lunedì 23 dicembre 2019

E' NATALE. ANDIAMO A BETLEMME! AUGURI A VOI TUTTI !


«Andiamo dunque fino a Betlemme» (Lc 2,15): così dissero e fecero i pastori. 

Pure noi, Signore, vogliamo venire a Betlemme. 
Voglio arrivare a Betlemme, Signore, perché è lì che mi attendi. E accorgermi che Tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della mia vita
Ho bisogno della fragranza tenera del tuo amore per essere, a mia volta, pane spezzato per il mondo. 
Prendimi sulle tue spalle, buon Pastore: da Te amato, potrò anch’io amare e prendere per mano i fratelli. 
Allora sarà Natale, quando potrò dirti: “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo” (cfr Gv 21,17).
Papa Francesco

"Andiamo fino a Betlem, come i pastori. L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso.
Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi dell'onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo. E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.
Mettiamoci in cammino, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte, e illuminato di stelle.
E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza" 
+ Tonino Bello.

AUGURIAMO A VOI TUTTI E FAMILIARI 
UN SANTO NATALE!


sabato 14 dicembre 2019

ITALIANI, OLTRE IL VITTIMISMO - IL RAPPORTO CENSIS


L’analisi del Censis,

 i punti di ripartenza
È utile tornare sul Rapporto Censis 2019, dossier che ci aiuta a leggere l’evolu zione del nostro Paese. Di fronte alla crisi economica, ma non solo, di questi anni gli italiani – come ha sottolineato su 'Avvenire' Alessia Guerrieri – hanno messo in campo «una risposta individuale». È a tutti evidente che tra gli italiani, incerti sul futuro, delusi dalla politica, consapevoli della crisi demografica, intossicati dalle percezioni che diventano verità sui social e sui mass media, presi da un’ansia spesso senza nome, si è rafforzata l’antica tendenza a guardare al proprio 'particulare', a puntare – per usare le parole del Rapporto – alla «solitaria difesa di se stessi».
L’Italia del 2019 appare sfiduciata sulla possibilità di un miglioramento per sé e per la società nel suo complesso: «Il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale sia bloccata». Secondo il 74% «l’economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione», mentre il restante 26% è certo che sia in arrivo «una nuova recessione». Davanti a un tale scenario, forte è la tentazione di contare solo «sulle proprie forze», di architettare «stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro». Eppure, una tale narrazione non spiega del tutto alcuni dati in controtendenza. E non mi riferisco soltanto alle «piastre di sostegno» e ai «muretti di pietra a secco» che, per il Rapporto, permettono di puntellare il terreno del benessere
e preservare la tenuta della convivenza sociale.
È interessante sottolineare il tentativo di ricostruzione del tessuto connettivo a partire da una nuova relazionalità, nonché da un più marcato investimento sulla cultura: gli italiani che hanno visitato monumenti o siti archeologici sono aumentati del 31,1% negli ultimi dieci anni, quelli che sono entrati in un museo del 14%, quelli che prestano «attività gratuite in associazioni di volontariato» del 19,7%.
C’è anche una success story: quella dell’integrazione in Italia dei non italiani di nascita. Le imprese straniere «sono enormemente cresciute anche negli anni della crisi», e mentre gli imprenditori nostrani «diminuivano del 16,3%, quelli stranieri sono aumentati del 48,4% (quelli extracomunitari del 57,6%)». E ancora: se nelle nostre scuole gli alunni di origine straniera non sono certo pochi (857.729, dato 2018), gli strumenti messi in campo in questi anni si sono rivelati tanto utili «che si registra un miglioramento dei tassi di scolarità, regolarità negli studi e successo formativo». Il dato è ancora più interessante se si pensa al ritardo con cui si aspetta una legge sulla cittadinanza basata sullo ius culturae e la retorica negativa, rivendicativa, repulsiva e vittimistica con cui viene avvolto deliberatamente quasi ogni discorso sull’immigrazione-invasione e sul ruolo degli immigrati in Italia.
Viviamo insomma – ma ormai dovremmo esserci abituati – in un Paese complesso e contraddittorio, in cui il «furore di vivere» di cui parla il Rapporto è insieme fattore d’ordine e di disordine. Disordine che è prima di tutto nell’umore, nei comportamenti. Il segretario generale del Censis Giorgio De Rita, dice che «l’errore della politica è stato quello di non essere stata capace di decidere». Ma gli italiani lo sono stati in questi anni? Ci sono segnali allarmanti: il dilagare di disturbi di varia natura, la crescita della sfiducia e del contenzioso, la ricerca di una compensazione emotiva in quello specchio di sé che è lo smartphone: «Il 74% degli italiani si è sentito molto stressato per questioni familiari, per il lavoro o senza un motivo preciso; nel giro di tre anni il consumo di ansiolitici e sedativi è aumentato del 23%; il 75% non si fida più degli altri; il 49% ha subito nel corso dell’anno insulti o spintoni in un luogo pubblico; il 26% ha litigato con qualcuno
per strada; più di un italiano su due controlla il telefono come primo gesto al mattino o l’ultima attività della sera».
Il quadro Censis è, così, in chiaroscuro. E riflette il nostro disordine, o forse meglio il nostro spaesamento nel mondo globale. Vi è raffigurato un Paese che ha vissuto delle difficoltà e si è ritratto in sé stesso, finendo così per aggravare le proprie condizioni. Le potenzialità che comunque l’Italia esprime – e in questo i 'nuovi italiani' sono generalmente un fattore positivo – potrebbero incamminarla verso un futuro differente. Se solo accettasse di fare i conti con il proprio vittimismo e riconoscesse che esso è il grande freno a ogni scatto verso un orizzonte meno incerto o meno cupo.



