Pubblichiamo l’omelia di
Papa Leone XIV alla Concelebrazione Eucaristica di Tor Vergata, il 3 agosto, in
occasione del Giubileo dei giovani.
Carissimi giovani,
dopo la Veglia vissuta
assieme ieri sera, ci ritroviamo oggi per celebrare l’Eucaristia, Sacramento
del dono totale di Sé che il Signore ha fatto per noi. Possiamo immaginare di
ripercorrere, in questa esperienza, il cammino compiuto la sera di Pasqua dai
discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35): prima si allontanavano
da Gerusalemme intimoriti e delusi; andavano via convinti che, dopo la morte di
Gesù, non ci fosse più niente da aspettarsi, niente in cui sperare. E invece
hanno incontrato proprio Lui, lo hanno accolto come compagno di viaggio, lo
hanno ascoltato mentre spiegava loro le Scritture, e infine lo hanno
riconosciuto allo spezzare del pane. I loro occhi allora si sono aperti e
l’annuncio gioioso della Pasqua ha trovato posto nel loro cuore.
La liturgia odierna non ci parla direttamente di questo episodio, ma ci aiuta a
riflettere su ciò che in esso si narra: l’incontro con Cristo Risorto che
cambia la nostra esistenza, che illumina i nostri affetti, desideri, pensieri.
La prima Lettura, tratta dal Libro del Qoelet, ci invita a prendere
contatto, come i due discepoli di cui abbiamo parlato, con l’esperienza del
nostro limite, della finitezza delle cose che passano (cfr Qo 1,2;2,21-23);
e il Salmo responsoriale, che le fa eco, ci propone l’immagine dell’«erba che
germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca» (Sal 90,5-6).
Sono due richiami forti, forse un po’ scioccanti, che però non devono
spaventarci, quasi fossero argomenti “tabù”, da evitare. La fragilità di cui ci
parlano, infatti, è parte della meraviglia che siamo. Pensiamo al simbolo
dell’erba: non è bellissimo un prato in fiore? Certo, è delicato, fatto di
steli esili, vulnerabili, soggetti a seccarsi, piegarsi, spezzarsi, e però al
tempo stesso subito rimpiazzati da altri che spuntano dopo di loro, e di cui
generosamente i primi si fanno nutrimento e concime, con il loro consumarsi sul
terreno. È così che vive il campo, rinnovandosi continuamente, e anche durante
i mesi gelidi dell’inverno, quando tutto sembra tacere, la sua energia freme
sotto terra e si prepara ad esplodere, a primavera, in mille colori.
Noi pure, cari amici, siamo fatti così: siamo fatti per questo. Non per una
vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera
costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un “di
più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e
bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere.
Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnerla con
surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui
salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra
dell’incontro con Dio. Ci troveremo di fronte a Lui, che ci aspetta, anzi che
bussa gentilmente al vetro della nostra anima (cfr Ap 3,20).
Ed è bello, anche a vent’anni, spalancargli il cuore, permettergli di entrare,
per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito.
Sant’Agostino, parlando della sua intensa ricerca di Dio, si chiedeva: «Qual è
allora l’oggetto della nostra speranza […]? È la terra? No. Qualcosa che deriva
dalla terra, come l’oro, l’argento, l’albero, la messe, l’acqua […]? Queste
cose piacciono, sono belle queste cose, sono buone queste cose» (Sermo 313/F,
3). E concludeva: «Ricerca chi le ha fatte, egli è la tua speranza» (ibid.).
Pensando, poi, al cammino che aveva percorso, pregava dicendo: «Tu [Signore]
eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo […]. Mi chiamasti, e il tuo grido
sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità;
diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai (cfr Sal 33,9; 1Pt 2,3)
e ho fame e sete (cfr Mt 5,6; 1Cor 4,11); mi
toccasti, e arsi di desiderio della tua pace» (Confessiones, 10, 27).
