domenica 29 gennaio 2017

LA BEATITUDINE DELL'ESSENZIALITA'

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» 

          Il povero in spirito è colui che ha assunto i sentimenti e l’atteggiamento di quei poveri che nella loro condizione non si ribellano, ma sanno essere umili, docili, disponibili alla grazia di Dio. La felicità dei poveri – dei poveri in spirito – ha una duplice dimensione: nei confronti dei beni e nei confronti di Dio
          Riguardo ai beni, ai beni materiali, questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace. Più ho, più voglio; più ho, più voglio: questa è la consumazione vorace. E questo uccide l’anima. E l’uomo o la donna che fanno questo, che hanno questo atteggiamento “più ho, più voglio”, non sono felici e non arriveranno alla felicità. Nei confronti di Dio è lode e riconoscimento che il mondo è benedizione e che alla sua origine sta l’amore creatore del Padre. Ma è anche apertura a Lui, docilità alla sua signoria: è Lui, il Signore, è Lui il Grande, non io sono grande perché ho tante cose! E’ Lui: Lui che ha voluto il mondo per tutti gli uomini e l’ha voluto perché gli uomini fossero felici.
       Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su se stesso, sulle ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui.        Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche! L’umiltà, come la carità, è una virtù essenziale per la convivenza nelle comunità cristiane.         
     I poveri, in questo senso evangelico, appaiono come coloro che tengono desta la meta del Regno dei cieli, facendo intravedere che esso viene anticipato in germe nella comunità fraterna, che privilegia la condivisione al possesso. 
       Questo vorrei sottolinearlo: privilegiare la condivisione al possesso. Sempre avere il cuore e le mani aperte (fa il gesto), non chiuse (fa il gesto). Quando il cuore è chiuso (fa il gesto), è un cuore ristretto: neppure sa come amare. 
         Quando il cuore è aperto (fa il gesto), va sulla strada dell’amore".
Papa Francesco - 29 gennaio 2017


lunedì 23 gennaio 2017

CONVERSIONE DI SAN PAOLO - 25 febbraio


 «Io sono il più piccolo tra gli apostoli […] perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1 Cor 15,9-10). L’apostolo Paolo così riassume il significato della sua conversione. Essa, avvenuta dopo il folgorante incontro con Gesù Risorto (cfr 1 Cor 9,1) sulla strada da Gerusalemme a Damasco, non è prima di tutto un cambiamento morale, ma un’esperienza trasformante della grazia di Cristo, e al tempo stesso la chiamata ad una nuova missione, quella di annunciare a tutti quel Gesù che prima perseguitava perseguitando i suoi discepoli. In quel momento, infatti, Paolo comprende che tra il Cristo vivente in eterno e i suoi seguaci esiste un’unione reale e trascendente: Gesù vive ed è presente in loro ed essi vivono in Lui. La vocazione ad essere apostolo si fonda non sui meriti umani di Paolo, che si considera “infimo” e “indegno”, ma sulla bontà infinita di Dio, che lo ha scelto e gli ha affidato il ministero".
                                                                                                                                        Papa Francesco

Alcuni suggerimenti per la riflessione e le attività

Leggi:   CONVERSIONE DI SAN PAOLO


lunedì 16 gennaio 2017

IL FANTOCCIO DI GHIACCIO E IL FIAMMIFERO

Tutto e tutti sono recuperabili con l’amore:
 l’uomo vive e fa vivere non se sa parlare d’amore, ma se ama

