LA FELICITA' ? QUESTIONE
DI STILE !
Enzo Bianchi nel suo scritto “Le vie della felicità” evidenzia che noi tutti, come cristiani ma ancor prima come donne e uomini, dobbiamo avere come obiettivo di tendere alla felicità, desiderare di vivere una vita felice nonostante tutto, avere la forza ma anche la costanza di praticare quella che Bianchi definisce come la ricerca del senso.
Nella prefazione del saggio di Bianchi si legge: “solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita, cioè morire, essi trovano anche una ragione per spendere quotidianamente la vita e, di conseguenza, sono felici. Ebbene, le beatitudini aiutano a scoprire questa ragione e così consentono di dare un senso alla vita, anzi conducono al senso del senso”.
Le beatitudini
L’intera esperienza umana di Gesù non è altro che la testimonianza di come è possibile agire nella logica espressa nel Vangelo delle beatitudini.
Gesù mostra all’uomo uno stile di vita, dove la parola “stile” tanto cara a molti, sempre più distante dal linguaggio e dalla comprensione di tanti nostri ragazzi (ed anche adulti), consiste nell’orientare la propria vita ai valori che esaltano la dignità umana e si concretizza in comportamenti ed atteggiamenti coerenti con questa scelta.
In questo tempo particolare, caratterizzato da eventi tragici e difficilmente comprensibili, trovo provocatoria la terza beatitudine citata nel Vangelo di Matteo: Beati i miti perché erediteranno la terra.
La mitezza
La mitezza è lo stile con il quale Gesù dialoga con l’altro, soprattutto nei momenti difficili.
Grazie all’agire con mitezza è possibile gestire la relazione ed il confronto mantenendosi in un contesto di pace … laddove la pace non è un concetto contrapposto alla guerra, ma uno stile del quotidiano che dice il mio modo di relazionarmi con l’altro.
Saper gestire in modo pacifico le relazioni, essere creatori di pace.
Il mite non è una persona remissiva o rassegnata, la più silenziosa delle altre perché non ha niente da dire, non è l’elemento passivo, debole di carattere o “sfigato”, ma è colui che incarna la virtù dei forti che frère Roger Schutz definiva la “violenza dei pacifici”.
Da maestro dei novizi mi sono interrogato spesso rispetto allo stile del relazionarsi con l’altro osservando le novizie ed i novizi che mi sono stati affidati.
In questo periodo, caratterizzato da pandemia e ultimamente da eventi bellici, ancor di più.
Mi sono chiesto come si pongono nelle relazioni tra di loro, nelle relazioni amicali, in quelle famigliari …. con quale obiettivo, con quale disponibilità all’accoglienza e all’ascolto, con quale stile.
Mi sono anche chiesto come si pongono nelle relazioni che caratterizzano il grande mondo dei social …. con quale autenticità, con quanta responsabilità, ponendosi o meno in modo coerente.
Spazi di felicità
Mi sono chiesto quanto nelle nostre realtà associative si vivano situazioni di serenità e di felicità e quanto ci si adoperi perché ogni realtà ed ogni evento sia spazio vero di impegno e di felicità.
Credo nella forza della comunità capace di incarnare esperienze di pace; credo nella fatica del cammino che insegna la pazienza dell’attendere … attendere di arrivare con fatica da qualche parte, ma anche attendere che la verità si riveli.
In un tempo che evidentemente non è tempo di pace, che spesso e per molti non è nemmeno tempo di felicità, credo che il nostro agire educativo (e associativo) debba essere orientato con determinazione a ciò che è veramente “essenziale”.
Riconoscendo nel desiderio di vivere in modo felice, gioioso, il vero obiettivo della nostra vita, ed il vero orizzonte educativo verso il quale siamo chiamati a servire come educatori, ritrovo nell’atteggiamento del mite il giusto modo di porsi di fronte alle diverse occasioni che la vita e la terra ci propongono.
Educare alla mitezza significa aiutare tutti coloro coi quali percorriamo i sentieri della vita (specialmente coloro che sono a noi affidati) ad essere persone responsabili e “forti”, orientate alla felicità durevole ed in grado, come dice il testo evangelico, di ereditare la terra che è la terra dei viventi, che detto in altro modo corrisponde alla possibilità di vivere il tempo che ci è dato come persone felici.
La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, non solo di grandi cose.
Succedono ogni giorno, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile che l’anima respira e grazie alla quale vive. (Banana Yoshimoto da “Un viaggio chiamato vita”).
Da Diego Zanotti in Rs-Servire