giovedì 12 dicembre 2019

UN PATTO TRA LE GENERAZIONI

Si è svolto a Firenze il III Forum di etica civile, promosso da una serie di realtà culturali e sociali radicate su tutto il territorio italiano. 
I partecipanti al Forum hanno prodotto e firmato un patto fra le generazioni che riprende alcune fra le principali questioni per lo sviluppo culturale, politico, economico e sociale del nostro Paese.
Degli esiti dell’appuntamento fiorentino, parliamo con Simone Morandini. Vicepreside dell’Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino di Venezia, Morandini è coordinatore del progetto Etica, Teologia e Filosofia della Fondazione Lanza di Padova. Fa parte del gruppo Custodia del creato dell’Ufficio per i problemi sociali e del lavoro della CEI ed è membro della presidenza ATISM.

 Negli ultimi tempi, si registra nella nostra comunità nazionale un aumento di tensioni sociali e politiche spesso alimentate da logiche di chiusura e di scontro. In questo panorama culturale, che significato ha l’espressione “etica civile”?
Etica civile: una prospettiva morale tesa a costruire vita buona assieme nella società plurale. Una linea di ricerca, dunque, che mira a ritessere quelle reti di relazionalità solidale che stanno alla base della convivenza civile, valorizzando una pluralità di contributi ideali.
In questo senso ha una particolare importanza la città, nella sua valenza simbolica come nella sua concretezza reale: essa dice di uno spazio plurale, che consente ad ognuno di sviluppare al meglio le proprie potenzialità, ma che esige al contempo di vivere da cittadini (e non da free-riders, che si limitano approfittare dei vantaggi loro offerti), da soggetti civili (e non incivili).
C’è quindi un gioco di diritti e di doveri che interessa un’etica civile, ma anche una comprensione del  bene comune che va persino aldilà di essi fino ad interessare gli spazi dell’economia, della politica, del rapporto all’ambiente…
– Perché, per la nostra società, è così importante un patto fra le generazioni?
Il rapporto tra le generazioni è stato individuato dai promotori del III Forum – una ventina di soggetti associativi della società civile (dalla Fondazione Lanza alla FUCI, da Aggiornamenti Sociali alla FOCSIV ed alla Fondazione Finanza Etica) – come particolarmente critico per questo nostro tempo.
Da un lato, infatti, gli sviluppi delle tecniche della comunicazione rendono sempre più acuto il gap comunicativo tra le diverse età; dall’altro si va disegnando – specie in Italia – una paradossale situazione, in cui all’esaltazione verbale di uno stile di vita giovanile si accompagna una marginalizzazione dei giovani dalla vita sociale e politica.
Lo ha ben evidenziato il professor Alessandro Rosina (Università Cattolica di Milano) nel suo intervento al Forum fiorentino: le dinamiche demografiche, una struttura distorta del mercato del lavoro ed il peso del debito pubblico pongono pesanti ipoteche sulla possibilità dei giovani di assumere ruoli attivi nello spazio sociale, impedendo così loro di dispiegare il contributo di creatività ed innovazione che portano con sé.
Né va dimenticata la pesante ipoteca posta sul futuro di tutti dal degrado ambientale ed in particolare dal mutamento climatico in atto.
In questo contesto si è posto il Forum, interrogandosi su come costruire una diversa relazione tra le generazioni, nel segno di una responsabilità condivisa, pur nella distinzione dei ruoli. L’orizzonte è quello di una società davvero orientata alla giustizia tra le generazioni, tra i generi, tra presente e futuro.
– Quali sono le peculiarità del patto che avete sottoscritto a conclusione del III Forum di Etica civile?
