Spirito Santo, noi eleviamo a Dio il rendimento di grazie per l’anno che volge al termine, riconoscendo che tutto il bene è dono suo.

Anche questo tempo dell’anno 2017, che Dio ci aveva donato integro e sano, noi umani l’abbiamo in tanti modi sciupato e ferito con opere di morte, con menzogne e ingiustizie. Le guerre sono il segno flagrante di questo orgoglio recidivo e assurdo. Ma lo sono anche tutte le piccole e grandi offese alla vita, alla verità, alla fraternità, che causano molteplici forme di degrado umano, sociale e ambientale. Di tutto vogliamo e dobbiamo assumerci, davanti a Dio, ai fratelli e al creato, la nostra responsabilità.

Ma questa sera prevale la grazia di Gesù e il suo riflesso in Maria. E prevale perciò la gratitudine, che, come Vescovo di Roma, sento nell’animo pensando alla gente che vive con cuore aperto in questa città.

Provo un senso di simpatia e di gratitudine per tutte quelle persone che ogni giorno contribuiscono con piccoli ma preziosi gesti concreti al bene di Roma: cercano di compiere al meglio il loro dovere, si muovono nel traffico con criterio e prudenza, rispettano i luoghi pubblici e segnalano le cose che non vanno, stanno attenti alle persone anziane o in difficoltà, e così via. Questi e mille altri comportamenti esprimono concretamente l’amore per la città. Senza discorsi, senza pubblicità, ma con uno stile di educazione civica praticata nel quotidiano. E così cooperano silenziosamente al bene comune.

Ugualmente sento in me una grande stima per i genitori, gli insegnanti e tutti gli educatori che, con questo medesimo stile, cercano di formare i bambini e i ragazzi al senso civico, a un’etica della responsabilità, educandoli a sentirsi parte, a prendersi cura, a interessarsi della realtà che li circonda.... ".
Papa Francesco

sabato 30 dicembre 2017

TI AUGURO TEMPO ... BUONO

NON TI AUGURO UN DONO QUALSIASI,

ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti e non soltanto per guadarlo sull'orologio.
Ti auguro tempo per guardare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.

1° gennaio 2018 - GIORNATA MONDIALE DELLA PACE - Messaggio di Papa Francesco


MESSAGGIO 
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO

PER LA CELEBRAZIONE DELLA 
LI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2018

Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace



1. Augurio di pace
Pace a tutte le persone e a tutte le nazioni della terra! La pace, che gli angeli annunciano ai pastori nella notte di Natale,[1] è un’aspirazione profonda di tutte le persone e di tutti i popoli, soprattutto di quanti più duramente ne patiscono la mancanza. Tra questi, che porto nei miei pensieri e nella mia preghiera, voglio ancora una volta ricordare gli oltre 250 milioni di migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati. Questi ultimi, come affermò il mio amato predecessore Benedetto XVI, «sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace».[2] Per trovarlo, molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta.
Con spirito di misericordia, abbracciamo tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale.
Siamo consapevoli che aprire i nostri cuori alla sofferenza altrui non basta. Ci sarà molto da fare prima che i nostri fratelli e le nostre sorelle possano tornare a vivere in pace in una casa sicura. Accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate. Praticando la virtù della prudenza, i governanti sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, «nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento».[3] Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare.[4]
2. Perché così tanti rifugiati e migranti?
In vista del Grande Giubileo per i 2000 anni dall’annuncio di pace degli angeli a Betlemme, San Giovanni Paolo II annoverò il crescente numero di profughi tra le conseguenze di «una interminabile e orrenda sequela di guerre, di conflitti, di genocidi, di “pulizie etniche”»,[5] che avevano segnato il XX secolo. Quello nuovo non ha finora registrato una vera svolta: i conflitti armati e le altre forme di violenza organizzata continuano a provocare spostamenti di popolazione all’interno dei confini nazionali e oltre.
Ma le persone migrano anche per altre ragioni, prima fra tutte il «desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la “disperazione” di un futuro impossibile da costruire».[6] Si parte per ricongiungersi alla propria famiglia, per trovare opportunità di lavoro o di istruzione: chi non può godere di questi diritti, non vive in pace. Inoltre, come ho sottolineato nell’Enciclica Laudato si’, «è tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale».[7] ......

LA VECCHIAIA DEL MONDO E L'ETERNA GIOVINEZZA DI DIO


VANGELO DELLA DOMENICA
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
 Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. [...]
   
    Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia col suo primo bambino arriva portando la povera offerta dei poveri, due tortore, e la più preziosa offerta del mondo: un bambino. Non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna si contendono il bambino. Sulle braccia dei due anziani, riempito di carezze e di sorrisi, passa dall'uno all'altro il futuro del mondo: la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l'eterna giovinezza di Dio.
       Il piccolo bambino è accolto non dagli uomini delle istituzioni, ma da un anziano e un'anziana senza ruolo ufficiale, però due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. Perché Gesù non appartiene all'istituzione, ma all'umanità. L'incarnazione è Dio che tracima dovunque nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce.
      «È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, a quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come la profetessa Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro» (M. Marcolini). Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia.
      Sono parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io, noi, le conservassimo nel cuore: anche tu, come Simeone, non morirai senza aver visto il Signore. È speranza. È parola di Dio. La tua vita non finirà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per te il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire.
       Io non morirò senza aver visto l'offensiva di Dio, l'offensiva del bene, l'offensiva della luce che è già in atto dovunque, l'offensiva del lievito. Poi Simeone canta: ho visto la luce da te preparata per tutti. Ma quale luce emana da Gesù, da questo piccolo figlio della terra che sa solo piangere e succhiare il latte e sorridere agli abbracci? Simeone ha colto l'essenziale: la luce di Dio è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata, amore in ogni amore.
         La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall'uomo, è qui adesso, mescola la sua vita alle nostre vite e nulla mai ci potrà più separare. Tornarono quindi alla loro casa. E il Bambino cresceva e la grazia di Dio era su di lui. 
         Tornarono alla santità, alla profezia e al magistero della famiglia, che vengono prima di quelli del tempio. Alla famiglia che è santa perché la vita e l'amore vi celebrano la loro festa, e ne fanno la più viva fessura e feritoia dell'infinito.

(Letture: Genesi 15,1-6; 21,1-3; Salmo 104; Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2,22-40)
  
Ermes Ronchi
 

(tratto da www.avvenire.it)

UN ANNO NUOVO .... MEMORIA E SPERANZA

L’anno che viene non è un tuffo nel buio.
 È la memoria il vero motore di speranza

«Ogni fine anno ci affacciamo all’inizio di quello nuovo, con una strana speranza, con tanti piccoli e grandi propositi». Abbiamo scritta dentro una tensione, un’attesa istintiva di vita. E Benedetto XVI invitava ad «avere memoria della bontà di Dio»

Mi ha sempre meravigliato, nella notte di Capodanno, il vedere come anche nei luoghi e nelle case dei più poveri e sfortunati si festeggi: quanto si attenda con ansia lo scoccare dell’anno nuovo, e come in un gran rito collettivo si marchi questo passaggio con brindisi, e fuochi d’artificio, e tappi di bottiglie che saltano con un botto, lasciando andare generoso lo spumante. Ho sempre osservato queste feste, cui pure partecipavo, con una tacita domanda che è in fondo la stessa posta dalla lettrice: sapendo cosa riserva la realtà, come si fa, ogni anno, a sperare ancora?
Indubbiamente, mi sono detta crescendo, abita gli uomini una tenace testarda speranza. Abbiamo scritta dentro una tensione, un’attesa istintiva di vita; e per quanto provati o messi alle corde, risorge sempre la speranza che i giorni a venire siano migliori. È una speranza che può virare anche sull'irrazionale, e che qualcuno, e anzi molti, alimentano leggendo oroscopi, che scrutino nel futuro e annuncino abbondanza.
Allora quell'istinto naturale di vita può cadere nell'illusione, nell'autoinganno.
Ma come si fa invece, davanti al calendario nuovo e immacolato, a nutrire una speranza che sia cristiana e realistica? Anni fa, nell'ottobre 2011, Benedetto XVI in un’Udienza parlò del rapporto tra memoria e speranza. Misi da parte quel testo. Benedetto partiva dal Salmo 136, il Grande Hallel, quello che viene cantato al termine della Pasqua ebraica ed è un inno di lode e grazie a Dio per ciò che ha fatto per Israele. La struttura fondante del Salmo, spiegava il Papa, è che «Israele si ricorda della bontà del Signore. In questa storia ci sono tante valli oscure, ci sono tanti passaggi di difficoltà e di morte, ma Israele si ricorda che Dio era buono e può sopravvivere in questa valle oscura, in questa valle della morte, perché si ricorda. Ha la memoria della bontà del Signore, della sua potenza; la sua misericordia vale in eterno».
E questo, aggiungeva Benedetto, è importante anche per noi: avere memoria della bontà di Dio: «La memoria diventa forza della speranza. La memoria ci dice: Dio c’è, Dio è buono, eterna è la sua misericordia. E così la memoria apre, anche nell’oscurità di un giorno, di un tempo, la strada verso il futuro: è luce e stella che ci guida». Imparare dunque a fare memoria di tutto il bene che ci è stato dato nella nostra vita: madre e padre, famiglia, amici, insegnanti, lavoro, malattie e guarigioni, sconfitte e rinascite, e via via tutti i volti e le circostanze che ci hanno accompagnato, anche nel dolore. Ripercorrendo la nostra storia possiamo ricostruire la trama sottesa di un disegno che ci ha condotto. Riconoscendo quel percorso come in filigrana comprendiamo che possiamo fidarci, e affidarci. Che l’anno che viene, sconosciuto, non è un tuffo nel buio, ma l’andare verso il compimento di noi. Così la memoria diventa realmente motore di speranza. Autentica, però, e fortemente radicata: non attesa superstiziosa che si culla nel frastuono dei fuochi d’artificio. Quei botti della mezzanotte, che mi hanno sempre fatto pensare a bambini che fanno rumore, perché hanno paura del buio.Marina Corradi


 
 

martedì 19 dicembre 2017

MASCHIO o FEMMINA. QUALE IDENTITÀ' ?

