domenica 16 novembre 2025

IN CAMMINO VERSO LA BEATIFICAZIONE

IL CAMMINO DELLO SCOUT MARIO RESTIVO VERSO LA BEATIFICAZIONE PROSEGUE, GRAZIE AL GENROSO IMPEGNO DI TANTI AMICI CHE LO HANNO CONOSCIUTO ED APPREZZATO.

IN GENNAIO SI CONCLUDERA'
 LA FASE DIOCESANA
 

- di Francesco Chiaramonte 


Fare sintesi di due intense giornate dedicate a Mario non è facile. Oltre a tutto quanto era stato da noi organizzato e posto in essere, quello che è successo è andato oltre ogni previsione ed aspettativa, confermando che c’è comunque la mano di Qualcuno che cura una Sapiente regia.

Cogliendo al volo il desiderio di Papa Francesco,  espresso lo scorso anno in una lettera a tutte le Diocesi, abbiamo fatto nostra questa indicazione perché fosse l’occasione migliore per parlare di Mario, del suo essere straordinariamente ordinario, delle persone con le quali ha avuto “speciali contatti”  e suscitare con la Diocesi di Cefalù un sincero e affettuoso contatto per capire meglio come prosegue il cammino verso l’orizzonte.

Uno dei migliori amici di Mario, Francesco Liotti, ci aveva da tempo suggerito di occuparci del rapporto tra il Beato Padre Pino Puglisi e Mario.

Si erano incontrati ai tempi del Liceo Classico e poi Mario era andato a trovarlo a Godrano (dove P.P.P. era parroco) con gli scout durante le sue attività.

Grazie alla presenza di ottimi relatori, profondi conoscitori del Beato P.P.P. (Francesco Deliziosi e Antonio Bellingreri) , ma anche del caro amico e compagno di scuola di Mario, Gaetano Gerbino, abbiamo conosciuto aspetti noti e meno noti dei due ed anche splendide sfaccettature di come poteva essere il loro rapporto Maestro-Allievo. 

Il pomeriggio di sabato 8 novembre presso la Parrocchia Don Orione, è stato vissuto come un gioioso momento di festa tra i tanti “Amici di Mario”, ospiti e curiosi, gli allegri scout, le allieve del Liceo Classico Vittorio Emanuele II e il numeroso coro del Movimento Ecclesiale Carmelitano.

Nel nome di Mario abbiamo pregato, parlato; abbiamo premiato due gruppi Scout (Monreale 1 e Palermo 22) per due splendidi  progetti di servizio civico fatti in riferimento a Mario; abbiamo ascoltato 3 poesie lette dalle  leggere vocine di 3 ragazze allieve del laboratorio teatrale del Liceo Classico Vittorio Emanuele II di Palermo e abbiamo goduto di due splendide interpretazioni canore del coro del Movimento Ecclesiale Carmelitano che ci ha elevati al cielo.

Mario sovrastava tutti dal fondo del teatro dal quale ha potuto apprezzare ogni movimento.

Un particolare ringraziamento a Valentina Casella, presidente del Centro Diocesano Beato Padre Pino Puglisi Martire e a Don Sergio Ciresi,  successore di Padre Pino Puglisi nella parrocchia San Gaetano di Palermo.

Ci hanno aiutato e appoggiato alla realizzazione dell’evento con ammirazione e gioia per questo rapporto di Santità tra P.P.P. e Mario. Una foto di Mario peraltro andrà in parrocchia nella stanza del Beato per stare con il maestro in buona compagnia. Abbiamo infine pregato grazie agli amici della Via Lucis, Giandonato e Pasquale, per poi andare a cena insieme con un succulento menù preparato dagli scout.

Abbiamo respirato tanta aria positiva, di gioia e di Santità così.

Ma le vere sorprese sono arrivate prima, durante e dopo:

  • prima con  la bella notizia che Mario sarebbe stato inserito nel foglietto della Santa Messa “La Domenica”  delle Edizioni San Paolo a tiratura nazionale; che Mario faceva parte dei 30 profili del Libro “Siate Santi Siate Felice” edito da Don Andrea Vena per Shalom Edizioni; che Mario è stato al centro di una intervista di quasi 20 minuti di Radio Vaticana al postulatore Francesco Catozzella.
  • Durante… per la numerosa presenza di amici venuti da ogni parte d’Italia e di Sicilia.
  • Dopo …. per la calorosa manifestazione di accoglienza del Vescovo di Cefalù per il nostro intervento durante la fase di confronto per il Giubileo dei Santi della Porta accanto. Capita… così!

