giovedì 31 dicembre 2020

BUON ANNO, BUONA STRADA !

 

"La strada vi venga sempre dinanzi

e il vento vi soffi alle spalle

e la rugiada bagni sempre l'erba

cui cui poggiate i passi.

E il sorriso brilli sempre

sul vostro volto.

E il pianto che spunta

sui vostri occhi

sia solo pianto di felicità.

E qualora dovesse trattarsi

di lacrime di amarezza e di dolore,

ci sia sempre qualcuno

pronto ad asciugarvele.

Il sole entri a brillare

prepotentemente nella vostra casa,

a portare tanta luce,

tanta speranza e tanto calore."

 

+ don Tonino Bello

 

lunedì 28 dicembre 2020




- Ernest Hemingway  -

Un topo stava guardando attraverso un buco nella parete, spiando quello che il contadino e sua moglie stavano facendo. Avevano appena ricevuto un pacco e lo stavano scartando tutti contenti. "Sicuramente conterrà del cibo" pensò il topo.

Ma quando il pacco fu aperto il piccolo roditore rimase senza fiato. Quella che il contadino teneva in mano non era roba da mangiare, era una trappola per topi! Spaventato, il topo cominciò a correre per la fattoria gridando: "State attenti! C'è una trappola per topi in casa! C'è una trappola per topi in casa!".

La gallina, che stava scavando per terra alla ricerca di semi e vermetti, alzò la testa e disse: "Mi scusi, signor Topo, capisco che questo può costituire per lei un grande problema, ma una trappola per topi non mi riguarda assolutamente. Sinceramente non mi sento coinvolta nella sua paura". E, detto questo, si rimise al lavoro per procurarsi il pranzo.

Il topo continuò a correre gridando: "State tutti attenti! C'è una trappola per topi in casa! C'è una trappola per topi in casa!". Casualmente incontrò il maiale che gli disse con aria accattivante: "Sono veramente dispiaciuto per lei, signor Topo, veramente dispiaciuto, mi creda. ma non c'è assolutamente nulla che io possa fare".

Ma il topo aveva già ripreso a correre verso la stalla dove una placida mucca ruminava, sonnecchiando, il suo fieno. "Una trappola per topi? - gli disse - E lei crede che costituisca per me un grave pericolo?". Fece una risata e riprese a mangiare tranquillamente.  Il topo, triste e sconsolato, ritornò alla sua tana preparandosi a dover affrontare la trappola tutto da solo. 

Proprio quella notte, in tutta la casa si sentì un fortissimo rumore, proprio il suono della trappola che aveva catturato la sua preda. La moglie del contadino schizzò fuori dal letto per vedere cosa c'era nella trappola ma, a causa dell'oscurità, non si accorse che nella trappola era stato preso un grosso serpente velenoso. Il serpente la morse.

Subito il contadino, svegliato dalle urla di lei, la caricò sulla macchina e la portò all'ospedale dove venne sottoposta alle prime cure. Quando ritornò a casa, qualche giorno dopo, stava meglio ma aveva la febbre alta. Ora tutti sanno che quando uno ha la febbre non c'è niente di meglio che un buon brodo di gallina. E così il contadino andò nel pollaio e uccise la gallina trasformandola nell'ingrediente principale del suo brodo. La donna non si ristabiliva e la notizia del suo stato si diffuse presso i parenti che la vennero a trovare e a farle compagnia. Allora il contadino pensò che, per dare da mangiare a tutti, avrebbe fatto meglio a macellare il suo maiale. E così fece.

Finalmente la donna guarì e il marito, pieno di gioia, organizzò una grande festa a base di vino novello e bistecche cotte sul barbecue. Inutile dire quale animale fornì la materia prima.

Morale: la prossima volta che voi sentirete qualcuno che si trova davanti ad un problema e penserete che in fin dei conti la cosa non vi riguarda, ricordatevi che quando c'è una trappola per topi in casa tutta la fattoria è in pericolo.

"Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te"  

sabato 26 dicembre 2020

EMERGENZA ESISTENZIALE. PRIORITA' I GIOVANI

 «Nuove generazioni più colpite dagli effetti collaterali del virus, è l’università il bene essenziale da preservare La risorsa da cui ripartire è il capitale umano» . «Sto rileggendo la Divina Commedia: è Virgilio che consente a Dante di liberarsi dal disorientamento. Per venirne fuori ci vogliono compagni di cammino».

