nella morsa della crisi»
Il sociologo Gori: la pandemia sociale mette in ginocchio le
nuove generazioni e si abbatte anche sul Nord «Lo stop alle lezioni in aula? Fa
crescere gli abbandoni scolastici e certifica i divari. Un’ipoteca sul futuro»
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di PAOLO LAMBRUSCHI
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Si diventa poveri sempre più in fretta a causa del Covid.
Troppo in fretta. Le due fratture che la pandemia ha aperto nella società
italiana in un anno di lockdown e chiusure a ondate di cui ha parlato ieri il
Cardinale Bassetti si stanno allargando. Sono ormai oltre due milioni le
famiglie povere, con un aumento di 335mila unità rispetto al 2019, secondo
l’ultimo rapporto Istat sul 2020. E i cittadini interessati dal fenomeno sono
5,6 milioni, oltre un milione in più rispetto all’anno precedente. Cifre
spaventose, dietro le quali si leggono storie di famiglie, da qualche mese
costrette a ridurre i consumi (la spesa si è contratta del 9,1% nel 2020
rispetto al 2019) e in molti casi a cercare aiuto per mangiare, curarsi, pagare
gli studi ai figli. Le Caritas diocesane e parrocchiali hanno incontrato molte
di queste persone: non solo nelle regioni meridionali ma anche in quelle più
ricche. I dati Istat di fatto hanno confermato i numeri e le previsioni della
Caritas, segnalando che al Nord vivono ormai 218mila famiglie in povertà
assoluta. Per Cristiano Gori, docente di sociologia a Trento, studioso e
“lobbista dei poveri”, autore del recente volume Combattere la povertà, la
novità preoccupante non è solo il numero crescente di donne e uomini in fila ai
centri di ascolto parrocchiali e agli empori solidali, ma la rapidità
dell’impoverimento che ha determinato il restringimento della forbice tra Nord
e Sud del Paese.
Chi sono le persone che in un anno sono cadute a terra?
Molti sono nuovi poveri. La linea di sviluppo
dell’impoverimento è la stessa dell’epoca pre-Covid. Ha quindi
caratteristiche di trasversalità e interessa tutte le fasce
sociali con una concentrazione nelle fasce più giovani. La
novità è la rapidità della caduta di molti. Da anni parliamo di
povertà che rompe gli argini: la tendenza si è aggravata. I dati Istat
confermano lo sfondamento a Nord tra i giovani e le famiglie monoreddito dove
l’unico sostegno ha perso l’occupazione. Si pensi ad esempio ai lavoratori con
un contratto a termine non rinnovato. O alle madri sole con due figli che
tipicamente non fanno un lavoro protetto da una cassa integrazione lunga.
Domenica scorsa il Papa e ieri la Chiesa italiana con il
cardinale Bassetti nell’introduzione al Consiglio permanente insieme a diversi
vescovi nelle diocesi hanno richiamato il pericolo dell’infiltrazione della
criminalità organizzata tra i nuovi poveri con vere e proprie forme di welfare
mafioso. Che cosa ne pensa?
Sono d’accordo, il rischio è grosso. Ma un giudizio onesto
non può che essere ambivalente. Da una parte, le misure ordinarie e
straordinarie contro la povertà prese in quest’anno hanno funzionato. I poveri
assoluti sono cresciuti dal 7,7 al 9,4% , ma l’intensità della povertà di oggi
si è abbassata rispetto a quella di 12 mesi fa. Oggi ci sono più poveri, ma con
più risorse e un grado di povertà inferiore rispetto all’inizio della
pandemia. Dobbiamo interpretare i numeri anche sotto questo aspetto, ma è
altresì evidente che ci sono buchi nel sistema di protezione sociale in cui la
malavita può infilarsi.
E quali sono?
Il primo buco riguarda la povertà al Nord dove è cresciuto
maggiormente il numero degli indigenti. Il problema nel Mezzogiorno è
numericamente superiore, riguarda l’11% circa della popolazione, ma la caduta
del Nord (il 9%) è stata accelerata dalla crisi legata al Covid. Alcuni anni fa
il divario era superiore. Nel Settentrione il reddito di cittadinanza ha una
capacità protettiva minore perché, avendo una soglia di accesso uguale in tutte
le regioni, è penalizzante dove il costo della vita è superiore. Il secondo
buco riguarda le famiglie numerose. Il terzo le persone che hanno avuto un calo
di reddito, ma hanno conservato un piccolo patrimonio, il classico profilo da
crollo immediato.
La povertà educativa è invece più forte al Sud. Rischia di
aggravarsi?
Sì, quello che è successo quest’anno ha già messo un’ipoteca
sul futuro di una generazione. Con le sue difficoltà strutturali, l’Italia non
può permettersi le chiusura scolastiche: significa una perdita di opportunità
di vita con la crescita degli abbandoni scolastici. Ovviamente la Dad certifica
le disuguaglianze. Non basta avere un buon pc e una buona connessione. Occorre
una famiglia presente e dotata di buona cultura. Il compito della scuola è
proprio quello di ridurre i divari di partenza dando a tutti le stesse
opportunità.