Infatti, dentro una Cattedrale colma di gente il nome e la figura di Mario sono stati ricordati dalla Curia e dalla nostra Associazione di Amici in attesa di concludere la fase di istruttoria Diocesana della causa di canonizzazione.

 Sotto lo sguardo compiaciuto del Cristo pantocratore abbiamo avuto netta la sensazione che Mario non solo aleggiasse ma che da lì potesse arrivare una bella spinta verso l’orizzonte e oltre.

Emozioni e parole; desideri e ricordi; vita e memoria; legge e tradizioni; spirito e vita si sono intrecciati in una armonia di speranze e desideri. Mario c’era !!!

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Mario alla Massariotta
Vegliare, nel silenzio e nella contemplazione,
… per incontrare se stessi, per incontrare Dio
“Non avete saputo vegliare con Me neppure un’ora”

“E’ pensando a queste parole che mi sono alzato prima del solito stamattina per venire qua davanti a Te, Signore. Sai, non ero abituato a sentirTi una presenza, ma ora, in quest’alba di uno splendido mattino che ancora una volta ci dai, Tu ci sei: sento il tuo battito in me, ma anche fuori di me. In me, poiché la mia disponibilità dell’essere qui stamattina, come dell’aver partecipato a questo campo, vive del tuo amore verso di me; fuori di me perché tutto qui attorno è buono, poiché proviene dalla Tua onnipotenza: il cielo, il bosco, gli uccellini, l’erbetta, le foglie secche, reliquia di un autunno ormai lontano, il freddo, il silenzio, l’orizzonte.
Signore, dammi sempre un inizio, dammi soprattutto la morte che lo precede, aiutami ad educare al vero amore le persone che mi stanno attorno. Dio, guidami sulla strada del ritorno, affinché la mia casa divenga la Tua casa, la mia vita diventi la Tua vita.
Signore, dammi  il coraggio, la comprensione e l’umiltà alla maniera del tuo Figlio. Ti prego per le persone smarrite, per chi non sa ancora da che parte andare, eppure ci va.  Dammi la spontaneità e la fantasia perché sia un ragazzo tra i ragazzi. Ti prego perché non muoia in me la speranza.
E, quando sono solo, Signore, quando a sera busso alla porta di qualcuno e nessuno mi dà risposta, ricordaTi di me e rendimi capace di sorridere. Fa’ che possa sempre darmi agli altri in umiltà e completa condivisione.
Nel mio cuore, Signore, troverò il posto per le mille vite dell’universo. E, ora, Signore, lascia che il Tuo servo vada in pace secondo la tua parola, fa’ che il tuo servo abbia il coraggio di uccidere le sue maschere.
                                                                Amen”.
Dal Quaderno di caccia del Servo di Dio Mario Restivo
Campo di Pasqua 1982 – Base scout Massariotta Marineo


 

giovedì 14 agosto 2025

SEMINATORI DI SPERANZA


Piechowski, 

il sottotenente scout

 che per primo 

fuggì da Auschwitz

 

 Polacco, dopo due anni di prigionia, grazie al sangue freddo e alla perfetta conoscenza del tedesco, riuscì a beffare i nazisti.

Il giovane fu testimone del sacrificio di Massimiliano Kolbe, che si consegnò al posto di un padre di famiglia.

Ci sono storie di persone del passato che, pur non celebri o avvolte dall’oblio, sembrano attenderci per donare speranza. Con Gerolamo Fazzini, già autore un anno fa della fortunata serie sui “protagonisti dimenticati”, apriamo ogni giovedì lungo tutta l’estate un ideale album di testimoni credibili della speranza – nei suoi profili più umani – su cui il Giubileo ci sta invitando a verificare la nostra stessa vita.

