giovedì 30 agosto 2018

GIOVANI E RELIGIOSITA', ESPLORATORI DELL'IGNOTO

OLTRE IL «DIO INGABBIATO», UNO SCENARIO INEDITO

 Non sono 'contro' ma 'dopo' la religione.
Quale corrente seguono i «Millennials», come uccelli migratori, per spostarsi da un mondo religioso a loro avviso troppo stretto verso nuove regioni inesplorate dello spirito?

di Stefano Didone*

«Penso che sia possibile avere un rapporto con Dio a prescindere dalla Chiesa... per cui non credo sia necessario dover andare in chiesa per forza ogni domenica». La voce di questa ragazza, intervistata nell’ambito della indagine su giovani e fede svolta dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo (cfr. a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2015), esprime il sentire profondo di molti suoi coetanei, anche tra quelli più 'vicini' e partecipi alle varie esperienze ecclesiali. Giovani che si mostrano 'allergici' di fronte a qualsiasi forma strutturata e 'preconfezionata' della fede, eppure assetati di risposte vere di fronte alle domande che contano: perché il dolore e la morte? Qual è il senso della mia esistenza? C’è un Dio? Le paure che li abitano sono quelle di sempre: paura di rimanere soli nella vita e senza affetto. Grattando via la vernice che molta letteratura sulla condizione giovanile imprime su di loro (dai 'nativi digitali' ai 'nichilisti attivi'), appare improprio parlare di una vera e propria 'mutazione antropologica' nel caso dei Millennials (e per la 'generazione Zeta' aspettiamo ancora a dire). Forse si tratta più semplicemente di ascoltarli in profondità e di avviare con loro nuovi percorsi per interpretare insieme le domande e le paure vere dell’esistenza umana. È quello il crocevia giusto in cui riannodare eventualmente le fila con le grandi tradizioni spirituali.
I n vista del Sinodo dei Giovani di ottobre molte diocesi hanno realizzato delle 'campagne di ascolto' attraverso questionari o altre iniziative nelle scuole, università e ambienti pubblici (come le 'tende nelle piazze'). I risultati sono difficilmente sintetizzabili anche se il trend appare ormai chiaramente. In uno dei questionari, realizzato in una diocesi del Nord Italia, alla domanda relativa alla rilevanza della religione («Nella tua vita, quanto è importante la religione?»), la maggior parte delle risposte oscilla tra «abbastanza», «poco» e «niente». Queste risposte vanno riconosciute per quello che esprimono, come indicatori di una frattura profonda, nei giovani, tra l’esperienza religiosa così come l’hanno conosciuta e vissuta finora e la domanda di spiritualità 'a tutto campo' che c’è in loro.
Il Rapporto Giovani 2018 consegna dati cristallini, dai quali si ricava l’impressione che il solco scavato sia già profondo: al Nord e al Centro i giovani che si dichiarano cattolici sono sotto il 50% e coloro che dichiarano di frequentare la chiesa una volta la settimana sono l’11,7%. Il 25,1% non frequenta mai. L’impressione generale, ha osservato Paola Bignardi, è che «il discorso specificamente religioso si sia ulteriormente indebolito, mentre le domande esistenziali e il bisogno di spiritualità si siano addirittura rinforzati, in una situazione in cui si sono rarefatte le risposte o è stata rifiutata la tradizione religiosa». M a quali sono i tratti emergenti del loro «bisogno di spiritualità»? Quale corrente seguono i giovani, come uccelli migratori, per spostarsi da un mondo religioso a loro avviso troppo stretto verso nuove regioni inesplorate dello spirito? In primo luogo, vi è una grande diversità di tempi e di modi nella loro esperienza. La spiritualità dei giovani appare multiforme, non codificata, non 'contro' la religione, ma 'dopo' la religione. Una generazione che cerca una spiritualità molto 'personalizzata', la cui caratteristica principale è favorire il rapporto con se stessi e la propria interiorità. Di fronte a una decisione hanno bisogno di più tempo per fidarsi, ma ciò non significa che prima o poi arrivino a farlo. La differenza con la tradizione religiosa cristiana appare marcata da una sorta di 'sbarramento' nei confronti di un modo di presentare Dio troppo 'ingabbiato', ma non sono chiusi ai racconti dei testimoni dell’invisibile. La possibilità di una forma di relazione con un Dio personale è tendenzialmente collocata nell’ambito delle 'opinioni personali in ambito religioso', ma quando scoprono che il nome di Dio non è la paura, ma l’amore, le cose cambiano.