Il Patto è il frutto di una riflessione che i soggetti promotori hanno condotto ormai da più di un anno, tramite diversi eventi preparatori sul territorio nazionale. Esso raccoglie una serie di proposte che sono stati individuate come essenziali per un rinnovamento della vita civile nel nostro paese in vista di un più equilibrato rapporto intergenerazionale.
Il Patto tra generazioni è stato quindi rielaborato nel corso del Forum (specie nei dieci gruppi di discussione tematici) ed è stato siglato al termine di esso. Adesso è accessibile sul sito www.forumeticacivile.com, dove invito ognuno ed ognuna a prenderne visione ed a firmarlo – sia a titolo personale, sia eventualmente, per chi ne ha titolo, a nome dei rispettivi soggetti associativi.
Aggiungo che il Patto è intenzionalmente essenziale e sintetico, benché già articolato; un più ampio testo di Premesse, pure accessibile sullo stesso sito, consente peraltro di comprendere quale sia l’orizzonte concettuale in cui esso si colloca. Per chi desiderasse poi un ulteriore livello di approfondimento, segnalo l’agile volume pubblicato dalla Fondazione Lanza proprio in occasione del Forum Etica delle generazioni (Proget Edizioni, Padova 2019, da richiedere sul sito dell’editore).
– Caduto il muro di Berlino e terminata la stagione dei partiti di massa, la politica odierna pare sempre più disorientata da spinte estremiste. Perché è importante tornare all’educazione al pensiero politico?
L’estremismo dei diversi populismi è un tentativo di offrire risposte semplici a società attraversate invece da tensioni sempre più cariche di complessità.
Spesso, però, le soluzioni proposte sono del tutto inadeguate, come se l’individuazione di un nemico bastasse ad affrontare un problema.
Per farvi effettivamente fronte occorre invece una politica che sappia farsi carico di quella relazionalità articolata che abita ormai le nostre città. L’esigenza di un pensiero davvero comprensivo – e di un’educazione ad esso – si salda quindi con l’urgenza di condensare tale esigenza in parole efficaci e mobilitanti. L’etica civile vuole essere uno sguardo in tale direzione, ma ha ancora bisogno di buone gambe, di cuore, di testa e di mani attive per crescere ed ampliare il proprio orizzonte.
– A suo parere, quanto e perché l’impianto culturale e antropologico dell’enciclica di Francesco Laudato si’ può contribuire alla promozione dell’etica civile?
L’Enciclica Laudato Si’ è un vero e proprio testo di convocazione, teso a mobilitare una varietà di energie, di competenze e di ispirazioni ideali per la cura della casa comune.
Se certo un primo referente di tale espressione è la terra (l’oikos, la casa che ci porta), tuttavia lo sguardo di Francesco coglie acutamente l’intreccio di relazioni tra la dimensione ambientale, quella socio-economica e quella culturale.
L’espressione ecologia integrale ben compendia tale approccio, che trova espressione nell’esigenza di una conversione ecologica che dalla spiritualità e dall’educazione si estenda ai comportamenti quotidiani, per raggiungere lo spazio pubblico. Un testo, insomma, estremamente prezioso, che ha costituito una fonte di ispirazione di grande rilievo per i lavori del Forum.



martedì 3 dicembre 2019

EDUCARE E' SCOPRIRE LA VITA E LA SUA BELLEZZA

Due riflessioni che prendono le mosse dal pensiero di Vittorino Andreoli, noto psichiatra e scrittore italiano sul senso dell’educazione. Infatti, al di là dei metodi (che sono tutti, ugualmente limitanti, pur avendo svariati pregi) rimane il dilemma di capire cosa significhi educare.

