Lettera aperta alle ragazze ed ai ragazzi
di Friday for Future
- di LuigiSanlorenzo
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Carissimi giovani che in questi giorni
state vivendo l’entusiasmante mobilitazione per il futuro del Pianeta a
Glasgow, ho deciso di scrivervi questa lettera aperta per manifestare la mia
vicinanza alla costanza e all’incisività del vostro movimento nel pretendere la
svolta climatica che il mondo aspetta ormai da decenni.
A tutte le giovani
generazioni è toccato e toccherà sempre di lottare per il cambiamento e la
vostra iniziativa è in questo momento forse l’unica che sta scuotendo un mondo
giovanile che sembrava ormai destinato ad invecchiare sui social, considerando
la politica un’attività deludente e priva di emozioni.
Senza andare troppo lontano
nel tempo vorrei ricordare i giovani che si sacrificarono nel XIX secolo per i
risorgimenti nazionali, coloro che combatterono contro i fascismi e il
comunismo, altri che dedicarono il proprio impegno contro la minaccia nucleare,
altri ancora che negli Stati Uniti anni degli anni cinquanta del XX
secolo denunciarono le contraddizioni della società borghese occidentale dando
vita alla beat
generation, origine della grande contestazione partita poi dalla
Francia nel 1968 e estesa a larga parte del mondo, incidendo
profondamente su culture, ideali, costumi e linguaggi e durante la quale chi
scrive trascorse anni indimenticabili e fecondi.
Da ultimo, la frontiera è
quella dell’impegno per il rispetto dei diritti umani e la lotta per
riconoscere a ciascuna persona la possibilità di essere cittadina del mondo e
non solo del luogo dove casualmente si è trovata a nascere. Molti vostri
coetanei sono in prima linea nelle ONG ed a bordo di tante navi che senza sosta
percorrono le rotte più a rischio di naufragi o fanno ciò che possono per
aiutare le infinite schiere di migranti che attraverso i Balcani cercando di raggiungere
un’Europa non sempre all’altezza dei principi di civiltà che in essa sono sorti
secoli fa.
Per natura tocca ai giovani
“rompere” con il passato ed immaginare un mondo nuovo evocando quell’”immaginazione al potere” che
fu lo slogan dei vostri genitori. Stavolta la sfida è globale, non conosce
limiti geografici né culturali poiché è in ballo l’unico pianeta su cui viviamo
e che per i prossimi secoli non avrà alcuna alternativa per la maggior parte
dei suoi abitanti; l’analisi degli effetti del cambiamento climatico non
riguarda stavolta contesti esclusivi ed elitari di accademici o sociologi
ma è ormai “carne viva” per quanti vedono distrutti dalla sacrosanta ribellione
della Terra i risultati di vite di impegno volte a costruire città, a coltivare
campagne, a migliorare la salute dei giovani nutrendoli con quelle proteine
animali che ne hanno innalzato nel volgere di un secolo statura ed intelligenza
media, a generare quel progresso che, spesso inconsapevolmente per i più,
è diventato ora la causa dell’attuale profondissima emergenza.
Il vostro spietato rimprovero
ai grandi decisori politici o religiosi del mondo di non sapere o volere andare
oltre quello che avete definito essere uno stanco “bla, bla, bla” è uno
schiaffo potente alle ragioni della real politik ed interessi economici di una grandezza
inimmaginabile che vi ruotano intorno e che, statene certi, cercheranno in ogni
modo di contrastarvi cercando di ridurvi alla marginalità e al silenzio, quando
non alla clandestinità. E’ accaduto in passato e potrebbe accadere di nuovo,
dal momento che la natura umana cambia con estrema lentezza e rimane ancora
prigioniera dell’avidità e dell’egoismo.
Occorre pertanto che
prestiate attenzione ad alcune considerazioni che in questo articolo della
domenica propongo anche a voi, quale platea più ampia di quella che solitamente
legge i miei scritti.
Il rischio più grave che
dovete evitare è di essere accusati di “velleitarismo” cioè di pretendere ciò
che obiettivamente è impossibile fare nel giro di pochi mesi o anni. Il mondo
che conosciamo, almeno in Occidente si è costruito su quei presupposti che dai
vostri detrattori vengono presentati come minacciati e liquidati con
l’espressione sarcastica “decrescita felice”: l’emancipazione delle
popolazioni rurali, l’istruzione, i trasporti rapidi e a basso costo, la
liberazione della donna, la digitalizzazione che permette di ridurre distanze e
differenze favorendo l’inclusione dei meno fortunati e in alcuni Paesi più
avanzati, compresa la Svezia di Greta Thunberg che oggi vi rappresenta, un
livello di vita tra i più alti che il mondo abbia mai conosciuto e che non può
essere arrestato con un clic.
