giovedì 17 marzo 2022

INSIEME E' MEGLIO

LA RIVINCITA DEL FARE INSIEME

 

In un contesto in grande evoluzione gli schemi individualisti del passato creano incertezze incolmabili. Quest’epoca ci chiede di tornare a camminare includendo

 

-         di GABRIELE GABRIELLI

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Il tempo che viviamo ha diverse sfaccettature, dipende dalle prospettive e dalle sensibilità con le quali lo si guarda. Ce n’è una, forse, più prepotente delle altre: è quella che guarda al tempo come dimensione nella quale tutto ci sfugge di mano, non riuscendo a star dietro alla velocità dei cambiamenti che ci propone. Ogni cosa ci appare fragile e al tempo stesso sproporzionata rispetto alle nostre capacità. Tutta la società così diventa accelerata, popolata da donne e uomini che corrono, si incrociano senza toccarsi, procedono con lo sguardo rivolto a terra. È il tempo in cui le relazioni diventano altro: si digitalizzano, perdono sostanza preferendo una leggerezza senza responsabilità. Un contesto nel quale la solitudine irrompe, senza fare distinzioni, nella vita rumorosa dei più giovani e in quella silenziosa e ritirata degli anziani.

Nel cuore delle persone, allora, pulsano con forza domande come queste: dove sto correndo? Che senso ha questo vivere affaticato e triste? Come stanno i miei figli e cosa pensano? Sono felici? E gli altri dove sono finiti? Quando li ho persi di vista? Tutto prende il colore dell’incertezza con le sue variegate tonalità: paura, ansia, solitudine, pessimismo, apatia, immobilismo, chiusura, depressione. Nel lavoro poi il senso di incertezza causato da fattori come riorganizzazioni repentine, modelli di leadership che tengono costantemente sotto pressione le persone, ruoli che frantumano i contenuti del lavoro rendendoli elementi da ricomporre flessibilmente, diventa fonte di disadattamento. Le implicazioni sulla salute sono numerose.

L’incertezza è categoria complessa e multidimensionale. Quando la viviamo percepiamo un senso di sbandamento perché tutto si muove, si alimenta un senso di instabilità che crea quel profondo disagio che si prova quando tutto sembra fuori controllo e dalla nostra portata. Ci strattona violentemente inducendo a pensare che non possiamo fare niente. Però, come dimensione dell’umano, l’incertezza è anche straordinaria occasione generativa di consapevolezza e crescita individuale e collettiva.

Da questa prospettiva essa apre alla ricerca, sollecita l’immaginazione di opzioni, esplora nuove possibilità. Mettersi in spalla il suo zaino per attraversarla e farne esperienza può essere vitale. Riacquistare fiducia in sé stessi e negli altri, rimettendo al centro il senso della vita come scoperta e ragione del nostro esistere, può rappresentare l’agenda di un rinnovato impegno di ricerca personale, comunitario, sociale. Decidere con consapevolezza gli attrezzi che vogliamo mettere nello zaino può essere metafora utile per riflettere sull’incertezza come tratto significativo di questo tempo.

Possiamo farci guidare da tre criteri che individuano altrettanti livelli di analisi: l’individuo, gli altri, la società con le sue istituzioni. Questi quasi due anni di socialità intermittente hanno generato in molti casi il potenziamento di un dialogo interiore che frettolosamente avevamo messo a tacere. Abbiamo rispolverato il perché della nostra vita e il senso della nostra presenza. La sponda del dialogo interiore ha consentito a molti di mettersi in sicurezza e di sollevare lo sguardo, alzandolo dalla ristretta vista

dei propri passi per allargarlo e per condividere le orme degli altri. Ascoltarsi in profondità costituisce un’àncora di salvezza, non c’è appiglio più necessario e sicuro del dialogo con sé stessi per ritrovare le coordinate della vita.

Il cammino per attraversare l’incertezza e farne esperienza, però, ha bisogno anche di altre risorse perché non viaggiamo da soli, siamo in compagnia. Nello zaino che portiamo sulle spalle ci sono gli altri, il cammino si fa insieme. Questa è la seconda sponda a cui aggrapparci. Qui l’immagine è ben diversa da quella da cui siamo partiti. Camminare insieme significa volgere lo sguardo verso una direzione comune; vuol dire aiutarsi reciprocamente in una sorta di grande laboratorio di ascolto orizzontale. Occorre un’altra sponda per completare il piano del viaggio perché sia sicuro. Il cammino, infatti, deve essere inclusivo perché sono in tanti a compierlo. Occorre sviluppare quel senso di un destino comune che unisce con legami invisibili tutti gli esseri. È questa interdipendenza concreta fra tutti gli esseri umani che sarà capace di svelarci nuove possibilità per affrontare i rischi e le incertezze di quest’epoca.

 

www.avvenire.it

 

giovedì 10 marzo 2022

ADOLESCENTI, COVID e GUERRA

InAdatti: Covid e adolescenti

 Scholas Occurrentes ha voluto parlare di giovani nell’anniversario del lockdown mentre la guerra è entrata nelle case di tutti.