      Un giorno un fantoccio di ghiaccio, ottimo par­latore e con una invidiabile preparazione culturale, si lasciò prendere dall’ansia di portare un po’ di ca­lore agli uomini e alle cose della terra, intirizzita dal fred­do e dall’indifferenza.
     Si preparò con puntiglio e con profondità su tut­ti gli argomenti riguardanti il fuoco, studiando con certosina pignoleria gli effetti benefici del calore con le sue infinite gradazioni.
    Gli capitò nel frat­tempo di incontrare un insignificante cerino, dalla fiamma tenue, ma con la curiosa prerogativa di rimanere “sempre acceso”.
    Lo invitò a dividere con lui questo lavoro, a vivere questo impegnativo, ma avvincente programma: incendiare, in­fiammare, ravvivare uomini e cose in tutto il mondo raggelato. Lo istruì bene sugli argomenti da por­tare e sui quali discutere con chiunque; lo ammaestrò sulla me­todologia del discorso e su quali punti insistere per ottenere attenzione. Gli impartì anche severe lezioni sul tono della voce da tenere e sulla pronuncia corretta delle vocali e delle doppie. Ma il cerino “sempre acceso” non era capace di dire e neppure di balbettare una sola parola sul “fuoco”.
     Si divisero comunque il lavoro, ripromettendosi di incon­trarsi dopo aver percorso la propria parte del glo­bo. Il fantoccio parlatore salutò il cerino “sempre acceso” incitandolo a fare con slancio la sua parte, ma rammaricandosi nel vederlo incapace di parlare e tanto meno di sostenere con enfasi le sue parole.
    Il ghiaccio “par­latore” tornò scornato e avvilito perché di fronte ai suoi “discorsi” infuocati e illuminati nessuno s’in­fiammava né s’infervorava; al suo passaggio tutti rimanevano indifferenti; anzi molti si scandalizza­vano nell’udire parlare di fuoco proprio da chi passando raffreddava: una vera contraddizione.
      Il cerino muto, ma “sempre acceso”, ovunque an­dava incendiava; anzi ancor prima di arrivare di persona, tutti, cose e persone, al suo passaggio godevano del desiderato calore a tal punto che a loro volta diventavano portatori di fuoco o sciogliendosi, diventavano generatori di altra vita e di altro calore.
     Al termine della “missione” il fantoccio di ghiaccio, s’accorse del proprio totale fallimento; addirittura notò d’aver peggiorato, col suo passaggio, la situazione delle cose e delle persone. Rattrappito dallo sconforto, si fermò in un angolo oscuro della terra, avvolto di neve e appesantito dal gelo, ormai rassegnato a finire i suoi giorni nell’oblio più avvilente.
    Ma il cerino che avanzava calmo, ma inarrestabile, accendendo fuochi e diffondendo calore, raggiunse anche quel masso di ghiaccio ormai irriconoscibile, adagiato ai margini d’una foresta. Pian piano lo avvolse con la calorosa premura dei pini e dei faggi da lui incendiati, gli stette accanto finchè lo sciolse e lo fece entrare nel vicino torrente. Fu la salvezza per il fantoccio di ghiaccio che in quelle onde ritrovò, dopo tanto tempo, la sua identità: divenne vita e portatore di vita. Da quel calore ricevette anche lui la capacità di vivere e unirsi alla vitalità del torrente, prodigandosi in mille servizi senza bisogno di dire una parola.
    Il fantoccio di ghiaccio “parlatore” finalmente tacque: sciolto dal calore del cerino “sempre acceso”, nel torrente ormai parlava la sua vita.
(Tutto e tutti sono recuperabili con l’amore.  L’uomo vive e fa vivere non se sa parlare d’amore, ma se ama). Oggi il mondo non ha bisogno di mae­stri, ma di testimoni.
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Ciao da p. Andrea
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Per richiedere copie dei libretti di padre Andrea Panont e per ogni approfondimento si può cliccare qui.