 «Ci eravamo lasciati abbagliare dall’individualismo ma i diritti e le libertà individuali sono limitati e limitabili Ora è il tempo di fermarsi e riflettere su quali siano le priorità che si vogliono perseguire»

 ANGELO PICARIELLO

 La pandemia ha riportato alla luce che la realtà non è, come avevamo creduto, «totalmente sotto il nostro controllo». La presidente emerita della Consulta Marta Cartabia ha rivestito questo incarico, di custode dei valori costituzionali, in una fase straordinaria che ne ha comportato una loro compressione. Uscire da questa emergenza significherà tornare a guardare ai giovani come a una urgente «priorità», per non far mancare loro quei «maestri» che sono fondamentali nella formazione umana, prima ancora che professionale. A Pisa, in occasione del conferimento del dottorato honoris causa in Law della Scuola superiore Sant’Anna, Cartabia ha rimarcato la necessità che l’università «torni a essere la priorità tra tutte le priorità», da preservare come «bene essenziale per il formidabile compito affidatole di offrire alle nuove generazioni la possibilità di mobilitare le proprie forze vitali, le proprie energie costruttive». Occorre ripartire dal «capitale umano». Perché è «nel soggetto e dal soggetto che può scaturire l’energia capace di contrastare la paura che paralizza, l’incertezza che mortifica le ambizioni e demoralizza ogni slancio». Ma facciamo un passo indietro.

L’emergenza della pandemia ha comportato un’importante compressione dei diritti e della libertà.

Che i diritti e le libertà individuali siano limitati e limitabili non è una novità. Alla vigilia della pandemia eravamo immersi in una cultura segnata da un eccesso di individualismo alimentato dall’illusione della autodeterminazione e della libertà assoluta del singolo. I grandi sviluppi della società tecnologica, inoltre, hanno coltivato negli anni più recenti un altrettanto illusorio senso di onnipotenza. L’emergenza sanitaria ci ha costretti a un brusco risveglio. Dietro l’apparenza di invincibilità, la pandemia ha riportato in primo piano l’esistenza della realtà che – nonostante la potenza, i progressi e gli indiscutibili benefici della scienza e della tecnologia – non è mai totalmente sotto il nostro controllo. Il grande valo- re della libertà della persona – che è a fondamento della nostra convivenza civile e sempre deve essere preservato – deve fare i conti con una realtà che non è totalmente a nostra disposizione e, soprattutto, deve fare i conti con l’esistenza del-l’altro, degli altri. C’è un noi, oltre che un io. Per questo, nella vita sociale le libertà non sono mai assolute.

Ma si è avuta, a volte, la percezione che si sia ecceduto… Con quali criteri valutare queste limitazioni?

La nostra Costituzione richiede una garanzia non frammentata di tutte le esigenze della persona, a tutela della sua dignità. Ciò implica che, a seconda del contesto, si può rendere necessario circoscrivere - in misura più o meno significativa l’uno o l’altro dei diritti, mantenendo sempre uno sguardo integrale, olistico sulla persona. Il difficile compito di chi ha responsabilità pubbliche è valutare, nella condizione concreta data, quali siano le restrizioni necessarie e verificare sempre che siano proporzionate allo scopo; e soprattutto interrogarsi se esistano strumenti meno restrittivi che perseguano gli stessi obiettivi. Integralità della tutela della persona e proporzionalità delle limitazioni sono le coordinate fondamentali da rispettare in questo difficile lavoro di bilanciamento dei diritti, che deve continuamente adeguarsi al variare della situazione concreta.

Ma c’è un ordine di priorità….

Certo. Ogni decisione che sacrifica un aspetto della vita personale e sociale a favore del libero svolgimento di altre attività esprime un ordine di priorità e delle scelte di valore. Credo che questo sia il tempo in cui occorre fermarsi e riflettere su quali siano le priorità che si vogliono perseguire, posto che la situazione impone e imporrà comunque dei sacrifici a tutti, forse per lungo tempo.

Quali priorità vede come più urgenti?