EDUCAZIONE COME SCOPERTA DELLA VITA
“Il primo requisito per rendere possibile l’educazione è far scoprire la vita e la sua bellezza” (Vittorino Andreoli).
Questo passaggio è il più difficile: la vita e la bellezza, infatti, sono straordinariamente complesse. L’educazione moderna, spesso, semplifica fino all’eccesso. Prendiamo un esempio: quando parliamo di sviluppo sensoriale, pur toccando un tema nodale all’interno dello sviluppo psicologico, non possiamo dimenticare che ci sono infinite altre sfere della persona e della sua crescita bisognose di attenzione. Il rischio dell’educazione moderna è quello di risultare sbilanciata, a favore di alcuni elementi quali sensorialità, socialità, logica. Sono elementi essenziali, è vero, ma lo sono anche tutti gli altri.
Il Prof. Andreoli si sofferma spesso sul tema dell’unicità dell’uomo, che va considerato nel suo insieme, in termini olistici: non possiamo ridurlo ad una sequenza di sintomi (per quanto attiene alla psichiatria), comportamenti o linee di sviluppo.
Dunque, nello sforzo di educare, dovremmo innanzitutto trasmettere il nostro amore per la vita, la nostra ricerca per la bellezza. Inevitabilmente chi farà propri questi elementi li modificherà; alle volte saranno stravolti rispetto a come noi li intendevamo. Eppure, se saremo riusciti a trasmettere la passione, il nostro sforzo sarà produttivo.

EDUCAZIONE COME RELAZIONE
“L’educazione è una relazione tra due persone di generazioni diverse. Un buon educatore deve essere fragile. La fragilità è la forza della relazione” (Vittorino Andreoli).
Questo passaggio è particolarmente significativo per comprendere come l’educazione non si possa limitare ad una staffetta di valori. 
Educare significa accettare il rischio di mescolare i propri valori con quelli dell’altro, di contaminarsi. Non possiamo in alcun modo educare se rinunciamo a comprendere il mondo dell’altro; questo è specialmente valido quando si parla di adolescenza, oppure di relazioni difficili.
Prima di Andreoli, un altro grande (tra i tanti) aveva trattato il tema della relazione nei termini della fragilità: Antoine de Saint-Exupéry; ne “Il Piccolo Principe”, infatti, il dialogo con la Volpe, mette proprio in evidenza come le relazioni siano qualcosa che ha a che fare con la fragilità della nostra natura, capaci anche di fare soffrire; le relazioni si costruiscono giorno dopo giorno, un mattoncino sopra l’altro. E ogni tanto, inevitabilmente, qualcuno di essi cede.
Proprio la lettura (e rilettura) di questo testo può aiutarci a capire meglio l’importanza della fragilità, intesa non come debolezza ma come consapevolezza.

NOTA: le citazioni contenute in questo passo sono “riadattate” mettendo insieme alcuni stralci dell’intervista che Andreoli ha rilasciato al SIR (Servizio Informazione Religiosa) e che potete leggere integralmente
 qui.


