Tempo fa Il Giornale pubblicava
un pezzo carico di enfasi («Tenetevi forte» era l’incipit) per
affermare che «i migranti delinquono di più». Come spesso accade quando
si parla di immigrazione, si affrontava un tema complesso in modo troppo
semplificatorio. Nel testo viene
citato uno studio della Fondazione Hume curato dal sociologo Luca
Ricolfi, ma i dati – senza contesto – possono avere significati diversi.
Per
esempio: «Dal 2006 al 2015 gli immigrati imputati sono cresciuti del
22%». Ma nello stesso periodo il numero di residenti stranieri è
cresciuto molto di più: da 2,7 a 5 milioni, ovvero dell’88%. Ancora,
parlando dell’aumento delle violenze sessuali dal triennio 1995-1997 al
2013-15, «il boom è degli imputati immigrati – riporta il quotidiano –
che sono passati da 317 a 1050», ovvero sono triplicati; ebbene, dal
1995 al 2015 i residenti stranieri sono cresciuti di circa sette volte,
passando da meno di 700 mila a 5 milioni.
Ecco allora
che il trend storico rivela una conclusione molto diversa
dall’articolo: l’incidenza degli imputati stranieri sul totale dei
residenti stranieri è andata diminuendo nel tempo. Se
proprio si volesse stabilire un nesso causale tra immigrazione e reati,
bisognerebbe sostenere che l’aumento degli stranieri degli ultimi anni
coincide con una generale diminuzione dei reati.
Dal 2007 al
2015, mentre gli stranieri passavano da 3 a 5 milioni, tutti i
principali indicatori con cui misuriamo la criminalità sono diminuiti:
le denunce di delitti, cioè dei reati più gravi, secondo l’Istat sono
scese da 2,9 milioni a 2,6. Mentre il numero di furti è rimasto
praticamente invariato, sono diminuiti gli omicidi (fonte: ministero
dell’Interno), mai così pochi dall’Unità d’Italia, le rapine e le
violenze sessuali.
Inoltre,
secondo il Viminale, dal 2004 al 2014 le denunce per reati con autori
noti – circa la metà – sono cresciute del 34,3% contro gli stranieri (a
fronte di un aumento del 147,3% degli stranieri in Italia) e del 40%
contro gli italiani (a fronte di una leggera diminuzione dei residenti
italiani). Rimane il dato sull’alta presenza di stranieri nelle carceri.
Spiega
Paolo Pinotti, coordinatore della Fondazione De Benedetti e docente di
Economia alla Bocconi: «Riflette anche il minor accesso degli stranieri
agli istituti alternativi alla detenzione, come gli arresti domiciliari.
In particolare, tali opzioni sono sostanzialmente precluse agli
stranieri irregolari».
In questo
senso, per il docente dell’Università milanese «è sostanzialmente
incorretto affermare che non c'è spazio per discriminazioni né da parte
dei giudici né delle forze dell'ordine, come sostiene lo studio di
Solivetti, perché le statistiche non possono essere messe in
discussione». Pinotti cita un dato del 2011: «Il 30,7% degli italiani
condannati a pene detentive ha beneficiato di misure alternative, mentre
per gli immigrati questa percentuale scende al 12,7%.
Questo
perché spesso gli immigrati spesso non soddisfano le condizioni
richieste per le misure alternative al carcere, come avere un lavoro
regolare, un domicilio, una famiglia in grado di ospitare l'individuo». Accedere
o meno a questa possibilità può determinare il futuro: secondo
l’Osservatorio delle misure alternative del Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria, nel 2007 la recidiva di chi espiava
tutta la pena in prigione era oltre tre volte superiore a quella di chi
scontava la condanna con misure alternative alla detenzione: il 68,5%
nel primo caso, il 19% nel secondo.
Inoltre va
considerato che gli stranieri hanno una condizione socioeconomica
mediamente più bassa: pagarsi un buon avvocato o avere quello di ufficio
fa, in alcuni casi, la differenza. È la stessa ragione per cui, negli
Stati Uniti, i poveri e gli afroamericani sono in percentuale
particolarmente alta tra i condannati a morte.
L’articolo
del Giornale si conclude affermando: «Chi non si integra socialmente ed
economicamente ha più probabilità di ricorrere al crimine». Questo è
vero e infatti da qui occorre partire per una seria riflessione sul
tema. Lo fa uno studio della Bocconi sul rapporto tra permessi di
soggiorno e propensione a commettere reati, coordinato da Pinotti e
pubblicato sulla prestigiosa American economic review.