Dai rappresentanti delle istituzioni presenti sono arrivati sostegno e apprezzamento per l’iniziativa: “Il lavoro che stiamo facendo insieme a Scholas attraverso il nostro protocollo sta andando nella giusta direzione, soprattutto in questo momento difficile. Oggi più che mai abbiamo bisogno di solidarietà, vicinanza, condivisione e sostegno, soprattutto per chi è in difficoltà. Credo che il lavoro di istituzioni come Scholas aiuti a guarire le ferite, soprattutto evidenziando il lavoro congiunto con la comunità” ha affermato il ministro della salute Roberto Speranza.


E di un lavoro istituzionale a favore della salute emotiva dei giovani parla il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: “Credo che il lavoro che stiamo facendo insieme a Scholas sia fondamentale perché è un lavoro che parte dalle persone e, soprattutto, parte dalle difficoltà e dal disagio delle persone e per questo dobbiamo lavorare per ricostruire un senso di comunità.". Di comunità ha anche parlato Elena Bonetti, ministra alle Pari Opportunità e Famiglia: “Noi italiani ci siamo mostrati rispettosi per le regole. Code perfettamente silenziose e distanziate fuori dai supermercati, senza la minima protesta. È scattato quel senso di comunità e le famiglie sono state la rete di tutto questo”.

Di comunità e famiglia, questa volta digitali, nella tavola rotonda moderata da Milly Tucci (Ambassador dell’evento per volontariato) parla Costanza Andreini (Public Policy Manager Meta): “Unire comunità ci unisce alla Fondazione Scholas Occurrentes, noi lo facciamo dal lato digitale - dice - il mio è un invito a riflettere sul fatto che usare i social non significa saperli usare. Meta, infatti, investe nella creazione di consapevolezza e cultura perché i ragazzi vanno accompagnati nell’avventura digitale, non solo per proteggerli ma anche per fornire loro le chiavi di lettura dell’online. Take a break, per esempio è un promemoria che invita a non passare troppo tempo sui social, uno strumento ed un invito alla consapevolezza”.

 La riflessione su giovani e digitale continua con Martina Colasante (Government Affairs & Public PolicyManager Google) che emozionata ricorda il contributo determinante del motore di ricerca nella didattica a distanza, che ha permesso ai giovani di continuare a studiare. “Oggi i più piccoli devono confrontarsi con immagini violente in cui ci sono volti e storie di bambini – precisa – noi responsabilmente, come abbiamo fatto durante la pandemia, cercheremo di contrastare la disinformazione con una strategia che pone in evidenza le fonti autorevoli, quali sono le istituzioni”. La formazione è importante anche per Google che ha creato percorsi per ragazzi, docenti, genitori e nonni allo scopo di aiutarli a sviluppare lo spirito critico: “Mettiamo in grado le persone di saper riconoscere le fonti giuste - conclude Martina Colasante –. Abbiamo anche inventato una sorta di vademecum, distribuito nelle scuole, che aiuta a muovere i primi passi in un mondo in cui l'informazione diventa sempre più complessa”.

 Giacomo Lev Mannheimer di Tik Tok dice che la caratteristica della sua piattaforma è la contaminazione, niente like o follower, e riporta del caso #Bookstock, hashtag che ha prodotto 25 miliardi di visualizzazioni ed ha addirittura attratto l'interesse delle case editrici di libri.

 Derrick de Kerckhove, sociologo esperto del mondo digitale e direttore scientifico di TuttiMedia/MediaDuemila partner dell’evento, parla di tempi interessanti ma difficili da gestire: “Che tu possa vivere in tempi interessanti. Questa antica maledizione cinese trova la sua piena realizzazione nell’oggi, nel terrorismo con la caduta delle torri gemelle a New York City, nella pandemia senza fine con il covid-19 ed ora anche nella minaccia di una guerra nucleare, con allo sfondo una catastrofe ambientale dovuta al cambiamento climatico. È interessante notare che una giovane adolescente, Greta Thunberg, a soli 15 anni è stata capace di accelerare la presa di coscienza globale. L'insicurezza è una delle condizioni più comuni nei giovani, in particolare nelle prime fasi della crescita. In questo contesto particolarmente simbolico puntiamo a soluzioni per capire come evitare o curare i traumi emotivi nelle diverse fasi della crescita, in una società globale”.

 Per Carlo Rodomonti, (marketing strategico e digital Rai Cinema) il disagio giovanile può essere aiutato anche con le produzioni di Rai Cinema che lo raccontano. Gli hikikomori , giovani rinchiusi in se stessi, sono protagonisti di un cortometraggio Rai : “Dare spazio ai racconti di storie complesse - afferma - permette di approfondire le tematiche più nascoste e più complesse della vita”.

 Di televisione occupata dai giovanissimi parla Marco Lanzarone (Rai Kids): “I giovanissimi, parlo dei bimbi fino a 6 anni dopo il 2020 hanno preso possesso del nostro programma attraverso i messaggi che mandavano ai loro cari. Con il Covid abbiamo capito di doverli ascoltare.”