L’ Instrumentum laboris in vista del Sinodo utilizza il termine «varietà» per esprimere i diversi percorsi e riconosce che i giovani sono «aperti alla spiritualità, anche se il sacro risulta spesso separato dalla vita quotidiana» (n.29). È questa la separazione che la Chiesa è chiamata a ricucire, non mettendo una toppa sopra lo strappo ma con «il vestito nuovo» (Lc 5,36) dell’empatia, dell’ascolto e della vicinanza. In secondo luogo, la spiritualità dei giovani si esprime attraverso canali preferibilmente destrutturati e legati alla propria biografia. L’ambiente digitale è la loro acqua e la decostruzione dei linguaggi il loro alfabeto.
Immagini, profili, citazioni, simboli: la domanda di spiritualità è dentro il grande calderone multimediale, ma in forma discreta e sottotraccia, mai esibita perché segue la corrente opposta dell’imperativo della condivisione a tutti i costi. C’è soprattutto l’idea che l’esperienza spirituale debba essere anzitutto un percorso personale e legato alla vita, un’esperienza che passi per la 'cruna dell’ego', ma senza restare incagliati. La gelosa difesa della propria soggettività non è vissuta come chiusura alla possibilità di un incontro, ma condizione per la sua autenticità. In terzo luogo, la spiritualità dei giovani è alla ricerca di figure significative, 'guide' che si affianchino, non che si impongano. Quante volte mi sono sentito dire nel dialogo personale con gli universitari: 'Caro don, sono proposte interessanti, ma non chiedermi nulla', restituendomi chiaramente l’impressione di una Chiesa che ai giovani deve sempre 'proporre' o chiedere qualcosa. Fosse anche solo compilare un questionario. Occorre ricostruire un rapporto all’insegna della vicinanza e della gratuità dell’ascolto, dedicando più tempo all’incontro, anche a quelli più fortuiti. Non cercano figure eroiche, l’importante è che non siano giudicanti.
L a sfida che sembra delinearsi per la Chiesa consiste nel rendere nuovamente affascinante l’incontro con il Dio di Gesù Cristo, colui che è 'più interiore' alla propria stessa interiorità. Il Dio di Agostino appare quello più vicino alla sensibilità dei Millennials, giustamente gelosi della propria unicità personale, non 'senza fede', ma casomai 'senza religione' e in ogni caso contro ogni massificazione e intruppamento. Sempre nell’Instrumentum si legge che «in diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana, ma occorre riconoscere che non sempre i pastori sono capaci di entrare in sintonia con le specificità generazionali di queste attese» (n.30).
Se la Chiesa riesce a presentarsi ai giovani con il vestito nuovo della misericordia, forse anche la domanda di spiritualità troverà nuovi canali di espressione e nella borsa dei giovani riguadagnerà quotazione il Vangelo del Regno. Ma questo richiede tempo e fiducia. Ha scritto Chiara Giaccardi: «Non si può chiedere a qualcuno di avere fede se non gli si dà fiducia, perché il movimento è lo stesso: fede, fiducia, fedeltà vengono da fides, corda. La fede non è un insieme di contenuti. È un legame (di amore, di filiazione). Solo 'in cordata' possiamo camminare con coraggio, perché se qualcuno cade gli altri lo tengono». Lo Spirito forse sta tracciando nuovi sentieri non per 'deboli di cuore', e i giovani più sensibili sono i primi a saperli riconoscere. È tempo di dare loro fiducia.

*Docente di Teologia alla Facoltà teologica del Triveneto

www.avvenire.it  



giovedì 16 agosto 2018

RITA BORSELLINO. UNA VITA PER L'IMPEGNO CIVILE E PER LA LOTTA ALLA MAFIA

E' morta Rita Borsellino: ha dedicato la sua vita all'impegno civile e alla lotta alla mafia.