 

-       di GEROLAMO FAZZINI

-        

Alzi la mano chi non ha mai visto Il fuggitivo, il thriller del 1993 con Harrison Ford. Beh, sappiate che c’è un altro film in circolazione, col medesimo titolo, ma in polacco: Uciekinier. Non una pellicola di fantasia, bensì un documentario, uscito nel 2006, che ripercorre la vicenda di Kaziemierz Piechowski, sottotenente polacco, scout, morto nel 2017, all’età di 98 anni: il primo in assoluto a fuggire da Auschwitz, il 20 giugno 1942, il primo a dare la speranza che fosse possibile scappare dall’inferno. A parte un breve trafiletto su Repubblica e un post su Facebook realizzato dal gruppo scout “Felici e ribelli”, però, su questa bellissima figura in italiano c’è poco o nulla. Nessun editore nostrano s’è sognato di tradurne l’autobiografia, intitolata Bylem numerem (“Ero un numero”). Eppure la sua è stata chiamata dal settimanale tedesco Stern - e a ragione - «una delle fughe più spettacolari del periodo nazista». D ieci mesi dopo Piechowski, toccherà a un altro militare polacco, Witold Pilecki, rendersi protagonista di un’avventura di straordinario coraggio, raccontata nell’autobiografico Il volontario di Auschwitz (Piemme, 2023). Pilecki si era lasciato catturare e internare nel più tremendo dei lager con un obiettivo preciso: infiltrarsi, raccogliere informazioni dettagliate sulle atrocità naziste, organizzare una rete di resistenza clandestina e poi fuggire, in modo da comunicare l’esito delle le sue scoperte agli Alleati. Per quasi tre anni operò dall’interno, inviando rapporti segreti attraverso messaggi clandestini. Tuttavia le sue richieste di un’azione esterna su vasta scala, come un bombardamento mirato o un attacco per liberare i prigionieri, rimasero inascoltate o considerate troppo rischiose dagli Alleati. Cosciente che la sua copertura era a rischio (e che solo una testimonianza diretta avrebbe potuto scuotere la comunità internazionale), decise di fuggire nella notte fra il 26 e il 27 aprile. N emmeno al giovane studente polacco Jan Karski (nome di battaglia di Jan Kozielewski) le grandi potenze, purtroppo, hanno dato credito, nonostante abbia documentato gli orrori nazisti, entrando segretamente per due volte nel Ghetto di Varsavia e recandosi di nascosto a Izbica, vicino a Varsavia, da dove migliaia di ebrei cecoslovacchi venivano spediti ai campi di sterminio di Belzec e Treblinka. Karski - di cui nel 2013 Adelphi ha pubblicato La mia testimonianza davanti al mondo - incontrò il presidente Franklin Delano Roosevelt e gli chiese (invano) di bombardare i campi di sterminio. Non ebbe fortuna nemmeno nel colloquio con Felix Frankfurter, magistrato ebreo della Corte Suprema, il quale, dopo averlo incontrato, dichiarò: « Non dico che questo giovane stia mentendo, ma che sono incapace di credergli».

I n termini di impatto sull’opinione pubblica mondiale, la fuga più significativa fu realizzata da due giovani ebrei slovacchi: Walter Rosenberg (noto anche come Rudolf Vrba) e Alfred Wetzler. Avvenuta il 25 aprile 1944, è mirabilmente narrata da Jonathan Freeland ne L’artista della fuga, pubblicato da Guanda nel 2023. Entrambi i protagonisti avevano una conoscenza approfondita di Auschwitz- Birkenau; Vrba, in particolare, aveva lavorato nel Sonderkommando (l’unità dei prigionieri costretti a lavorare nelle camere a gas e nei crematori). Il loro dettagliato resoconto, noto come “Rapporto Vrba-Wetzler” (o “Protocolli di Auschwitz”), descrisse minuziosamente la struttura dei campi, i metodi di sterminio, il numero di vittime e l’imminente arrivo degli ebrei ungheresi. Diffuso a livello internazionale, contribuì a fermare le deportazioni di massa degli ebrei ungheresi ad Auschwitz. Non andò a buon fine, invece, il tentativo di Mala Zimetbaum ed Edek Galiñski, messo in atto il 24 giugno 1944: lei ebrea belga, lui detenuto politico polacco, riuscirono a evadere ma presto vennero catturati e giustiziati, come racconta Francesca Paci in Un amore ad Auschwitz (Utet, 2020). D unque, Piechowski non è il più famoso né l’unico fra quanti sono fuggiti dal più tremendo dei lager, ma è stato il primo. C’è un’altra ragione per la quale dedichiamo particolare attenzione alla sua storia: come segnala il polacco Jerzy Klistala nel volume Gli incubi dei campi di concentramento nazisti, delle prigioni e dei campi di sterminio tra il 1939 e il 1945, il sottotenente scout era presente all’appello durante il quale, nell’agosto 1941, padre Massimiliano Kolbe si consegnò al posto del Franciszek Gajowniczek, un padre di famiglia destinato al bunker della fame. Ma chi era Piechowski? Parlando della sua infanzia a Tczew, sul fiume Vistola, dice di sé, nell’autobiografia: « Ero uno scout, con anima e corpo». Due mesi dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, il 12 novembre 1939, insieme a un amico scout, lascia il Paese, ormai in mano ai nazisti. La meta è l’Ungheria, il sogno la Francia: lì si stava formando l’esercito polacco clandestino. Catturati da una pattuglia tedesca, però, i due vengono arrestati e torturati, quindi rinchiusi in un campo di lavoro a Tarnów e il 20 giugno 1940, insieme con altri 313 compagni di prigionia, approdano al campo di concentramento di Auschwitz. Numero di matricola: 918.