IL SIGNIFICATO DELL'IDENTITA' 

       Il libro di Francesco Pesce, “Due Nessuno Centomila. Genere, gender e differenza sessuale” (EDB, 2017), spiega le varie declinazioni del termine “gender” nei vari contesti.
        Quante volte, in questi ultimi anni, abbiamo sentito parlare di gender? Troppo o troppo poco? 
      C’è chi minimizza il problema e c’è chi non perde l’occasione per proiettare paure e catastrofi imminenti attaccando tutto e tutti. Ognuno faccia le proprie considerazioni. Una cosa però è certa: oggi, come ricorda Papa Francesco, non siamo di fronte ad un’epoca di cambiamenti ma ad un cambiamento d’epoca. 
     Libri sull’argomento (gender) ne sono stati pubblicati molti negli ultimi anni, ma la distinzione va fatta all’origine: con questo termine si indicano, da una parte, i cosiddetti “Gender studies” (studi di genere) che cercano di approfondire il significato dell’identità maschile e dell’identità femminile; dall’altra, invece, l’ideologia gender tenta di promuovere un’idea di identità slegata dal corpo, dalle relazioni, dalla storia, dal contesto e, perciò, tutta incentrata sul soggetto stesso. 
      Segnalo un interessante e sintetico libro sull’argomento scritto da Francesco Pesce, dal titolo “Due Nessuno Centomila. Genere, gender e differenza sessuale” (2017, Edizioni Dehoniane Bologna). 
      L’autore precisa subito che, data l’ambiguità di significato della parola “gender”, bisogna fare molta attenzione ai contesti in cui viene utilizzata. Infatti la frase “il gender (o la teoria del gender) non esiste” può essere vera o falsa a seconda del contesto in cui viene pronunciata. Se ci troviamo nell’ambito scientifico, tale cosiddetta “teoria” risulta non documentata e perciò irrilevante. In un dialogo tra genitori all’uscita di una scuola, la stessa frase potrebbe essere falsa: per rendersene conto, basta leggere qualche titolo di giornale o guardare agli incontri organizzati in classe per la distribuzione di alcuni “libretti”. Quindi bisogna fare molta attenzione. 
        Uno degli spunti più interessanti offerti dall’autore è il capitolo che cerca di individuare le cause di questa ideologia. E se fosse per paura di un sereno confronto con l’altro? Mi spiego meglio. La domanda dalla quale si parte è la seguente: perché cercare nell’altro l’identico a sé? Nella Bibbia possiamo leggere «voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». 
     Richiamando Enzo Bianchi, potremmo dire che «l’uomo e la donna sono, infatti, l’uno per l’altro, ma al tempo stesso l’uomo è un problema per la donna e la donna per l’uomo». La donna è un aiuto per l’uomo proprio perché è di fronte a lui e contro di lui (e viceversa): l’altro modo di pensare mi è di aiuto proprio perché mi è contro, perché non posso esserne il padrone, perché resta un mistero, e mi spinge oltre me. 
     L’altro/a è un mondo che sfugge alla presa: per incontrarlo sono chiamato a dominare l’animalità interiore. Per tale motivo la differenza sessuale è impegnativa, spinge l’altro ad una presa di coscienza oppure a… scappare. 
     L’altro sesso mette le persone alla pari, le fa uscire da sé, provoca a diventare adulti. Le relazione (uomo-donna) permette di decentrarsi, perché fa fare i conti con un mondo differente, completamente altro: un altro modo di vedere la realtà. 
     Con Gilles Bernheim (rabbino di Francia), possiamo dire che: «Ogni persona è portata, prima o poi, a riconoscere che possiede solo una delle due varianti fondamentali dell’umanità e che l’altra le sarà per sempre inaccessibile. La differenza sessuale è quindi un segno della nostra finitezza. Io non sono tutto l’umano. Un essere sessuato non è la totalità della sua specie, ha bisogno di un essere dell’altro sesso per produrre il suo simile». 
     Allontanandoci dall’altro sesso ci si allontana, sostanzialmente, dalla possibilità feconda di diventare genitori, con tutto quello che comporta la relazione uomo-donna. Cercare, come si fa oggi, il neutro, l’ibrido, l’androgino, l’unisex fino ad arrivare al “queer” (termine che indica le persone che non si riconoscono in nessun genere) può essere un modo di evitare la fatica della differenza sessuale. 
     Conseguenza? Ci si snatura per non affrontare, consapevolmente, l’altro sesso e per non confrontarsi con la natura del nostro essere persone di sesso maschile o femminile. Comunque la si pensi, occorre convenire che ci troviamo di fronte a problematiche di scottante attualità con cui, o prima o poi, dovremo fare i conti. 