da Portale bambini

sabato 30 novembre 2019

Christus vivit, io ho scelto di consacrarmi

A un anno dal Sinodo sui giovani, ragazzi e ragazze dal mondo si confrontano con la "Christus vivit", l'Esortazione apostolica di Papa Francesco. “Una grande chiamata davanti a una piccola risposta di gratitudine”. Così Barbara descrive la propria vocazione, quella non di una suora, ma di una giovane missionaria che ha scelto di testimoniare Dio donandosi a Lui. Scrive il Papa: Gesù getta sempre le reti          
“Christus vivit” (par. 274-277)
Vocazioni a una consacrazione speciale
274. Se partiamo dalla convinzione che lo Spirito continua a suscitare vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, possiamo “gettare di nuovo le reti” nel nome del Signore, con piena fiducia. Possiamo – e dobbiamo – avere il coraggio di dire ad ogni giovane di interrogarsi sulla possibilità di seguire questa strada.
275. Alcune volte ho fatto questa proposta a dei giovani, che mi hanno risposto quasi in tono beffardo dicendo: «No, veramente io non vado in quella direzione». Tuttavia, anni dopo alcuni di loro erano in Seminario. Il Signore non può venir meno alla sua promessa di non lasciare la Chiesa priva dei pastori, senza i quali non potrebbe vivere né svolgere la sua missione. E se alcuni sacerdoti non danno una buona testimonianza, non per questo il Signore smetterà di chiamare. Al contrario, Egli raddoppia la posta, perché non cessa di prendersi cura della sua amata Chiesa.
276. Nel discernimento di una vocazione non si deve escludere la possibilità di consacrarsi a Dio nel sacerdozio, nella vita religiosa o in altre forme di consacrazione. Perché escluderlo? Abbi la certezza che, se riconosci una chiamata di Dio e la segui, ciò sarà la cosa che darà pienezza alla tua vita.    277. Gesù cammina in mezzo a noi come faceva in Galilea. Passa per le nostre strade, si ferma e ci guarda negli occhi, senza fretta. La sua chiamata è attraente, è affascinante. Oggi, però, l’ansia e la velocità di tanti stimoli che ci bombardano fanno sì che non ci sia spazio per quel silenzio interiore in cui si percepisce lo sguardo di Gesù e si ascolta la sua chiamata. Nel frattempo, riceverai molte proposte ben confezionate, che si presentano belle e intense, ma con il tempo ti lasceranno svuotato, stanco e solo. Non lasciare che questo ti accada, perché il turbine di questo mondo ti trascina in una corsa senza senso, senza orientamento, senza obiettivi chiari, e così molti tuoi sforzi andranno sprecati. Cerca piuttosto quegli spazi di calma e di silenzio che ti permettano di riflettere, di pregare, di guardare meglio il mondo che ti circonda, e a quel punto, insieme a Gesù, potrai riconoscere quale è la tua vocazione in questa terra.
da Vatican News