"Con coraggio e determinazione, ha raccolto l’insegnamento del fratello Paolo, diventando testimone autorevole e autentica dell’antimafia e punto di riferimento per legalità e impegno per migliaia di giovani". (Mattarella, presidente della Repubblica).

Guide e scout ricordano con gratitudine il suo impegno a favore dell'educazione, la sua presenza in centinaia di incontri e di eventi educativi, per aiutare i ragazzi e i giovani a percorrere vie di legalità e giustizia, superando ogni tentazione di violenza e ogni forma di mentalità mafiosa.

Le sue appassionate parole, la sua vita siano per ogni guida e scout di stimolo a far sempre meglio perché tutta la vita e ogni ambiente educativo siano spazio fecondo di maturazione di comportamenti basati sui valori della non violenza, della giustizia, della cittadinanza attiva.

Motivazione della benemerenza consegnata a Rita Borsellino  dall'AGESCI  il 1° maggio 2017 :
Tenace testimone della speranza per una società migliore, Rita Borsellino ha dato un volto, un calore vivo ed uno stile di pacatezza e di verità all’impegno nella lotta alla mafia.
Ha incontrato instancabilmente ragazze e ragazzi, dedicando loro tempo, attenzione ed il racconto della vita, delle idee e delle scelte di Paolo Borsellino.
Ha voluto affidare all’AGESCI in particolare l’impegno a mant
enerne viva la memoria e a raccogliere la volontà della famiglia di fare della Via d’Amelio - luogo della strage -, uno spazio di preghiera ed un luogo simbolo dell’impegno propositivo e costruttivo per la giustizia e la legalità.
Negli ultimi venticinque anni migliaia di scout, nel corso di diverse esperienze, hanno potuto incontrare la forza, il coraggio ed il sorriso
di #RitaBorsellino.







domenica 12 agosto 2018

Papa Francesco: SOGNATE IN GRANDE

PAPA FRANCESCO AI GIOVANI:
" ………  I sogni sono importanti. Tengono il nostro sguardo largo, ci aiutano ad abbracciare l’orizzonte, a coltivare la speranza in ogni azione quotidiana. E i sogni dei giovani sono i più importanti di tutti. Un giovane che non sa sognare è un giovane anestetizzato; non potrà capire la vita, la forza della vita. I sogni ti svegliano, di portano in là, sono le stelle più luminose, quelle che indicano un cammino diverso per l’umanità. Ecco, voi avete nel cuore queste stelle brillanti che sono i vostri sogni: sono la vostra responsabilità e il vostro tesoro. Fate che siano anche il vostro futuro! E questo è il lavoro che voi dovete fare: trasformare i sogni di oggi nella realtà del futuro, e per questo ci vuole coraggio, come abbiamo sentito da tutti e due. Alla ragazza dicevano. “No, no: studia economia perché con questo morirai di fame”, e al ragazzo  che “sì, il progetto è buono ma togliamo questo pezzo e questo e questo …”, e alla fine non è rimasto niente. No! Portare avanti con coraggio, il coraggio davanti alle resistenze, alle difficoltà, a tutto quello che fa che i nostri sogni siano spenti.
Certo, i sogni vanno fatti crescere, vanno purificati, messi alla prova e vanno anche condivisi. Ma vi siete mai chiesti da dove vengono i vostri sogni? I miei sogni, da dove vengono? Sono nati guardando la televisione? Ascoltando un amico? Sognando ad occhi aperti? Sono sogni grandi oppure sogni piccoli, miseri, che si accontentano del meno possibile? I sogni della comodità, i sogni del solo benessere: “No, no, io sto bene così, non vado più avanti”. Ma questi sogni ti faranno morire, nella vita! Faranno che la tua vita non sia una cosa grande! I sogni della tranquillità, i sogni che addormentano i giovani e che fanno di un giovane coraggioso un giovane da divano. E’ triste vedere i giovani sul divano, guardando come passa la vita davanti a  loro. I giovani – l’ho detto altre volte – senza sogni, che vanno in pensione a 20, 22 anni: ma che cosa brutta, un giovane in pensione! Invece, il giovane che sogna cose grandi va avanti, non va in pensione presto. Capito? Così, i giovani.
E la Bibbia ci dice che i sogni grandi sono quelli capaci di essere fecondi: i sogni grandi sono quelli che danno fecondità, sono capaci di seminare pace, di seminare fraternità, di seminare gioia, come oggi; ecco, questi sono sogni grandi perché pensano a tutti con il NOI……. "