Domenico De Angelis

domenica 10 dicembre 2017

LA NOSTRA VITA SIA UN CANTO DI GIOIA E DI SPERANZA


“Il cristiano è un uomo e una donna di gioia.
Questo ci insegna Gesù, ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera speciale. Che cosa è, questa gioia? E’ l’allegria? No: non è lo stesso. L’allegria è buona, eh?, rallegrarsi è buono. Ma la gioia è di più, è un’altra cosa. E’ una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. E’ un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, no?, tutto è allegria … no. La gioia è un’altra cosa.  
La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. E’ come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”.L’uomo gioioso, ha proseguito, è un uomo sicuro. Sicuro che “Gesù è con noi, che Gesù è con il Padre”. Ma questa gioia, si chiede il Papa, possiamo “imbottigliarla un po’, per averla sempre con noi?”:“No, perché se noi vogliamo avere questa gioia soltanto per noi alla fine si ammala e il nostro cuore diviene un po’ stropicciato, e la nostra faccia non trasmette quella gioia grande ma quella nostalgia, quella malinconia che non è sana. Alcune volte questi cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncini all’aceto che proprio di gioiosi che hanno una vita bella. La gioia non può diventare ferma: deve andare.
La gioia è una virtù pellegrina. E’ un dono che cammina, che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga la strada e allarga la strada. E’ proprio una virtù dei grandi, di quei grandi che sono al di sopra delle pochezze, che sono al di sopra di queste piccolezze umane, che non si lasciano coinvolgere in quelle piccole cose interne della comunità, della Chiesa: guardano sempre all’orizzonte”.
Il cristiano canta con la gioia, e cammina, e porta questa gioia.
E’ una virtù del cammino, anzi più che una virtù è un dono: “E’ il dono che ci porta alla virtù della magnanimità. Il cristiano è magnanimo, non può essere pusillanime: è magnanimo. E proprio la magnanimità è la virtù del respiro, è la virtù di andare sempre avanti, ma con quello spirito pieno dello Spirito Santo.
E’ una grazia che dobbiamo chiedere al Signore, la gioia. In questi giorni in modo speciale, perché la Chiesa si invita, la Chiesa ci invita a chiedere la gioia e anche il desiderio: quello che porta avanti la vita del cristiano è il desiderio. Quanto più grande è il tuo desiderio, tanto più grande verrà la gioia. Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita.
Chiediamo al Signore questa grazia, questo dono dello Spirito: la gioia cristiana. Lontana dalla tristezza, lontana dall’allegria semplice … è un’altra cosa. E’ una grazia da chiedere.

lunedì 2 ottobre 2017

LA NOBILTA' DI AGIRE INSIEME PER COSTRUIRE IL BENE COMUNE


AL SERVIZIO DEL BENE COMUNE

Un messaggio chiaro e "forte" 
che interpella tutti:
 istituzioni, politici, amministratori, 
responsabili di associazioni e comunità, 
 aspiranti amministratori 

aspiranti ad altri 
incarichi di responsabilità, 
                                                                   singoli cittadini ....