Penso soprattutto alle giovani generazioni, che mi pare siano colpite più di altri da alcuni effetti collaterali dell’emergenza, anche se stanno superando con minore difficoltà i problemi strettamente sanitari. Occorre guardare in faccia con lealtà e coraggio la situazione di fatto: c’è un’emergenza sanitaria che sta portando con sé, oltre che una crisi economica, un’emergenza esistenziale, forse anche spirituale, che non deve essere sottovalutata e alla quale sono esposte soprattutto le giovani generazioni.

Cosa intende per emergenza esistenziale?

Se c’è una caratteristica che contraddistingue in modo evidente questo nostro tempo, è il senso di insicurezza e precarietà che la pandemia porta nella vita di ciascuno, a livello personale e nella dimensione collettiva. Viviamo nell’incertezza, esposti a variabili indipendenti dalla nostra volontà e questo genera paura, ansia. Viviamo giorno per giorno, ma gli orizzonti spazio–temporali tendono a chiudersi su se stessi e perdiamo la capacità di pensare con pensieri lunghi, rivolti a progetti che non si esauriscano nell’immediato. Il virus che si propaga in questa pandemia lascia per molto tempo nel fisico una stanchezza anomala: occorre vigilare affinché questa non prosciughi anche le energie morali. Dobbiamo prevenire un secondo spillover della malattia, che dopo aver colpito l’umanità nel corpo non ne intacchi l’animo. Ad essere esposti a questo spillover sono soprattutto i giovani. Verso di loro, che saranno chiamati alla grande ricostruzione, portiamo una enorme responsabilità.

Di che cosa hanno più bisogno i giovani?

Iniziamo a dire di che cosa non hanno bisogno. In un’interessante riflessione sul mondo che vivremo, Chiara Giaccardi e Mauro Magatti osservano che occorre guardarci da due reazioni tanto comuni quanto improduttive: sognare il ritorno a una situazione a rischio–zero, che coincide con una forma di diniego della realtà, o rimanere imprigionati nella paura. In un momento della storia non meno drammatico del nostro, preso nella morsa delle due guerre mondiali, segnato dalla grande depressione economica del 1929, dalla piaga della “spagnola” e dal cupo orizzonte dei totalitarismi dilaganti in Europa, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt nel suo discorso di insediamento si rivolgeva alla popolazione dicendo che «l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa». È la paura che può bloccare, paralizzare e infine deprimere. La questione essenziale del nostro tempo è vivere i cambiamenti in atto e il futuro che non sappiamo immaginare come terre sconosciute sì, ma da esplorare, convertendo le fonti di rischio in moltiplicatori di opportunità.

Che cosa può aiutare questo cambiamento di sguardo?

Mi permetta di fare un riferimento alla Divina Commedia che sto rileggendo anche sollecitata dal 700° anniversario dalla morte di Dante. All’origine di quella formidabile avventura di vita e di conoscenza che ha consegnato all’intera umanità nella Commedia, troviamo un incontro decisivo: è l’arrivo inaspettato e sorprendente del maestro Virgilio a consentire a Dante di liberarsi dalla paura e dal disorientamento nel momento più oscuro della sua esistenza: è lui che lo rassicura e lo rimette in cammino. Meglio: lo accompagna nel cammino, non solo mostrandogli una strada, una direzione, una via percorribile, ma mettendosi in moto con lui. È in un incontro inatteso – come quello che celebriamo nel Natale – che si aprono nuovi orizzonti, è lì la sorgente della motivazione che abilita al cammino, qualunque sia la condizione data. La presenza di Virgilio rende la selva oscura occasione irripetibile per una esplorazione inimmaginabile: non risolve l’avversità esterna, ma rende sicuri, vince la paura, perché sa suggerire una via percorribile per quanto ardua. Se c’è qualcosa che può contrastare lo scoramento di questa epoca è la presenza di qualcuno più avanti nel cammino che si faccia nostro compagno e nelle cui orme possiamo posare il piede, procedendo così dietro a le poste de le care piante.