TEMPO DI TRASFORMAZIONI RADICALI


Comprenderle per non restare disorientati

È indispensabile segnalare, sia pure in modo sommario, alcuni cambi di paradigma socio-culturale. Il primo riguarda lo stesso concetto di cultura che non ha più l’originaria accezione intellettuale illuministica di aristocrazia delle arti, scienze e pensiero, ma ha assunto caratteri antropologici trasversali a tutti i settori del pensare e agire umano, recuperando l’antica categoria di paideia e humanitas, i due termini che indicavano nella classicità la cultura (vocabolo allora ignoto se non per l’“agri-cultura”). Per questo il perimetro del concetto è molto ampio e coinvolge, ad esempio, la cultura industriale, contadina, di massa, femminile, giovanile e così via.
 
Essa si esprime, poi, oltre che nelle civiltà nazionali e continentali, anche in linguaggi comuni e universali, veri e propri nuovi “esperanto”, come la musica, lo sport, la moda, i media. Conseguenza evidente è nel fenomeno del multiculturalismo, che è però un concetto statico di pura e semplice coesistenza tra etnie e civiltà differenti: più significativo è quando diventa interculturalità, categoria più dinamica che suppone un’interazione forte con cui le identità entrano in dialogo, sia pure faticoso, tra loro.
 
Questo incontro è favorito dall’urbanesimo sempre più dominante. Al dato positivo dell’osmosi tra le culture si associano alcuni corollari problematici tra loro antitetici. Da un lato, il sincretismo o il “politeismo dei valori” che incrina i canoni identitari e gli stessi codici etici personali; d’altro lato, la reazione dei fondamentalismi, dei nazionalismi, dei sovranismi, dei populismi, dei localismi (tant’è vero che ora si parla di “glocalizzazione” che sta minando l’ancora dominante globalizzazione).
 
L’erosione delle identità culturali, morali e spirituali e la stessa fragilità dei nuovi modelli etico-sociali e politici, la mutevolezza e l’accelerazione dei fenomeni, la loro fluidità quasi aeriforme (codificata ormai nella simbologia della “liquidità” prospettata da Bauman) incidono evidentemente anche sull’antropologia.
 
Il tema è ovviamente complesso e ammette molteplici analisi ed esiti. Indichiamo solo il fenomeno dell’io frammentato, legato al primato delle emozioni, a ciò che è più immediato e gratificante, all’accumulo lineare di cose più che all’approfondimento dei significati. La società, infatti, cerca di soddisfare tutti i bisogni ma spegne i grandi desideri ed elude i progetti a più largo respiro, creando così uno stato di frustrazione e soprattutto la sfiducia in un futuro.
 
La vita personale è sazia di consumi eppur vuota, stinta e talora persino spiritualmente estinta. Fiorisce, così, il narcisismo, ossia l’autoreferenzialità che ha vari emblemi simbolici come il selfie, la cuffia auricolare, o anche il “branco” omologato, la discoteca o l’esteriorità corporea.
 
Ma si ha anche la deriva antitetica del rigetto radicale espresso attraverso la protesta fine a se stessa, il bullismo, la violenza verbale sulle bacheche informatiche o l’indifferenza generalizzata ma anche con la caduta nelle tossicodipendenze o con gli stessi suicidi in giovane età. Si configura, quindi, un nuovo fenotipo di società.
 
Per tentare un’esemplificazione significativa – rimandando per il resto alla sterminata documentazione sociologica elaborata in modo continuo – proponiamo una sintesi attraverso una battuta del filosofo Paul Ricoeur: «Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’atrofia dei fini». Domina, infatti, il primato dello strumento rispetto al significato, soprattutto se ultimo e globale.
 