PAPA FRANCESCO:  " ...... Da secoli questa Piazza costituisce il punto d’incontro dei cittadini e l’ambito dove si svolge il mercato. Essa merita dunque il suo nome: Piazza del Popolo, o semplicemente “la Piazza”, perché è del popolo, spazio pubblico in cui si prendono decisioni rilevanti per la città nel suo Palazzo Comunale e si avviano iniziative economiche e sociali. La piazza è un luogo emblematico, dove le aspirazioni dei singoli si confrontano con le esigenze, le aspettative e i sogni dell’intera cittadinanza; dove i gruppi particolari prendono coscienza che i loro desideri vanno armonizzati con quelli della collettività. Io direi – permettetemi l’immagine –: in questa piazza si “impasta” il bene comune di tutti, qui si lavora per il bene comune di tutti. Questa armonizzazione dei desideri propri con quelli della comunità fa il bene comune. In questa piazza si apprende che, senza perseguire con costanza, impegno e intelligenza il bene comune, nemmeno i singoli potranno usufruire dei loro diritti e realizzare le loro più nobili aspirazioni, perché verrebbe meno lo spazio ordinato e civile in cui vivere e operare.
La centralità della piazza manda dunque il messaggio che è essenziale lavorare tutti insieme per il bene comuneE’ questa la base del buon governo della città, che la rende bella, sana e accogliente, crocevia di iniziative e motore di uno sviluppo sostenibile e integrale.
Questa piazza, come tutte le altre piazze d’Italia, richiama la necessità, per la vita della comunità, della buona politica; non di quella asservita alle ambizioni individuali o alla prepotenza di fazioni o centri di interessi. Una politica che non sia né serva né padrona, ma amica e collaboratrice; non paurosa o avventata, ma responsabile e quindi coraggiosa e prudente nello stesso tempo; che faccia crescere il coinvolgimento delle persone, la loro progressiva inclusione e partecipazione; che non lasci ai margini alcune categorie, che non saccheggi e inquini le risorse naturali – esse infatti non sono un pozzo senza fondo ma un tesoro donatoci da Dio perché lo usiamo con rispetto e intelligenza. Una politica che sappia armonizzare le legittime aspirazioni dei singoli e dei gruppi tenendo il timone ben saldo sull’interesse dell’intera cittadinanza.
Questo è il volto autentico della politica e la sua ragion d’essere: un servizio inestimabile al bene all’intera collettività. E questo è il motivo per cui la dottrina sociale della Chiesa la considera una nobile forma di carità. Invito perciò giovani e meno giovani a prepararsi adeguatamente e impegnarsi personalmente in questo campo, assumendo fin dall’inizio la prospettiva del bene comune e respingendo ogni anche minima forma di corruzione. La corruzione è il tarlo della vocazione politica. La corruzione non lascia crescere la civiltà. E il buon politico ha anche la propria croce quando vuole essere buono perché deve lasciare tante volte le sue idee personali per prendere le iniziative degli altri e armonizzarle, accomunarle, perché sia proprio il bene comune ad essere portato avanti. In questo senso il buon politico finisce sempre per essere un “martire” al servizio, perché lascia le proprie idee ma non le abbandona, le mette in discussione con tutti per andare verso il bene comune, e questo è molto bello.
Da questa piazza vi invito a considerare la nobiltà dell’agire politico in nome e a favore del popolo, che si riconosce in una storia e in valori condivisi e chiede tranquillità di vita e sviluppo ordinato. Vi invito ad esigere dai protagonisti della vita pubblica coerenza d’impegno, preparazione, rettitudine morale, capacità d’iniziativa, longanimità, pazienza e forza d’animo nell’affrontare le sfide di oggi, senza tuttavia pretendere un’impossibile perfezione. E quando il politico sbaglia, abbia la grandezza d’animo di dire: “Ho sbagliato, scusatemi, andiamo avanti”. E questo è nobile! Le vicende umane e storiche e la complessità dei problemi non permettono di risolvere tutto e subito. La bacchetta magica non funziona in politica. Un sano realismo sa che anche la migliore classe dirigente non può risolvere in un baleno tutte le questioni. Per rendersene conto basta provare ad agire di persona invece di limitarsi a osservare e criticare dal balcone l’operato degli altri. E questo è un difetto, quando le critiche non sono costruttive. Se il politico sbaglia, vai a dirglielo, ci sono tanti modi di dirlo: “Ma, credo che questo sarebbe meglio così, così…”. Attraverso la stampa, la radio… Ma dirlo costruttivamente. E non guardare dal balcone, osservarla dal balcone aspettando che lui fallisca. No, questo non costruisce la civiltà. Si troverà in tal modo la forza di assumersi le responsabilità che ci competono, comprendendo al tempo stesso che, pur con l’aiuto di Dio e la collaborazione degli uomini, accadrà comunque di commettere degli sbagli. Tutti sbagliamo. “Scusatemi, ho sbagliato. Riprendo la strada giusta e vado avanti”. ........ "

sabato 30 settembre 2017

JAMBOREE ON THE AIR - ON THE INTERNET

JOTA-JOTI is the largest Scouting event in the world with over 1 million Scouts participating across 150+ countries.
The event is held the third weekend of October – 20th, 21st & 22nd October 2017 – Celebrating 60 Years Connecting Scouts.
This is the official World Organization of the Scout Movement website for JOTA-JOTI.

giovedì 21 settembre 2017

EDUCARE ALLA SPERANZA


  • La speranza è la virtù di un cuore che non si chiude nel buio, non si ferma al passato, ma sa vedere il domani.
    – Papa Francesco (@Pontifex_it, 20 settembre 2017)