lunedì 25 novembre 2019

A PROPOSITO DI BULLISMO ED ALTRO


PAPA FRANCESCO 
AI GIOVANI GIAPPONESI 

.... Grazie, Leonardo, per aver condiviso l’esperienza di bullismo e discriminazione che hai subito. Sono sempre di più i giovani che trovano il coraggio di parlare di esperienze come la tua. Ai miei tempi, quando ero giovane, non si parlava mai di cose come quelle che ha raccontato Leonardo. La cosa più crudele del bullismo scolastico è che ferisce il nostro spirito e la nostra autostima nel momento in cui abbiamo più bisogno di forza per accettarci e affrontare nuove sfide nella vita. A volte, le vittime di bullismo accusano addirittura sé stessi di essere stati obiettivi “facili”. Potrebbero sentirsi falliti, deboli e senza valore, e arrivare a situazioni molto drammatiche: “Se solo io fossi diverso...”. Paradossalmente, tuttavia, sono i molestatori, quelli che fanno il bullismo ad essere veramente deboli, perché pensano di poter affermare la propria identità facendo del male agli altri. A volte attaccano chiunque considerano diverso e che vedono come una minaccia. In fondo, i molestatori, quelli che fanno bullismo, hanno paura, sono dei paurosi che si coprono con la forza. E in questo – fate attenzione – quando sentite, vedete che qualcuno sente il bisogno di fare del male a un altro, di fare del bullismo su un altro, di molestarlo, quello è il debole. Il molestato non è il debole; è colui che molesta il debole, perché ha bisogno di farsi grande, forte, per sentirsi qualcuno. L’ho detto a Leonardo poco fa: quando ti dicono che sei obeso, digli: “È peggio essere magro come te”. Dobbiamo unirci tutti contro questa cultura del bullismo, tutti insieme contro questa cultura del bullismo, e imparare a dire: basta! È un’epidemia per la quale la migliore medicina la potete trovare voi stessi. Non è sufficiente che le istituzioni educative o gli adulti utilizzino tutte le risorse a loro disposizione per prevenire questa tragedia, ma è necessario che tra voi, tra amici, tra compagni, vi mettiate insieme per dire: No! No al bullismo, no all’aggressione verso l’altro. Questo è male! Non esiste un’arma più grande per difendersi da queste azioni di quella di “alzarsi” tra compagni e amici e dire: “Quello che stai facendo, il bullismo, è grave”.
Chi fa bullismo è un pauroso, e la paura è sempre nemica del bene, per questo è nemica dell’amore e della pace. Le grandi religioni - tutte le religioni che ognuno di noi pratica - insegnano tolleranza, insegnano armonia, insegnano misericordia; le religioni non insegnano paura, divisione e conflitto. Per noi cristiani: ascoltiamo Gesù che diceva sempre ai suoi seguaci di non avere paura. Perché? Perché se stiamo con Dio e amiamo con Dio i nostri fratelli, l’amore scaccia il timore (cfr 1 Gv 4,18). Per molti di noi – come ci hai ricordato, Leonardo – guardare alla vita di Gesù ci permette di trovare conforto, perché Gesù stesso sapeva cosa significa essere disprezzato e respinto, persino fino al punto di essere crocifisso. Sapeva anche cosa significa essere uno straniero, un migrante, uno “diverso”. In un certo senso – e qui mi rivolgo ai cristiani, e quelli che non sono cristiani lo vedano come modello religioso – Gesù è stato il più “emarginato”, un emarginato pieno di Vita da donare. Leonardo, possiamo sempre guardare a tutto ciò che ci manca, ma possiamo anche scoprire la vita che siamo in grado di dare e di donare. Il mondo ha bisogno di te, non dimenticarlo mai; il Signore ha bisogno di te perché tu possa dare coraggio a tanti che oggi chiedono una mano, per aiutarli a rialzarsi.
Vorrei dire a tutti una cosa che può essere utile nella vita. Guardare con disprezzo una persona, guardarla dall’alto in basso, è dire: “Io sono superiore e tu sei inferiore”. Ma c’è un solo modo lecito e giusto di guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla ad alzarsi. Se uno di noi – me compreso – guarda una persona dall’alto in basso con disprezzo, vale poco. Ma se uno di noi guarda una persona dall’alto in basso per tenderle la mano e aiutarla ad alzarsi, quest’uomo o questa donna è grande. Quindi, quando guardate una persona dall’alto in basso, chiedetevi: “Dove sta la mia mano? È nascosta o sta aiutandolo ad alzarsi?”. E sarete felici. D’accordo?
E questo comporta imparare a sviluppare una qualità molto importante ma sottovalutata: la capacità di donare tempo per gli altri, a ascoltarli, a condividere con loro, capirli. E solo così apriremo le nostre storie e le nostre ferite a un amore che ci possa trasformare e iniziare a cambiare il mondo che ci circonda. Se non doniamo, se non perdiamo tempo e “risparmiamo tempo” con le persone, lo perderemo in molte cose che, alla fine della giornata, ci lasceranno vuoti e storditi. Nella mia terra natale direbbero: ci riempiono di cose finché facciamo indigestione. Quindi, per favore, dedicate tempo alla vostra famiglia, dedicate tempo ai vostri amici, e anche a Dio, pregando e meditando, ognuno secondo la propria credenza. E se pregare vi risulta difficile, non arrendetevi. Una saggia guida spirituale disse una volta: la preghiera consiste principalmente nel rimanere lì. Stai fermo, fai spazio per far entrare Dio, lasciati guardare da Lui e Lui ti riempirà della sua pace.