I l motto scout è Estote parati (“Siate pronti”). Dopo due anni di prigionia, Piechowski decide di fuggire, insieme a tre compagni. Individua il momento propizio per tentare la fuga, si introduce in magazzino, ruba delle divise e, utilizzando un’auto delle SS, fugge con i suoi compagni attraverso il cancello del campo. Il segreto? Uno straordinario sangue freddo e la perfetta conoscenza del tedesco, appreso in famiglia. Il coraggioso scout riesce persino - racconterà in un’intervista al Guardian l’11 aprile 2011 - ad apostrofare in malo modo le guardie naziste perché sollevassero in fretta la sbarra del campo.

Dopo la fuga Piechowski entra nell’esercito nazionale, nelle cui file combatte fino alla fine della guerra. Ma, una volta libero, i guai per lui non sono finiti: il nuovo governo filo-comunista polacco lo punisce con 10 anni di prigione. Rinchiuso in carcere, prima a Danzica, poi in diverse altre prigioni, alla fine viene trasferito e mandato a lavorare in miniera. Dovrà aspettare sette anni prima di essere liberato. Come per molti testimoni della Shoah, anche a Kazimierz Piechowski sono serviti lunghi decenni per riuscire a rimettere piede nel più grande cimitero del mondo. Ad Auschwitz ritorna nel 2000, in occasione del 60° anniversario del suo primo trasporto dal campo di Tarnów. Lì le emozioni lo assalgono con violenza: «Vidi il “muro della morte”. Per un attimo non sentii nulla e non vidi altro che una montagna di cadaveri insanguinati. Caddi. Chiamarono un medico. Mi fecero delle iniezioni e, dopo mezz’ora, ero fuori di lì. È la sindrome di Auschwitz». L’ultima parola di Piechowski, però, è un invito alla speranza: «Sono un boy scout, lo sarò fino alla fine della mia vita - ha dichiarato alla rivista tedesca Der Spiegel - e quindi ho il dovere di essere grato e allegro».

 La foto per la schedatura di Kazimierz Piechowski al “KL Auschwitz” (“Konzentrationslager Auschwitz”)

 Avvenire, 14 agosto 2025

 


lunedì 11 agosto 2025

GIOVANI, OSATE I SOGNI

 


 I giovani di oggi sono molto diversi da quelli di ieri, perché repentino è stato il cambiamento sociale degli ultimi decenni. 
Agli adulti spetta la responsabilità di non sottrarre loro la dimensione della generatività, senza la quale non c’è futuro.

Luciano Manicardi

Mentre parlava dei giovani come coloro che «in se stessi rappresentano la speranza», papa Francesco puntava il dito sulla responsabilità degli adulti nei loro confronti: «Non possiamo deluderli… prendiamoci cura delle giovani generazioni» (Spes non confundit, 12). La speranza dei giovani è anche responsabilità degli adulti. E ciò di cui gli adulti devono anzitutto prendere coscienza, e che devono conoscere, è quella che Michel Serres, parlando appunto dei giovani, ha chiamato la «nascita di un nuovo umano». 