Papa Francesco: " ....... La catechesi di oggi ha per tema: “educare alla speranza”. E per questo io la rivolgerò direttamente, con il “tu”, immaginando di parlare come educatore, come padre a un giovane, o a qualsiasi persona aperta ad imparare.
Pensa, lì dove Dio ti ha seminato, spera! Sempre spera.
Non arrenderti alla notte: ricorda che il primo nemico da sottomettere non è fuori di te: è dentro. Pertanto, non concedere spazio ai pensieri amari, oscuri. Questo mondo è il primo miracolo che Dio ha fatto, e Dio ha messo nelle nostre mani la grazia di nuovi prodigi. Fede e speranza procedono insieme. Credi all’esistenza delle verità più alte e più belle. Confida in Dio Creatore, nello Spirito Santo che muove tutto verso il bene, nell’abbraccio di Cristo che attende ogni uomo alla fine della sua esistenza; credi, Lui ti aspetta. Il mondo cammina grazie allo sguardo di tanti uomini che hanno aperto brecce, che hanno costruito ponti, che hanno sognato e creduto; anche quando intorno a sé sentivano parole di derisione.
Non pensare mai che la lotta che conduci quaggiù sia del tutto inutile. Alla fine dell’esistenza non ci aspetta il naufragio: in noi palpita un seme di assoluto. Dio non delude: se ha posto una speranza nei nostri cuori, non la vuole stroncare con continue frustrazioni. Tutto nasce per fiorire in un’eterna primavera. Anche Dio ci ha fatto per fiorire. Ricordo quel dialogo, quando la quercia ha chiesto al mandorlo: “Parlami di Dio”. E il mandorlo fiorì.
Ovunque tu sia, costruisci! Se sei a terra, alzati! Non rimanere mai caduto, alzati, lasciati aiutare per essere in piedi. Se sei seduto, mettiti in cammino! Se la noia ti paralizza, scacciala con le opere di bene! Se ti senti vuoto o demoralizzato, chiedi che lo Spirito Santo possa nuovamente riempire il tuo nulla.
Opera la pace in mezzo agli uomini, e non ascoltare la voce di chi sparge odio e divisioni. Non ascoltare queste voci. Gli esseri umani, per quanto siano diversi gli uni dagli altri, sono stati creati per vivere insieme. Nei contrasti, pazienta: un giorno scoprirai che ognuno è depositario di un frammento di verità.
Ama le persone. Amale ad una ad una. Rispetta il cammino di tutti, lineare o travagliato che sia, perché ognuno ha la sua storia da raccontare. Anche ognuno di noi ha la propria storia da raccontare. Ogni bambino che nasce è la promessa di una vita che ancora una volta si dimostra più forte della morte. Ogni amore che sorge è una potenza di trasformazione che anela alla felicità.
Gesù ci ha consegnato una luce che brilla nelle tenebre: difendila, proteggila. Quell’unico lume è la ricchezza più grande affidata alla tua vita.
E soprattutto, sogna! Non avere paura di sognare. Sogna! Sogna un mondo che ancora non si vede, ma che di certo arriverà. La speranza ci porta a credere all’esistenza di una creazione che si estende fino al suo compimento definitivo, quando Dio sarà tutto in tutti. Gli uomini capaci di immaginazione hanno regalato all’uomo scoperte scientifiche e tecnologiche. Hanno solcato gli oceani, hanno calcato terre che nessuno aveva calpestato mai. Gli uomini che hanno coltivato speranze sono anche quelli che hanno vinto la schiavitù, e portato migliori condizioni di vita su questa terra. Pensate a questi uomini.
Sii responsabile di questo mondo e della vita di ogni uomo. Pensa che ogni ingiustizia contro un povero è una ferita aperta, e ....

domenica 17 settembre 2017

DIO ... A MODO MIO.

Le nuove generazioni fuggono dalla Chiesa e dalla pratica cristiana. Ma neppure credono più in una religione, quale che sia. Il dato è innegabile. Lo si percepisce nell’esperienza quotidiana e ora esso è ampiamente confermato da due indagini statistiche serie i cui risultati sono stati recentemente pubblicati (R. Bichi – P. Bignardi [a cura di], Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2016; F. Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?, Il Mulino, Bologna 2016).

Oggi quasi metà dei giovani dai 18 ai 29 anni, in Italia, non credono in Dio, o perché pensano che non esista, o perché sono del tutto indifferenti al problema, o perché ci credono a intermittenza, qualche volta sì qualche volta no, o perché, pur ammettendo l’esistenza di una forza superiore, escludono che sia Dio. Colpisce l’accelerazione impressionante del fenomeno se si pensa che negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso gli atei erano tra il 10 e il 15% della popolazione giovanile.
Per contro, il gruppo dei giovani «cattolici convinti e attivi» negli ultimi vent’anni si è ridotto del 30% circa, anche se resiste, attestandosi sul 10,5%, per lo più come espressione dell’associazionismo ecclesiale. Gli altri sono «cattolici per educazione e tradizione», per molti dei quali il cristianesimo, più che una questione di fede, è una identità culturale a cui non vogliono rinunziare.
Fa riflettere il fatto che l’80% dei giovani «non credenti» è passato per il battesimo e la prima comunione, circa i due terzi per la cresima. I tre quarti hanno frequentato il catechismo. Sono perciò giovani che hanno abbandonato dopo l’iniziazione cristiana. È il fallimento del catechismo come viene praticato quasi ovunque. La grande fuga dei ragazzi si verifica di solito a conclusione di esso, come se i sacramenti che dovrebbero introdurli nella pienezza della vita cristiana fossero invece quelli del congedo da essa e dalla Chiesa.
Qualcuno sottolinea che è normale – soprattutto nell’attuale contesto culturale – che ....

