Le persone mi chiedono se non ho mai paura.
Si.
Si a volte ho paura. Ho paura di attraversare la strada quando sono di fretta, per un motivo che nella maggioranza delle volte non mi appartiene. Paura di essere investito da un imbecille ubriaco e restare sull’asfalto senza capire nemmeno cosa mi sia successo.
Le persone mi chiedono se non mi sembra pericoloso ciò che faccio.
Si.
Si è pericoloso. Però non come fumare, compromettendo polmoni e cuore, respirando veleno di mia spontanea volontà. Non come stressarmi per mille motivi, con l’infarto in agguato, solo per sopravivere in questo delirio quotidiano.
Le persone mi chiedono perché ho scelto una disciplina fuori dagli schemi delle persone normali.
Si.
Si è fuori dagli schemi. Non quanto la vita folle che si fa per lavoro, una vita che non concede nulla a te stesso. Una vita che non fa che succhiarti l’energia per darti in cambio preoccupazioni su preoccupazioni e che se va bene ti dà la possibilità di comprare delle cose di cui nel profondo non ti frega quasi nulla.
Le persone mi chiedono se accadono incidenti.
Si.
Si accadono. Mai però gravi come un Ictus, che ti riduce un vegetale o quasi magari a cinquant’anni. Che ti fa diventare un peso per gli altri. Che ti fa guardare il mondo da dietro un velo di nulla. Che ti fa essere un’immagine di pena e tristezza per chiunque ti veda.
Le persone mi chiedono se questi mezzi sono sicuri.
No.
Non sempre lo sono. Mai però come una vita che si sfalda per ragioni inaspettate, come una unione di coppia che naufraga. Come una vita di lavoro che crolla e ti lascia pieno di debiti.
Le persone mi chiedono se questi mezzi cadono.
Si.
Si a volte cadono. Mai però come cade un uomo quando finisce in una corsia di ospedale per una malattia incurabile e perde tutta la sua dignità. Come un alcolizzato consapevole di distruggere la propria esistenza eppure continua, come un drogato che si uccide lentamente con dei veleni che finisce per odiare.
Le persone mi chiedono se non potevo evitare questi rischi.
Si.
Si potevo ma non voglio. Non voglio evitare il rischio di essere felice lassù. Se proprio potessi, vorrei evitare di morire in un letto, vecchio, inconsapevole e fuori di testa. Circondato da persone che a causa della mia condizione e del mio peso nelle loro vite, quasi non riescono più a provare amore per me ma solo una sommessa pena.
Ci sono più morti per milioni di altri motivi che per questo sogno.
E se nel mio destino fosse davvero scritto che proprio nelle ali, sia il mio aeroporto di arrivo, lo accetterò con gratitudine. La gratitudine di un uomo a cui sono state risparmiate infinite sofferenze e umiliazioni. La consapevolezza di aver lasciato per sempre questo terreno a cui non mi sono sentito forse mai troppo legato, in cambio di un ultimo volo senza uguali. La gioia di aver portato negli occhi paesaggi e tramonti meravigliosi, l’aver visto fiumi e case scorrere sotto di me, aver avuto prati da accarezzare con gli occhi nelle loro infinite sfumature. Colori di cielo negati agli altri. La meraviglia e lo stupore di ogni decollo, il rumore amico del motore che ti imprime la spinta, il coraggio delle ali che ti sostengono, la libertà di ogni virata e la pace profonda dopo ogni atterraggio.
Le persone mi chiedono se vale la pena fare tanti sforzi per volare.
Si.
Si ne vale la pena.
Patrizio Polce, pilota.
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