Quelli di oggi sono giovani che, rispetto ai loro padri, hanno diversa attesa di vita, diversa famiglia, diversa sofferenza, diversa formazione – ormai monopolio dei media –, diverso spazio in cui vivere grazie alla «onniconnettività», diverso linguaggio, diverso modo di pensare e relazionarsi alla realtà, diversa temporalità, diverso rapporto con il lavoro, diversi legami dovuti alla precarizzazione delle appartenenze (nazionali, politiche, religiose, di genere). Prima responsabilità degli adulti è ascoltare, conoscere, comprendere

Solo ora cominciamo ad avere una certa conoscenza degli effetti che la familiarità quotidiana – praticamente fin dalla culla – con gli smartphone, può avere sui bambini e sugli adolescenti. Jonathan Haidt, studiando la generazione Z (i nati dopo il 1995), ha notato la crescita di fenomeni di ansia, angoscia, depressione, comportamenti autolesionistici, suicidi. Crescere avvolti nel cosiddetto mondo virtuale non aiuta certo ad affrontare il mondo reale e influenza pesantemente lo sviluppo sociale e neurologico dei bambini. Nel suo libro La generazione ansiosa, dopo aver notato che da un’infanzia fondata sul gioco si è passati a un’infanzia fondata sul telefono, l’autore sostiene che l’iperprotezione nel mondo reale e la scarsa protezione nel mondo virtuale sono alla base dell’«ansietà» di questa generazione

Ma, soprattutto, agli adulti spetta di dare fiducia e fare spazio al giovane, non di istituire paragoni e giudicare. Solo dando fiducia si crea speranza. Responsabilità sociale e culturale, oggi, è recuperare la dimensione della generatività senza la quale i giovani vengono derubati del futuro: se il mondo del lavoro, l’economia, la politica si appiattiscono sul presente, investendo e puntando su obiettivi solo di breve e brevissimo termine, le giovani generazioni ne pagano le conseguenze. Senza fiducia nel futuro viene tolta speranza ai giovani. Il deficit di generatività è connesso alla scomparsa dell’iniziazione nelle società occidentali. Le iniziazioni sono ritualizzazioni dei passaggi dell’esistenza umana che insegnano all’iniziato il prezzo del vivere, inculcando l’antico principio del «muori e divieni». 

Purtroppo, ormai in Occidente mancano (o sono in grave crisi) istituzioni deputate ad accompagnare la crescita umana del giovane. Vi è necessità di una educazione emotiva che dia strumenti al giovane per riconoscere, nominare e governare le proprie emozioni. Altrimenti succederà sempre più spesso che emozioni non riconosciute di rabbia vengano disregolate in aggressività, portando a violenze; o che emozioni non riconosciute di tristezza vengano disregolate in depressione. Così come sarebbe fondamentale una formazione al pensare, alla solitudine, al silenzio, al lavoro di conoscenza di sé, alla coltivazione dell’interiorità. 

E che cosa spetta al giovane? È fondamentale per un giovane imparare a guardarsi dal demone della facilità. Egli incontra oggi un’abbondante offerta di beni di comfort (enormemente accresciuta grazie al digitale) che danno gratificazione immediata, ma poi producono assuefazione, dipendenza e, alla lunga, noia, non gioia. Inoltre, abituano a una temporalità del tutto e subito, contraria al lavoro paziente, fatto anche di attese, correzioni e revisioni cammin facendo, tipiche di quel work in progress che è la costruzione di relazioni profonde. Relazioni in cui consistono tanto il senso quanto la felicità di una vita. 

Ha scritto frère Roger di Taizé: «Solo l’umile dono della propria persona ci rende felici». I cosiddetti beni di stimolo richiedono fatica, sforzo, impegno e risultano meno appetibili, ma solo assumendo la dimensione della fatica e dello sforzo si può costruire un sé robusto e relazioni serie. I beni di stimolo sono beni culturali, relazionali, afferenti l’ambito sociale (per esempio, il volontariato), la pratica sportiva, l’ambito spirituale. Ma per impegnare fatica e sforzo il giovane deve nutrire una passione, perché solo questa gli permette di raccogliere le proprie energie e porle a servizio del perseguimento del proprio scopo. Un consiglio ai giovani?

Coltivate creatività e immaginazione. E abbiate coraggio: osate voi stessi e il vostro desiderio.