Hermanas y hermanos, son palabras muy hermosas, que nos
recuerdan lo que decía el Papa Francisco en Lisboa, durante la Jornada Mundial
de la Juventud, a otros jóvenes como ustedes: «Cada uno está llamado a
confrontarse con grandes preguntas que no tienen […] una respuesta simplista o
inmediata, sino que invitan a emprender un viaje, a superarse a sí mismos, a ir
más allá […], a un despegue sin el cual no hay vuelo. No nos alarmemos,
entonces, si nos encontramos interiormente sedientos, inquietos, incompletos,
deseosos de sentido y de futuro […]. ¡No estamos enfermos, estamos vivos!» (Discurso
en el encuentro con los jóvenes universitarios, 3 agosto 2023).
[Sorelle
e fratelli, sono parole bellissime, che ricordano quanto Papa
Francesco diceva a Lisbona, durante la Giornata Mondiale della Gioventù,
ad altri giovani come voi: «Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande
che non hanno […] una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a
compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre […], a un decollo
senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo
interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro
[…]. Non siamo malati, siamo vivi!» (Discorso per l’incontro con i Giovani
Universitari, 3 agosto 2023).]
There is a burning question in
our hearts, a need for truth that we cannot ignore, which leads us to ask
ourselves: what is true happiness? What is the true meaning of
life? What can free us from being trapped in meaninglessness, boredom and
mediocrity?
In recent days, you have had many beautiful experiences. You have met
other young people from different parts of the world and from diverse
cultures. You have exchanged knowledge, shared expectations and entered
into dialogue with the city through art, music, technology and sport. At
the Circus Maximus, you also approached the Sacrament of Penance and received
God’s forgiveness, asking for his help to live a good life.
[C’è
una domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo
ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero
gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della
mediocrità? Nei giorni scorsi avete fatto molte belle esperienze. Vi siete
incontrati tra coetanei provenienti da varie parti del mondo, appartenenti a
diverse culture. Vi siete scambiati conoscenze, avete condiviso aspettative,
avete dialogato con la città attraverso l’arte, la musica, l’informatica, lo
sport. Al Circo Massimo, poi, accostandovi al Sacramento della Penitenza, avete
ricevuto il perdono di Dio e avete chiesto il suo aiuto per una vita buona.]
In tutto questo potete cogliere una risposta importante: la pienezza della
nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo né, come abbiamo sentito
nel Vangelo, da ciò che possediamo (cfr Lc 12,13-21). È legata
piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere (cfr Mt 10,8-10; Gv 6,1-13).
Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi,
di guardare in alto, alle «cose di lassù» (Col 3,2), per renderci
conto che tutto ha senso, tra le realtà del mondo, solo nella misura in cui
serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità, facendo crescere in noi
«sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità»
(Col 3,12), di perdono (cfr ivi, v. 13), di pace
(cfr Gv 14,27), come quelli di Cristo (cfr Fil 2,5).
E in questo orizzonte comprenderemo sempre meglio cosa significhi che «la
speranza […] non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri
cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (cfr Rm 5,5).
Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù. È Lui, come diceva San Giovanni
Paolo II, «che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa
di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e
fraterna» (XV Giornata Mondiale della Gioventù, Veglia Di Preghiera, 19
agosto 2000). Teniamoci uniti a Lui, rimaniamo nella sua amicizia, sempre,
coltivandola con la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la
Confessione frequente, la carità generosa, come ci hanno insegnato i beati
Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, che presto saranno proclamati Santi.
Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di
meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del
Vangelo.
Vi affido a Maria, la Vergine della speranza. Con il suo aiuto, tornando nei
prossimi giorni ai vostri Paesi, in tutte le parti del mondo, continuate a
camminare con gioia sulle orme del Salvatore, e contagiate chiunque incontrate
col vostro entusiasmo e con la testimonianza della vostra fede.
wwww.vatican.va
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