lunedì 1 marzo 2021

IL GRANDE LIBRO DEL CREATO


 Come Agostino, 

venerate la terra senza idolatrarla

 

-         GIANFRANCO RAVASI

      

C’è una sorta di mantra che viene recitato anche da coloro che non ne hanno un concetto preciso: è il vocabolo 'resilienza', dal latino resilire, 'rimbalzare', adatto a definire quella proprietà di alcuni materiali, come i metalli, di assorbire un urto senza rompersi, riprendendo la forma originaria. Traslato in ambito psicologico, sarebbe quel processo cognitivo, emotivo e comportamentale che rielabora il dolore, la perdita, il lutto, il trauma superandoli, ricostruendo il proprio impianto personale e sviluppando energie interiori prima ignote. È, quindi, possibile sperare, attraverso la stessa capacità umana di resilienza, nella ripresa della vita personale e comunitaria in pienezza? A questa fiducia di natura psico-fisica si deve, però, associare anche la missione che la fede espleta attraverso la virtù teologale della speranza e la consapevolezza del primato della grazia divina. Si suol dire che nella Bibbia per 365 volte risuona questo saluto divino: «Non aver paura». È quasi il 'buongiorno' che Dio ripete a ogni alba. Lo ripete idealmente anche in questo periodo così arduo. E per chi ha perso la fede si potrebbe proporre, invece, la confessione dello scrittore García Márquez: «Sfortunatamente, Dio non ha uno spazio nella mia vita. Nutro la speranza, se esiste, d’avere io uno spazio nella sua». 

Nell’enciclica Fratelli tutti papa Francesco ricorda che «quando parliamo di avere cura della casa comune, ci appelliamo a quel minimo di coscienza universale e di preoccupazione per la cura reciproca che ancora può rimanere nelle persone... Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità» (nn. 117-118). Il creato è, quindi, un nostro interlocutore comune anche perché è a tutti destinato. Il papa, citando i grandi Padri della Chiesa come Basilio, Ambrogio, Agostino, Pietro Crisologo, ribadisce il valore primario e fondamentale della destinazione universale dei beni creati (n. 119). In questa luce la terra coi suoi doni e frutti non è riducibile a un mero strumento né solo a uno scenario, perché è il principio vitale dell’esistenza delle creature viventi. Anzi, per l’uomo e la donna di tutti i tempi è possibile ritrascrivere liberamente, oltre che per il prossimo, il famoso precetto biblico anche così: «Ama la terra come te stesso». 

Sant’Agostino invitava a «venerare la terra», certo senza idolatrarla ma riconoscendone una parentela con noi, pur nella sua propria identità. In questa prospettiva, come abbiamo sperimentato durante questo tempo travagliato pandemico, dobbiamo riconoscere che essa ha i suoi segreti, i suoi enigmi, i suoi misteri. Il nostro atteggiamento nei suoi confronti potrebbe esprimersi anche in un ulteriore senso che potremmo affidare a un motto ottimistico: «Belle sono le cose che si vedono, più belle quelle che si conoscono, bellissime quelle che si ignorano». A formulare questa trilogia suggestiva che riguarda la nostra conoscenza è stato un grande scienziato danese il cui nome latinizzato è Nicola Stenone (Niels Steensen), vissuto tra il 1638 e il 1686, e per alcuni anni anche in Toscana. In lui l’altissimo livello della ricerca scientifica s’intrecciava con l’anelito religioso. Da un lato, infatti, fondamentali sono stati i suoi studi di anatomia (ad esempio il 'dotto di Stenone' nella parotide) e di geologia (la 'legge di Stenone' per i cristalli, oppure le sue analisi stratigrafiche). D’altro lato, si deve ricordare che fu anche un appassionato credente e vescovo di Hannover, proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1988. I tre livelli che egli propone sono un ideale itinerario della mente e dell’anima.

Certamente importante è la contemplazione della realtà, capace di generare stupore. Affascinante è il percorso che ci conduce oltre la superficie nella profondità, nei segreti della natura, del corpo e dello spirito. Ma, con umiltà, ogni grande scienziato e ogni autentico credente sente vibrare l’attrazione suprema che esercita l’ignoto. Non solo nell’infinitamente grande, ma anche nel microscopico, ogni scoperta rivela altri orizzonti ulteriori e sconosciuti da perlustrare. Nella scienza come nella fede, il mistero non è oscurità irrazionale, ma luce non ancora attinta eppur sempre vivace, e mai spenta. E sarà questa anche la lezione che la Bibbia ci offrirà nel percorso che stiamo intraprendendo.

 www.avvenire.it

G. Ravasi, Il grande libro del creato, ed. san Paolo, 2021, pagg. 464, € 22



 

 

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