mercoledì 6 settembre 2017

LA CONQUISTA DELLA PENNA D'AQUILA

In un villaggio indiano, il consiglio dei saggi ha deciso che la “prova di forza e coraggio” che i giovani indiani dovranno superare l’indomani, consiste nel raggiungere in canoa la riva opposta del lago dove, in un posto segreto, è nascosta una penna d’aquila dorata: chi la troverà, avrà vinto .
Il mattino dopo, tutti sono indaffarati nei preparativi. Quand’ecco arrivare  Falco Stanco, un vecchio indiano che abita dall’altra parte del lago. Egli si avvicina ai ragazzi e dice loro:”Devo tornare dalla mia tribù. Se dovessi fare il giro del lago a piedi non arriverei che a notte inoltrata. Qualcuno di voi mi potrebbe portare sulla sua canoa?”.
Tutti, chi prima, chi poi, si scusano dicendo che per via della gara, hanno fretta di arrivare per primi.
Ma uno di loro, Penna Bianca, non sa dirgli di no.
Viene dato il segnale di partenza e tutti balzano sulle loro canoe. E’ iniziata la grande prova.
Un po’ più di fatica fa Penna Bianca che deve remare per due; la sua canoa è più pesante, ora che con lui c’è anche Falco Stanco.
Gli altri commentano la sua poca furbizia. Proprio lui che è tra i ragazzi più abili e coraggiosi.
Anche Penna Bianca, vedendosi indietro, teme che arriverà troppo tardi. Ma poi guarda Falco Stanco che sorride felice e sente interiormente una voce che lo rassicura:”Hai fatto bene, Penna Bianca, hai fatto bene!”.
Uno dopo l’altro tutti arrivano e corrono a cercare nei posti più impensati la “penna d’aquila dorata”. Arriva anche Penna Bianca. Teme che ormai i suoi compagni abbiano scovato il prezioso trofeo. Ma nessuno ancora l’ha trovato. Saluta Falco Stanco e  corre anche lui alla caccia.
Ma il vecchio indiano lo trattiene: “Ieri sera, Bisonte Nero, il grande capo, mi ha detto: ‘A quello dei piccoli indiani che ti porterà sull’altra sponda, consegnerai questa!'”
E tira fuori, da sotto il suo poncho, fra lo stupore di tutti, una … meravigliosa penna d’aquila; la penna d’aquila dorata!”
“Sì – continua Falco Stanco, mettendo una mano sulla spalla di Penna Bianca – hai vinto la prova perché ciò che più vale nella vita è la forza dell’amore e tu hai dimostrato di averla quando mi hai  preso sulla tua canoa”.
Se fai attenzione, t’accorgerai che chi ti sta accanto ha per te la “chiave di casa”; non puoi ignorarlo.

Ciao da P. Andrea

Per richiedere copie dei libretti di padre Andrea Panont e per ogni approfondimento si può cliccare qui.
www.zenit.org

martedì 5 settembre 2017

GIOVANI, GUARDATEVI ALLO SPECCHIO PER .....


“Giovani, rompete lo specchio!”, ha chiesto papa Francesco. “Se qualche giorno volete guardarvi allo specchio, vi do un consiglio: guardatevi allo specchio per ridere di voi stessi”, ha detto. “Fate la prova un giorno: guardate e cominciate a ridere di quel che vedete lì, vi rinfrescherà l’anima. Questo dà allegria e ci salva dalla tentazione del narcisismo.”
Con queste parole papa Francesco si è rivolto in spagnolo ieri, lunedì 4 settembre 2017, ai circa tremila membri della Comunità cattolica Shalom ricevuti in udienza “privata” nell’Aula “Paolo VI” in Vaticano.
Giovani, rompete lo specchio
Francesco ha messo i giovani in guardia dal narcisismo, invitandoli a non guardarsi allo specchio, poiché “lo specchio inganna”. “Scappate da questo mondo, da questa cultura che stiamo vivendo […], che è consumista e narcisista”, ha esortato il Papa, rispondendo alla domanda della venticinquenne francese Justine, battezzata durante il Giubileo straordinario della Misericordia e missionaria in Italia.
“Un giovane che si rinchiude in se stesso, che vive soltanto per se stesso, finisce — e spero capiate il verbo, perché è un verbo argentino — finisce ‘empachado’ (impacciato, ndr) di autoreferenzialità”, ha avvertito Francesco, che ha definito il narcisismo una “malattia mentale”.
               La droga ti toglie le radici
La droga “ti toglie le radici”, ha proseguito papa Francesco, rivolgendosi al brasiliano Matteus, 22 anni, che ha raccontato di essere stato tossicodipendente per molti anni. “Per molto tempo sei passato attraverso il tunnel della droga”, ha detto il Santo Padre, “uno degli strumenti che ha la cultura nella quale viviamo per dominarci […], per farci sottili, invisibili a noi stessi, come se fossimo d’aria.”
“La droga ci porta a negare tutto quello che noi avevamo di radicato, di radicamento carnale, di radicamento storico, di radicamento problematico, tutto ciò che è radicamento. Ti toglie le radici e ti fa vivere in un mondo senza radici, sradicato da tutto. Sradicato dai progetti, sradicato dal presente, sradicato dal tuo passato, dalla tua storia, sradicato dalla tua patria, dalla tua famiglia, dal tuo amore, da tutto”, ha avvertito il Papa. “Uno vive in un mondo senza nessun radicamento e questo è il dramma della droga. Giovani totalmente sradicati senza impegni reali”, ha aggiunto Jorge Bergoglio.
               Per “corrispondere al piano di Dio”, che vuole “consolare il dolore dell’umanità”, è necessario saper “dare gratuitamente”, ha proseguito Francesco. “Per favore, diamo gratuitamente quel che abbiamo ricevuto. Dare gratuitamente quel che abbiamo ricevuto […] ti riempie l’anima, ti decommercializza, ti rende magnanimo, ti insegna ad abbracciare e a baciare, ti fa sorridere, ti scioglie da tutti gli interessi di tipo egoistico”, ha detto il Papa.