E questo è esattamente ciò che ci ha detto Miki: ha chiesto come possono i giovani fare spazio a Dio in una società frenetica e focalizzata sull’essere solo competitivi e produttivi. È abituale vedere che una persona, una comunità o persino un’intera società possono essere altamente sviluppate all’esterno, ma con una vita interiore povera e ridotta, con l’anima e la vitalità spente; sembrano bambole già fatte che non hanno niente dentro. Tutto per loro è noioso. Ci sono giovani che non sognano più. È terribile un giovane che non sogna, un giovane che non fa spazio al sogno, per far entrare Dio, per far entrare i desideri ed essere fecondo nella vita. Ci sono uomini e donne che non sanno più ridere, che non giocano, che non conoscono il senso della meraviglia e della sorpresa. Uomini e donne che vivono come zombi, il loro cuore ha smesso di battere. Perché? A causa dell’incapacità di celebrare la vita con gli altri. Ascoltate questo: voi sarete felici, sarete fecondi se conservate la capacità di festeggiare la vita con gli altri. Quanta gente nel mondo è materialmente ricca, ma vive come schiava di una solitudine senza eguali! Penso alla solitudine che sperimentano tante persone, giovani e adulti, delle nostre società prospere, ma spesso così anonime. Madre Teresa, che lavorava tra i più poveri dei poveri, una volta disse una cosa che è profetica, una cosa preziosa: “La solitudine e la sensazione di non essere amati è la povertà più terribile”.
Forse ci fa bene domandarci: Per me, qual è la povertà più terribile? Quale sarebbe per me il grado di povertà più grande? E se siamo onesti ci rendiamo conto che la povertà più grande che possiamo avere è la solitudine e la sensazione di non essere amato. Capite? È troppo noioso il discorso o posso andare avanti?... È noioso? [I giovani: “No!”] Manca poco.
Combattere questa povertà spirituale è un compito a cui siamo tutti chiamati, e voi, giovani, avete un ruolo speciale da svolgere, perché richiede un grande cambiamento nelle nostre priorità, nelle nostre scelte. Implica riconoscere che la cosa più importante non è tutto ciò che possiedo o che posso acquistare, ma con chi posso condividerlo. Non è così importante concentrarsi e domandarsi perché vivo, ma per chi vivo. Imparate a farvi questa domanda: non per cosa vivo, ma per chi vivo, con chi condivido la mia vita. Le cose sono importanti, ma le persone sono indispensabili; senza di esse ci disumanizziamo, perdiamo il volto, perdiamo il nome e diventiamo un oggetto in più, forse il migliore di tutti, ma sempre un oggetto; e noi non siamo oggetti, siamo persone. Il libro del Siracide dice: «Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, ha trovato un tesoro» (6,14). Ecco perché è sempre importante chiedersi: «“Per chi sono io?”. Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma Lui ha voluto che tu sia anche per gli altri, e ha posto in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 286), da condividere con gli altri. Non solo vivere la vita, ma condividere la vita. Condividere la vita.
E questo è qualcosa di bello che puoi offrire al mondo. I giovani possono dare qualcosa al mondo. Testimoniate che l’amicizia sociale, l’amicizia tra di voi è possibile! La speranza in un futuro basato sulla cultura dell’incontro, dell’accoglienza, della fraternità e del rispetto per la dignità di ogni persona, specialmente verso i più bisognosi di amore e comprensione. Senza bisogno di aggredire o disprezzare, ma imparando a riconoscere la ricchezza degli altri.
Una riflessione che può aiutarci: per mantenerci fisicamente vivi, dobbiamo respirare, è un’azione che eseguiamo senza accorgercene, tutti respiriamo automaticamente. Per rimanere vivi nel senso pieno e ampio della parola, dobbiamo anche imparare a respirare spiritualmente, attraverso la preghiera, la meditazione, in un movimento interno, attraverso il quale possiamo ascoltare Dio, che ci parla nel profondo del nostro cuore. E abbiamo anche bisogno di un movimento esterno, col quale ci avviciniamo agli altri con atti di amore, con atti di servizio. Questo doppio movimento ci permette di crescere e di riconoscere non solo che Dio ci ha amato, ma che ha affidato a ciascuno di noi una missione, una vocazione unica e che scopriremo nella misura in cui ci doniamo agli altri, a persone concrete...... "