Al pari di quanto accadde con
l’invenzione della macchina a vapore che diede un colpo decisivo alla schiavitù
secolare del lavoro manuale e aprì la strada al concetto di “energia” le
forme del progresso si sono nutrite di fonti non rinnovabili, nell’errato
convincimento sino a pochi anni fa, della loro inesauribilità e in alcune parti
del mondo ciò ha fatto rifiorire deserti come nella Penisola arabica o in
Israele e sottrarre al mare, come in Olanda, ampie porzioni di terre abitabili
e coltivabili. L’anima di questo spinta in avanti è stata il petrolio e, in
alcune nazioni, l’energia nucleare resa disponibile e relativamente sicura pur
tra mille polemiche e contrasti dovute al problema dello smaltimento delle
scorie.
A questa spinta oggi, oltre
la metà della popolazione mondiale che tra Cina e India ed i paesi africani in
via di sviluppo ascende almeno 4 miliardi di persone le quali chiedono di
raggiungere almeno in parte il benessere dei restanti abitanti del Pianeta,
anche a costo di subire periodicamente gli effetti del cambiamento climatico.
Sono popoli talmente abituati a soffrire per centinaia di motivi, che in alcun modo
rinuncerebbero nell’immediato al proprio diritto allo sviluppo. Fino a quando
anche essi non saranno al vostro fianco, i loro governanti esiteranno.
Da qui la diserzione della
Cina, la sofferta mediazione temporale del premier indiano Nerendra Modi circa
il differimento – poco convinto – della riduzione delle emissioni di CO2 al
2060, l’esitazione degli Sati Uniti che tuttavia dopo l’isolazionismo di Donald
Trump sono tornati con Joe Biden a posizioni più multilaterali. Ma attenzione,
anche il campione della democrazia occidentale potrebbe presto tirarsi
nuovamente indietro poiché, come l’Europa, dovrebbe rivedere alla radice il
proprio modello di vita, fondato sul consumo e sulla mobilità aerea e su gomma,
che ne ha fatto per decenni la principale aspirazione di milioni di immigrati.
Veniamo dunque all’ Europa,
il luogo dove massimamente e diffusamente si è espressa la creatività umana in
ogni campo e la coscienza morale e politica della cultura in cui essa si
manifesta.
Un vasto continente che – ad
accezione della Scandinavia abitata complessivamente da poche decine di milioni
di abitanti già frugali per proprio natura – fa costantemente i conti con la
cronica mancanza di materie prime, a partire dall’acqua, alimenta tutto con
l’energia elettrica, comprese le nuove automobili in grande espansione, che
proviene in larga misura dal carbone, dal petrolio o dal nucleare. Voi non
eravate nati quando nel 1973 lo shock petrolifero decretato dal cartello dei
paesi aderenti all’OPEC lasciò a piedi centinai di milioni di persone e non
avete di idea di quale prezzo fu pagato in termini politici all’Arabia Saudita
per farsi mediatore, in cambio della protezione eterna da parte della NATO,
come sarebbe accaduto per l’invasione del Kuwait di Saddam Hussein e per gli eventi
successivi.
Nonostante molti paesi
avessero “compreso l’antifona” ed avviato programmi di ricerca di energie
alternative e rinnovabili, solo pochi tra essi si sono resi – parzialmente –
autonomi da quelle tradizionali mantenendo inalterato il proprio stile di vita.
Ricordate infatti che nella storia le rivoluzioni per il pane sono state sempre
determinanti nell’abbattere troni e dominazione; quelle per la disponibilità di
energia non sono da meno ed oggi equivalgono all’ennesima potenza a quelle del passato.
Quindi non aspettatevi che il vostro impegno possa vedere risultati a breve dal
momento che ci troviamo davanti ad una transizione ecologica impossibile da
portare a compimento prima di una transizione antropologica per la quale
occorrono, nella migliore ipotesi, decenni.