Spiega il
professore: «Gli stranieri che ottengono il permesso di soggiorno sono
del 50% in meno propensi a commettere reati economici gravi (furti,
rapine, spaccio) rispetto a chi non ha potuto mettersi in regola». Per
il Viminale, infatti, gli stranieri regolari hanno dati di criminalità
in linea con gli italiani, mentre crescono drasticamente tra chi è senza
permesso. Gli irregolari sono stimati il 20% degli stranieri in Italia,
ma sono protagonisti dell’80% dei reati economici commessi da
stranieri.
Che fare
dunque? Le ricerche sono molto chiare: «Quando ottengono i documenti,
gli stranieri assumono comportamenti molto più virtuosi. Potersi
inserire regolarmente nel mercato del lavoro - per cui è necessario il
permesso - fa da deterrente a invischiarsi in situazioni criminose. Il
problema è, appunto, ottenere i documenti».
Dal 1998 il
Governo stabilisce, con il Decreto flussi, ogni anno quanti permessi
per motivi di lavoro possono essere concessi. Negli ultimi anni i numeri
si sono ridotti, quasi azzerando la possibilità di ottenere permessi
per lavoro. Nel dicembre 2007 la procedura è stata per la prima volta
online: i datori di lavoro potevano cliccare la domanda dalle 8 di
mattina.
I permessi
avrebbero dovuto essere assegnati a stranieri residenti all'estero, ma
tutti sanno che in realtà il click day ha legalizzato chi già era in
Italia senza documenti. Spiega Pinotti: «Funzionava un po’ come una
lotteria, il criterio di accettazione era casuale: chi prima arriva,
meglio alloggia. Pochi minuti hanno fatto la differenza, dato che furono
accolte le domande arrivate prima delle 8.27, legalizzando 170mila
stranieri su 610mila irregolari in Italia».
La Bocconi
ha analizzato i reati commessi dagli immigrati che hanno inviato la
domanda immediatamente prima del taglio e da coloro che l’hanno inviata
subito dopo le 8.27, quindi individui molto simili. «Per i reati
economici – continua il docente – la criminalità degli immigrati
legalizzati si è dimezzata nel corso dell'anno successivo, mentre il
tasso di criminalità di chi non ce l’ha fatta è rimasto invariato.
Non
cambiano le caratteristiche dei due gruppi, ma ricevere il permesso di
soggiorno abbassa la propensione a commettere crimini, che sono
sostituti imperfetti di attività economiche legali». Tra l’altro, molte
delle domande si basavano su lavori falsi, cioè “fittizi” e strumentali
al click day. Eppure la propensione ai reati economici si dimezza anche
in questo caso: avere l'accesso al mercato del lavoro legale è
sufficiente per innescare il cambiamento, anche se l'immigrato
legalizzato non ha realmente un lavoro.
La tesi che
spinge per la regolarizzazione è al centro di un altro lavoro di
Pinotti insieme al collega Giovanni Mastrobuoni, che nel 2016 è
aggiudicato il premio dell’American Economic Association. Racconta:
«Abbiamo studiato i dati dell’indulto dell’agosto 2006, che ha
rilasciato 22mila detenuti dalle carceri italiane (10mila dei quali
stranieri).
Nel gennaio
2007 l’allargamento dell’Ue dava a rumeni e bulgari lo status di
regolari, inclusi coloro che uscivano dalle prigioni. L’anno successivo
il tasso di recidiva dei rumeni e bulgari (tutti regolarizzati) è
risultato la metà di quello degli altri stranieri rilasciati dopo lo
stesso indulto». Del resto, ciò che dicono le ricerche scientifiche è anche scritto nella nostra storia.
Negli anni
Cinquanta i giudici minorili svizzeri aprirono un pacato dibattito
sull’esagerato coinvolgimento dei minori italiani in procedimenti
penali; ci si chiese se non vi fosse una propensione culturale della
popolazione italiana al furto, un’idea avvalorata a quei tempi da molta
letteratura europea. Il dibattito si esaurì man mano che gli italiani
immigrati in Svizzera diventavano gelatai e aprivano pizzerie, attività
per cui era necessario avere il permesso di soggiorno.
Insomma, “tenetevi forte”… Regolarizzare gli immigrati dimezza il tasso di criminalità.
(articolo tratto da www.famigliacristiana.it)