 L’obiettivo della mattinata è stato raggiunto con Alessandra Graziosi (Fondazione Scholas Occurrentes Italia) che ha coinvolto relatori e spettatori in un tempo dedicato allo sguardo e allo stupore abbiamo condiviso le parole di dice Josè Maria Del Corral, direttore mondiale di Scholas Occurrentes direttore mondiale di Scholas Occurrentes: "I giovani sono diventati i nuovi veterani di guerra. Perché hanno appena combattuto una pandemia e adesso si trovano ad affrontare una nuova minaccia. Ecco perché in questo anniversario speciale vogliamo far capire le ricadute di questi avvenimenti sulla sfera emotiva dei giovani. Fino ad ora nessuno ha associato la pandemia e la guerra”.

L'iniziativa è stata organizzata grazie al sostegno e alla collaborazione con Osservatorio TuttiMedia.

Per vedere altra volta la diretta:

https://www.youtube.com/watch?v=6gttJabHYcU

Per maggiori informazioni:

redazione@mediaduemila.com

virginia.priano@scholasoccurrentes.org

giovedì 3 marzo 2022

IL DISAGIO DEGLI ADOLESCENTI


 Gli adolescenti 

e la domanda «nascosta»

 di significato


- «Ciò che caratterizza l’essere umano è l’essere un costruttore di senso, senza il quale egli si smarrisce».

L’affermazione dello scrittore e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goethe aiuta a riflettere sulle cifre dei suicidi che, secondo l’Istituto nazionale di statistica (Ine), stanno raggiungendo livelli drammatici: 3.941 nel 2020, di cui 1.479 riguardanti giovani e adolescenti per i quali il suicidio è la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali. Non passa giorno che la cronaca non riferisca di persone che si tolgono la vita per motivi assolutamente spropositati al gesto che compiono e per giunta nei modi più assurdi. I suicidi che avvengono nelle carceri sono quelli di cui più si parla: 12 nei primi due mesi di quest’anno. Meno si sa dell’incremento di giovanissimi che si rivolgono al “Telefono amico” e all’associazione “Samaritans onlus” per raccontare difficoltà quotidiane, problemi legati alla famiglia, al bullismo, alle sfide estreme su TikTok. Fa riflettere un dato che emerge dall’ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove le attività di consulenza nei riguardi degli adolescenti psichicamente disagiati sono passate dal 36% di prima della pandemia al 63% nel 2021. Al tempo del Covid il disagio adolescenziale viene generalmente attribuito all’impatto che il virus lascia sulla salute anche mentale, come riferisce una recente ricerca dell’Università Cattolica e della Fondazione

Soleterre. Ma da un rapido esame al tempo antecedente l’epidemia emerge che la familiarità con i gesti estremi dipende fondamentalmente dalla perdita del senso della vita. Non si capisce la morte se non si capisce la vita e non si ha il senso della morte, se non si ha il senso della vita. Al Forum di Incontri Interdisciplinari, organizzato dalla Fondazione Paolo VI, svolto il 9 febbraio scorso a Madrid, il presidente della Società di psichiatria di Madrid, José Luis Carrasco, ha attribuito la matrice dei tentativi di suicidio, cresciuti di dieci volte negli ultimi due anni, alla «paura che si impadronisce soprattutto dei giovanissimi in una società intrappolata dall’incertezza». L’attuale disagio esistenziale deriverebbe, secondo Carrasco, dall’intreccio tra gli effetti prodotti dalla pandemia sulla vita sociale, in particolare sulla vita relazionale, e il nichilismo presente nella cultura contemporanea, che relega al rango d’illusione la ricerca di una finalità da dare alla vita. Alla radice del suicidio non ci sarebbe solo l’epidemia o una delusione, ma la carenza di valori e l’assenza di maestri di vita autorevoli e significativi. Un segnale viene dal numero dei gesti autolesionistici compiuti da adolescenti, maggiori per chi vive in ambienti degradati rispetto ai coetanei appartenenti a solide famiglie cristiane. Chi è educato a guardare alla vita come a un dono di Dio vede le cose in altro modo, sente di essere servitore, non padrone, della propria e dell’altrui esistenza. Non casualmente Gesù, volendo riassumere la sostanza del suo insegnamento, dice: «Sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». In particolare, riflettendo sugli adolescenti che in un momento di disperazione, o di vuoto psicologico, si tolgono la vita, non si può escludere che nel loro gesto si nasconda una domanda di significato, una ricerca di fede nel Dio della vita, che la società non riesce a soddisfare. In tal senso l’impianto educativo va ripensato. Grande è la responsabilità degli adulti nell’abilitare gli adolescenti a diventare costruttori del loro futuro e nel trasmettere loro l’idea che il successo non dipende da traguardi prestigiosi da raggiungere, ma dall’essere se stessi con i propri talenti e i propri limiti. Ancor più delicato il compito degli educatori cristiani nell’aiutare gli adolescenti ad accogliere, dentro la loro progettualità, l’appello di Dio, nella convinzione che attraverso le vie della fede possono formulare un giudizio sulla coerenza della propria esistenza. È un punto essenziale dell’evangelizzazione, difficile da comprendere perché non si tratta della continuazione del catechismo dei bambini, ma di qualcosa da inventare e da percorrere!


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