Pensiamo alla prevalenza della tecnica (la cosiddetta “tecnocrazia”) sulla scienza; oppure al dominio della finanza sull’economia; all’aumento di capitale più che all’investimento produttivo e lavorativo; all’eccesso di specializzazione e all’assenza di sintesi, in tutti i campi del sapere, compresa la teologia; alla mera gestione dello Stato rispetto alla vera progettualità politica; alla strumentazione virtuale della comunicazione che sostituisce l’incontro personale; alla riduzione dei rapporti alla mera sessualità che emargina e alla fine elide l’eros e l’amore; all’eccesso religioso devozionale che intisichisce anziché alimentare la fede autentica e così via.
 
Un altro esempio “sociale” (ma nel senso di social) che anticipa il discorso più specifico, che svolgeremo successivamente, è quello espresso da un asserto da tempo formalizzato: «Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni», asserto che coinvolge un tema fondamentale come quello di verità (e anche di “natura umana”).
 
Il filosofo Maurizio Ferraris, studiandone gli esiti sociali nel saggio Postverità e altri enigmi (Il Mulino 2017), commentava: «Frase potente e promettente questa sul primato dell’interpretazione, perché offre in premio la più bella delle illusioni: quella di avere sempre ragione, indipendentemente da qualunque smentita».
 
Si pensi al fatto che ora i politici più potenti impugnano senza esitazione le loro interpretazioni e postverità come strumenti di governo, le fanno proliferare così da renderle apparentemente “vere”. Ferraris concludeva: «Che cosa potrà mai essere un mondo o anche semplicemente una democrazia in cui si accetti la regola che non ci sono fatti ma solo interpretazioni?».
 
Soprattutto quando queste fake news sono frutto di una manovra ingannatrice ramificata lungo le arterie virtuali della rete informatica? Infine affrontiamo solo con un’evocazione la questione religiosa. La “secolarità” è un valore tipico del cristianesimo sulla base dell’assioma evangelico «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio», ma anche della stessa Incarnazione che non cancella la sarx per una gnosi spiritualistica.
 
Proprio per questo ogni teocrazia o ierocrazia non è cristiana, come non lo è il fondamentalismo sacrale, nonostante le ricorrenti tentazioni in tal senso. C’è, però, anche un “secolarismo” o “secolarizzazione”, fenomeno ampiamente studiato (si veda, ad esempio, l’imponente e famoso saggio L’età secolare di Charles Taylor, del 2007) che si oppone nettamente a una coesistenza e convivenza con la religione.
 
E questo avviene attraverso vari percorsi: ne facciamo emergere due più sottili (la persecuzione esplicita è, certo, più evidente ma è presente in ambiti circoscritti). Il primo è il cosiddetto “apateismo”, cioè l’apatia religiosa e l’indifferenza morale per le quali che Dio esista o meno è del tutto irrilevante, così come nebbiose, intercambiabili e soggettive sono le categorie etiche.
 
È ciò che è ben descritto da papa Francesco nell’Evangelii gaudium: «Il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede posto all’apparenza... Si ha l’invasione di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite» (n. 62).
 
Il pontefice introduce anche il secondo percorso connettendolo al precedente: «Esso tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo; con la negazione di ogni trascendenza ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, dando luogo a un disorientamento generalizzato» (n. 64).
 
Concludendo è, però, importante ribadire che l’attenzione ai cambi di paradigma socio-culturali non dev’essere mai né un atto di mera esecrazione, né la tentazione di ritirarsi in oasi sacrali, risalendo nostalgicamente a un passato mitizzato.
 
Il mondo in cui ora viviamo è ricco di fermenti e di sfide rivolte alla fede, ma è anche dotato di grandi risorse umane e spirituali delle quali i giovani sono spesso portatori: basti solo citare la solidarietà vissuta, il volontariato, l’universalismo, l’anelito di libertà, la vittoria su molte malattie, il progresso straordinario della scienza, l’autenticità testimoniale richiesta dai giovani alle religioni e alla politica e così via. Ma questo è un altro capitolo molto importante da scrivere in parallelo a quello finora abbozzato.

 Gianfranco Ravasi
 rticolo tratto da www.avvenire.it)