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sabato 14 gennaio 2017

CARISSIMI GIOVANI .... Papa Francesco in preparazione al Sinodo su "Giovani, fede e discernimento vocazionale"


LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI GIOVANI IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO PREPARATORIO
DELLA XV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

Carissimi giovani,
     sono lieto di annunciarvi che nell’ottobre 2018 si celebrerà il Sinodo dei Vescovi sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore. Proprio oggi viene presentato il Documento Preparatorio, che affido anche a voi come “bussola” lungo questo cammino.
     Mi vengono in mente le parole che Dio rivolse ad Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Queste parole sono oggi indirizzate anche a voi: sono parole di un Padre che vi invita a “uscire” per lanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realizzazioni, incontro al quale Egli stesso vi accompagna. Vi invito ad ascoltare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio dello Spirito Santo.
     Quando Dio disse ad Abramo «Vattene», che cosa voleva dirgli? Non certamente di fuggire dai suoi o dal mondo. Il suo fu un forte invito, una vocazione, affinché lasciasse tutto e andasse verso una terra nuova. Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo?
Ma oggi, purtroppo, il «Vattene» assume anche un significato diverso. Quello della prevaricazione, dell’ingiustizia e della guerra. Molti giovani sono sottoposti al ricatto della violenza e costretti a fuggire dal loro paese natale. Il loro grido sale a Dio, come quello di Israele schiavo dell’oppressione del Faraone (cfr Es 2,23).
    Desidero anche ricordarvi le parole che Gesù disse un giorno ai discepoli che gli chiedevano: «Rabbì […], dove dimori?». Egli rispose: «Venite e vedrete» (Gv 1,38-39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stordimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuonare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. Ciò sarà possibile nella misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esperte, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita. Pure quando il vostro cammino è segnato dalla precarietà e dalla caduta, Dio ricco di misericordia tende la sua mano per rialzarvi.
     A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù, vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì». Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: «Non aver paura […] perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).
     Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro. Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché «spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (Regola di San Benedetto III, 3).
     Così, anche attraverso il cammino di questo Sinodo, io e i miei fratelli Vescovi vogliamo diventare ancor più «collaboratori della vostra gioia» (2 Cor 1,24). Vi affido a Maria di Nazareth, una giovane come voi a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole, perché vi prenda per mano e vi guidi alla gioia di un «Eccomi» pieno e generoso (cfr Lc 1,38).
     Con paterno affetto,
FRANCESCO
Dal Vaticano, 13 gennaio 2017

martedì 10 gennaio 2017

GENDER a SCUOLA.

Spettacoli gender a scuola:
 ecco perché sono dannosi

Secondo il pedagogista Furio Pesci, lo smarrimento dell’adolescente riguardo alla propria identità sessuale è una normale e frequente fase della crescita e va lasciata al proprio corso: il ragazzo arriverà comunque alla sua maturazione

di Luca Marcolivio

Maria Montessori sosteneva che la vera maturità di una persona si riscontra quando un giovane, arrivato alla fine dell’adolescenza, inizia a porsi come meta la costruzione di una famiglia. Dovrebbe essere anche questo uno degli obiettivi più o meno espliciti della scuola, laddove, però, di questi tempi, il sistema scolastico italiano sta proponendo progetti pedagogici che sembrano andare in tutt’altra direzione. A ribadirlo in un’intervista a ZENIT è Furio Pesci, professore associato di storia della pedagogia all’Università La Sapienza di Roma e responsabile dell’équipe scientifica dell’associazione Non si tocca la famiglia.
Il professor Pesci è recentemente intervenuto nel dibattito sullo spettacolo Fa’Afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, in tour presso le scuole di tutta la penisola, che illustra la vicenda di un ragazzo gravemente incompreso dai suoi genitori e dai suoi compagni di scuola per le sue incertezze sulla propria identità sessuale. Lo spettacolo è stato incoraggiato dal MIUR nell’ambito della campagna contro l’omofobia e la discriminazione di genere.

Nel manifestare la sua contrarietà di pedagogista allo spettacolo, il professor Pesci è al fianco di molte associazioni senz’altro favorevoli alla condanna del “bullismo omofobico” ma non meno ferme sulla tutela della famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna e su un’educazione che valorizzi il più possibile le differenze sessuali.......