Papa Francesco, Tokio 25 novembre 2019 



lunedì 28 ottobre 2019

CONCLUSO IL SINODO SULL'AMAZZONIA. INIZIO DI UN NUOVO CAMMINO ALLA LUCE DEL VANGELO


Conversione e missione: così il Vangelo può salvare i popoli e la terra dell’Amazzonia

Il filo rosso che attraversa il documento finale del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia

 di ANDREA TORNIELLI 

«Abbiamo la nostra visione del cosmo, il nostro modo di guardare il mondo che ci circonda. La natura ci avvicina di più a Dio. Ci avvicina guardare il volto di Dio nella nostra cultura, nel nostro vivere. Noi come indigeni viviamo l’armonia con tutti gli esseri viventi… Non indurite il vostro cuore, dovete addolcire il vostro cuore. Questo è l’invito di Gesù. Ci invita a vivere uniti. Crediamo in un solo Dio. Dobbiamo restare uniti. Questo è quello che noi desideriamo come indigeni. Abbiamo i nostri riti, però questo rito deve incardinarsi nel centro che è Gesù Cristo».
Una delle testimonianze più forti e più vive, tra quelle ascoltate dai partecipanti al Sinodo dei vescovi dell’Amazzonia, l’ha offerta Delio Siticonatzi Camaiteri, membro del popolo Ashaninca. Ancora una volta si è verificato ciò che più volte Papa Francesco ha insegnato con il suo magistero: si esce per annunciare il Vangelo ed essere vicini ai più poveri, agli scartati e agli indifesi non per “portare” qualcosa ma innanzitutto per essere evangelizzati, cioè per incontrare il volto del Dio di Gesù Cristo nei volti di questi nostri fratelli.
Il documento finale del Sinodo, frutto del discernimento comune dei vescovi dell’Amazzonia e di altre parti del mondo radunati dal Successore di Pietro, presenta il filo rosso di una triplice conversione: ecologica, culturale e sinodale. Una triplice conversione per realizzarne una quarta, quella pastorale, al fine di annunciare con rinnovato slancio missionario il Vangelo di Gesù Cristo in queste terre. Infatti, a fondamento di queste quattro conversioni - sottolinea il documento - c’è «l’unica conversione al Vangelo vivente, che è Gesù Cristo».
I drammi che vive quell’immenso e poco popolato territorio, attraversato da fiumi e ricco di biodiversità, definito nel documento “cuore biologico” del pianeta, sono un esempio dei drammi che viviamo in questo tempo. I cambiamenti climatici, la deforestazione, il depredamento rapace delle risorse, l’abbandono in cui vivono i popoli autoctoni, le sfide rappresentate dalla crescita delle periferie delle metropoli, le migrazioni interne ed esterne, le violenze perpetrate sui più deboli. Tutto ciò sfida i cristiani e li richiama alle loro responsabilità.
Dal documento finale emerge chiaramente la necessità di un cambio di passo, che non potrà mai essere frutto di strategie di marketing missionario o soltanto di nuove strutture ecclesiali. C’è bisogno di tornare alla sorgente, a quel “centro” testimoniato con passione da Delio. L’Amazzonia ha bisogno innanzitutto della sovrabbondanza della grazia, di uomini e donne che amano Gesù e lo scoprono nei volti, nei drammi, nelle ferite dei popoli dimenticati e sfruttati.
Tutto ciò che nel testo consegnato dai vescovi al Papa viene suggerito - dalla nascita di reti ecclesiali per le comunità amazzoniche all’istituzione di specifici organismi per radunare i vescovi della regione, dalla proposta di nuovi ministeri laicali per le donne che rappresentano le vere colonne di molte comunità all’invito rivolto alle congregazioni religiose perché mandino missionari in quelle terre, la necessità di inculturare meglio nella liturgia le tradizioni e le lingue dei popoli autoctoni, fino alla proposta di rilanciare il diaconato permanente studiando anche la possibilità di arrivare all’ordinazione sacerdotale di diaconi permanenti sposati - trova un suo contesto e una sua luce in quella conversione che Francesco ha proposto fin dall’inizio del suo pontificato con l’esortazione Evangelii gaudium.
Il Sinodo che si conclude dopo aver ascoltato il grido dei popoli amazzonici non è stato un incontro “politico”: è stato invece un evento ecclesiale, in ascolto dello Spirito Santo, per cercare nuovi cammini di evangelizzazione, nella consapevolezza che tutto è connesso e che per i cristiani l’interesse e la preoccupazione per la salvaguardia dei poveri e degli scartati, per la cura e la difesa del creato che Dio ha affidato alla custodia degli uomini, non è un optional, ma scaturisce dal cuore della nostra fede.
Infine, da questo Sinodo giunge un appello all’unità di tutta la Chiesa, a camminare insieme, guidati dallo Spirito Santo. È l’appello che viene da Delio, dagli indigeni dell’Amazzonia: «Non indurite il vostro cuore … Questo è l’invito di Gesù. Ci invita a vivere uniti … Dobbiamo restare uniti … nel centro che è Gesù Cristo».

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