 

www.avvenire.it

 

 

venerdì 25 dicembre 2020

NATALE. CINQUE PAROLE PER FAR FESTA

Giorni in cui nascere di nuovo e vivere un autentico Natale

 -         di ERNESTO OLIVERO

       

Stiamo vivendo tutti un momento molto complicato. Ci sentiamo più fragili, più vulnerabili. Siamo in un tempo sospeso, ma guai se lo considerassimo tempo perso. In queste ultime settimane mi è capitato di pensare ad altri momenti difficili che abbiamo attraversato. La mente è tornata agli anni 70, alla paura vera che provocava il terrorismo. In una città come Torino ogni giorno qualcuno veniva colpito. Quanto dolore, quante famiglie spezzate, quanto sangue! Vivevamo un senso profondo di incertezza, ci chiedevamo quando tutto sarebbe finito. In quegli anni complicati sentii che non potevamo permetterci di rinunciare alla speranza. Ci inventammo così degli incontri pubblici, di solito nelle piazze, chiedendo alla gente di venire, di rompere il cerchio della paura, di gridare con il loro silenzio, di pregare con noi. Li chiamammo 'Pomeriggi di speranza' e non era una proposta consolatoria. Io vedevo il terrorismo già finito, sentivo che dovevamo raccogliere le energie migliori per ricostruire il dopo, per rimarginare certe ferite. La profezia di un arsenale di guerra trasformato in Arsenale della Pace in fondo è stata uno dei frutti di quella stagione.

Oggi siamo in una situazione diversa, è sbagliato fare confronti. Eppure, come allora, sento che dobbiamo cominciare a pensare al mondo che verrà. Nessuno si senta escluso! Ognuno faccia ricorso ai propri ideali, alla propria creatività, alle migliori risorse interiori e si chieda concretamente che cosa è disposto a fare. Riscoprire per esempio la nostra responsabilità pubblica, rilanciare il nostro impegno per il bene comune. A livello mondiale, riflettere di più sulle persone a cui affidiamo responsabilità, sulle scelte in tema di ecologia, di immigrazione, di sviluppo, di pace. Avere il coraggio di rilanciare la lotta contro le ingiustizie, contro la fame, contro le disuguaglianze. Chiedere un intervento serio in tema di cambiamenti climatici. Il mondo ci appartiene, è la nostra casa non ne abbiamo un’altra. Il cortocircuito del Covid può essere una lezione che bussa alla nostra porta, per ritrovare l’essenza del nostro vivere.

Credo che in questo tempo più che mai abbiamo bisogno di riscoprire e vivere cinque parole che, se accolte, possono cambiarci, maturaci, renderci migliori: trasparenza, gratuità, disponibilità, passione, fraternità.

Trasparenza: in ogni ambito della nostra vita personale e comunitaria, che significa onestà, mai più ruberie, autenticità, integrità della nostra persona...

Gratuità: uno spazio, un tempo e qualcosa di noi stessi da condividere, perché tutto abbiamo ricevuto da Dio e tutto può essere diviso.

Disponibilità: perché la gente ha bisogno di trovare un porto sicuro, persone pronte all’ascolto, a non guardare l’orologio, a farsi interpellare da 'imprevisti' che possono diventare appuntamenti con noi stessi, con la storia, con Dio.

Passione: la scintilla che non ci farà essere tiepidi e indifferenti, ma pronti a metterci in gioco veramente, pagando di persona se necessario, con un fuoco sempre acceso dentro, alimentato da grandi ideali.

Fraternità: il modello di vita dei primi cristiani, un esempio attualissimo in un tempo in cui ci siamo riscoperti tutti interconnessi. Un mondo fraterno dipende solo da noi.

Se cominceremo a vivere tutto questo, camminando scopriremo sempre di più anche la presenza di Dio: la sintesi di una vita intera. Il Natale ce la mostra con una sfumatura particolare. Dio è con noi, ma sceglie di nascere in povertà, è indifeso, fragile, manca di tutto, ha bisogno di noi. Noi possiamo amarlo e prenderci cura di Lui, desiderando con tutte le forze di cambiare vita, ora, subito per mostrare che è possibile volersi bene, è possibile perdonarsi, è possibile trovare il buono e il bello nell’altro che irrompe nella mia esistenza, perché ogni cosa che accade è una ricchezza possibile. Se fossimo saggi, faremmo a gara per nascere di nuovo e finalmente vivere il nostro autentico Natale.

 

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