Udienza ai giovani della Comunità Shalom - 5 settembre 2017


giovedì 24 agosto 2017

GENTE DI PRIMAVERA !

SIAMO PERSONE 
DI PRIMAVERA
 O DI AUTUNNO?

          " ......La speranza cristiana si basa sulla fede in Dio che sempre crea novità nella vita dell’uomo, crea novità nella storia, crea novità nel cosmo. Il nostro Dio è il Dio che crea novità, perché è il Dio delle sorprese.
Non è cristiano camminare con lo sguardo rivolto verso il basso – come fanno i maiali: sempre vanno così – senza alzare gli occhi all’orizzonte. Come se tutto il nostro cammino si spegnesse qui, nel palmo di pochi metri di viaggio; come se nella nostra vita non ci fosse nessuna meta e nessun approdo, e noi fossimo costretti ad un eterno girovagare, senza alcuna ragione per tante nostre fatiche. Questo non è cristiano…..
          Dio non ha voluto le nostre vite per sbaglio, costringendo Sé stesso e noi a dure notti di angoscia. Ci ha invece creati perché ci vuole felici. È il nostro Padre, e se noi qui, ora, sperimentiamo una vita che non è quella che Egli ha voluto per noi, Gesù ci garantisce che Dio stesso sta operando il suo riscatto. Lui lavora per riscattarci …….
         Essere cristiani implica una nuova prospettiva: uno sguardo pieno di speranza. Qualcuno crede che la vita trattenga tutte le sue felicità nella giovinezza e nel passato, e che il vivere sia un lento decadimento. Altri ancora ritengono che le nostre gioie siano solo episodiche e passeggere, e nella vita degli uomini sia iscritto il non senso. Quelli che davanti a tante calamità dicono: “Ma, la vita non ha senso. La nostra strada è il non-senso”. 
        Ma noi cristiani non crediamo questo. Crediamo invece che nell’orizzonte dell’uomo c’è un sole che illumina per sempre. Crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire. Siamo gente più di primavera che d’autunno. A me piacerebbe domandare, adesso – ognuno risponda nel suo cuore, in silenzio, ma risponda –: “Io sono un uomo, una donna, un ragazzo, una ragazza di primavera o di autunno? La mia anima è in primavera o è in autunno?”. 
        Ognuno si risponda. Scorgiamo i germogli di un mondo nuovo piuttosto che le foglie ingiallite sui rami. Non ci culliamo in nostalgie, rimpianti e lamenti: sappiamo che Dio ci vuole eredi di una promessa e instancabili coltivatori di sogni. Non dimenticate quella domanda: “Io sono una persona di primavera o di autunno?”. Di primavera, che aspetta il fiore, che aspetta il frutto, che aspetta il sole che è Gesù, o di autunno, che è sempre con la faccia guardando in basso, amareggiato e, come a volte ho detto, con la faccia dei peperoncini all’aceto.
         Il cristiano sa che il Regno di Dio, la sua Signoria d’amore sta crescendo come un grande campo di grano, anche se in mezzo c’è la zizzania. Sempre ci sono problemi, ci sono le chiacchiere, ci sono le guerre, ci sono le malattie … ci sono dei problemi. Ma il grano cresce, e alla fine il male sarà eliminato. Il futuro non ci appartiene, ma sappiamo che Gesù Cristo è la più grande grazia della vita: è l’abbraccio di Dio che ci attende alla fine, ma che già ora ci accompagna e ci consola nel cammino. Lui ci conduce alla grande “tenda” di Dio con gli uomini (cfr Ap 21,3), con tanti altri fratelli e sorelle, e porteremo a Dio il ricordo dei giorni vissuti quaggiù. E sarà bello scoprire in quell’istante che niente è andato perduto, nessun sorriso e nessuna lacrima. 
         Per quanto la nostra vita sia stata lunga, ci sembrerà di aver vissuto in un soffio. E che la creazione non si è arrestata al sesto giorno della Genesi, ma ha proseguito instancabile, perché Dio si è sempre preoccupato di noi. Fino al giorno in cui tutto si compirà, nel mattino in cui si estingueranno le lacrime, nell’istante stesso in cui Dio pronuncerà la sua ultima parola di benedizione: «Ecco - dice il Signore – io faccio nuove tutte le cose!» (v. 5). Sì, il nostro Padre è il Dio delle novità e delle sorprese. E quel giorno noi saremo davvero felici, e piangeremo. Sì: ma piangeremo di gioia.

Papa Francesco – 23 agosto 2017