I governi sembrano più
disposti ad investire per proteggersi dagli effetti del cambiamento climatico –
e con la tecnologia di cui si dispone potrebbero riuscirci – piuttosto che
costringere centinaia di milioni di persone a rinunziare all’automobile, al
fresco in estate o al caldo in inverno, alla disponibilità di elettrodomestici
ormai ritenuti irrinunciabili, all’utilizzo di device la cui richiesta di energia tradizionale ancora
per molti anni non potrà mai essere sostituita da attuali o future fonti
alternative, nella medesima quantità.
“E allora?” chiederete,
magari con sarcasmo. Allora dovete mettervi in testa due cose: il processo
avverrà con la gradualità necessaria alle industrie per riconvertirsi, agli
stati per finanziare la transizione ecologica mondiale e alle persone dei paesi
più avanzati per accettare alcuni cambiamenti irrinunciabili. Tutto ciò
richiede gradualità e tanta ricerca.
Ma è a voi che tocca dare il
segnale più importante che, oltre la doverosa protesta e il continuo memento ai governanti,
coinciderà con la personale progressiva rinuncia ad alcuni stili di vita
energivori per testimoniare che di quanto giustamente chiedete l’attuazione
siete disposti, per primi a pagare il prezzo; bello e significativo è stato il
segnale di recarsi a Glasgow in treno e non in aereo, ma quanto durerà nella
vita di tutti i giorni? Si ridurrà l’uso dei vostri smartphone per risparmiare quelle batterie il cui
cuore costa lacrime e sangue a chi lo estrae in condizioni di schiavitù in
miniere lontane? Rinuncerete, fino al completamento della transizione, a fare
tardi la notte per regolare invece la vostra vita, frattanto diventata adulta,
sul ritmo della luce del giorno?
Scuoterete la testa sdegnati
quando con i vostri master (che non possono essere certo conseguiti tutti nel
settore ambientale) vi vedrete offrire un posto di lavoro in un’industria
ancora in ritardo sul piano energetico? Siete disposti infine a fronteggiare e
neutralizzare quanti, utilizzando in mala fede il vostro messaggio, già vi
costruiscono sopra prospettive di potere personale, come è avvenuto in anni
recenti con l’antimafia di facciata?
La risposta non ve la posso
dare io anche se quando toccò a me, alcune scelte pagarono volentieri il prezzo
delle mie idee giovanili. Lascio invece che ve la dia il Premio Nobel per la
letteratura nel 1907, uno “sporco” colonialista, almeno così sostiene qualcuno
che ne vuole abbattere le statue nel mondo, ma che però di formazione del
carattere e di fermezza di principi (del suo tempo ovviamente) si intendeva
molto:
“Se riuscirai a mantenere la
calma quando tutti intorno a tela perdono, e te ne fanno una colpa. Se
riuscirai a avere fiducia in te quando tutti ne dubitano, ma anche a tener
conto del dubbio. Se riuscirai ad aspettare senza stancarti di aspettare, O
essendo calunniato, non rispondere con la calunnia, O essendo odiato a non
lasciarti prendere dall’odio, Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare
troppo da saggio; Se riuscirai a sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se riuscirai a pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo; se riuscirai a
confrontarti con Trionfo e Rovina, e trattare allo stesso modo questi due
impostori. Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
distorta dai furfanti per ingannare gli sciocchi, o a vedere le cose per cui
hai dato la vita, distrutte, e piegarti a ricostruirle con strumenti ormai
logori. Se riuscirai a fare un solo mucchio di tutte le tue fortune e
rischiarle in un colpo solo a testa e croce, e perdere, e ricominciare di nuovo
dal principio senza mai far parola della tua perdita.
Se riuscirai a costringere cuore, nervi e tendini a servire il tuo traguardo
quando sono da tempo sfiniti, E a tenere duro quando in te non resta altro se
non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!”
Se riuscirai a parlare alla
folla e a conservare la tua virtù, O passeggiare con i Re, senza perdere il
senso comune, Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti, Se per te
ogni persona conterà, ma nessuno troppo. Se riuscirai a riempire l’inesorabile minuto.
Con un istante del valore di sessanta secondi, Tua sarà la Terra e tutto ciò
che è in essa, E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio! “Rudyard
Kipling, 1835.
Alla sua morte nel
1936, il corpo venne cremato e le ceneri sono custodite presso l’Abbazia
di Westminster, a Londra. Visto che viaggiate in treno, fate una sosta e
andate a trovarlo, ripensando ai sui versi. Non potranno che aiutarvi nella
vostra sacrosanta battaglia.
Buon futuro ragazzi, non vi
lasceremo soli, ma adesso tocca a voi!
LO SPESSORE