Messaggero di Sant'Antonio

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venerdì 8 agosto 2025

ASPIRATE A COSE GRANDI


 Papa Leone ai giovani: aspirate a cose grandi, non accontentatevi

 

Pubblichiamo l’omelia di Papa Leone XIV alla Concelebrazione Eucaristica di Tor Vergata, il 3 agosto, in occasione del Giubileo dei giovani. 

 

Carissimi giovani,

dopo la Veglia vissuta assieme ieri sera, ci ritroviamo oggi per celebrare l’Eucaristia, Sacramento del dono totale di Sé che il Signore ha fatto per noi. Possiamo immaginare di ripercorrere, in questa esperienza, il cammino compiuto la sera di Pasqua dai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35): prima si allontanavano da Gerusalemme intimoriti e delusi; andavano via convinti che, dopo la morte di Gesù, non ci fosse più niente da aspettarsi, niente in cui sperare. E invece hanno incontrato proprio Lui, lo hanno accolto come compagno di viaggio, lo hanno ascoltato mentre spiegava loro le Scritture, e infine lo hanno riconosciuto allo spezzare del pane. I loro occhi allora si sono aperti e l’annuncio gioioso della Pasqua ha trovato posto nel loro cuore.
La liturgia odierna non ci parla direttamente di questo episodio, ma ci aiuta a riflettere su ciò che in esso si narra: l’incontro con Cristo Risorto che cambia la nostra esistenza, che illumina i nostri affetti, desideri, pensieri.
La prima Lettura, tratta dal Libro del Qoelet, ci invita a prendere contatto, come i due discepoli di cui abbiamo parlato, con l’esperienza del nostro limite, della finitezza delle cose che passano (cfr Qo 1,2;2,21-23); e il Salmo responsoriale, che le fa eco, ci propone l’immagine dell’«erba che germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca» (Sal 90,5-6). Sono due richiami forti, forse un po’ scioccanti, che però non devono spaventarci, quasi fossero argomenti “tabù”, da evitare. La fragilità di cui ci parlano, infatti, è parte della meraviglia che siamo. Pensiamo al simbolo dell’erba: non è bellissimo un prato in fiore? Certo, è delicato, fatto di steli esili, vulnerabili, soggetti a seccarsi, piegarsi, spezzarsi, e però al tempo stesso subito rimpiazzati da altri che spuntano dopo di loro, e di cui generosamente i primi si fanno nutrimento e concime, con il loro consumarsi sul terreno. È così che vive il campo, rinnovandosi continuamente, e anche durante i mesi gelidi dell’inverno, quando tutto sembra tacere, la sua energia freme sotto terra e si prepara ad esplodere, a primavera, in mille colori.
Noi pure, cari amici, siamo fatti così: siamo fatti per questo. Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere. Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnerla con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell’incontro con Dio. Ci troveremo di fronte a Lui, che ci aspetta, anzi che bussa gentilmente al vetro della nostra anima (cfr Ap 3,20). Ed è bello, anche a vent’anni, spalancargli il cuore, permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito.


Sant’Agostino, parlando della sua intensa ricerca di Dio, si chiedeva: «Qual è allora l’oggetto della nostra speranza […]? È la terra? No. Qualcosa che deriva dalla terra, come l’oro, l’argento, l’albero, la messe, l’acqua […]? Queste cose piacciono, sono belle queste cose, sono buone queste cose» (Sermo 313/F, 3). E concludeva: «Ricerca chi le ha fatte, egli è la tua speranza» (ibid.). Pensando, poi, al cammino che aveva percorso, pregava dicendo: «Tu [Signore] eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo […]. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai (cfr Sal 33,9; 1Pt 2,3) e ho fame e sete (cfr Mt 5,6; 1Cor 4,11); mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace» (Confessiones, 10, 27).


Hermanas y hermanos, son palabras muy hermosas, que nos recuerdan lo que decía el Papa Francisco en Lisboa, durante la Jornada Mundial de la Juventud, a otros jóvenes como ustedes: «Cada uno está llamado a confrontarse con grandes preguntas que no tienen […] una respuesta simplista o inmediata, sino que invitan a emprender un viaje, a superarse a sí mismos, a ir más allá […], a un despegue sin el cual no hay vuelo. No nos alarmemos, entonces, si nos encontramos interiormente sedientos, inquietos, incompletos, deseosos de sentido y de futuro […]. ¡No estamos enfermos, estamos vivos!» (Discurso en el encuentro con los jóvenes universitarios, 3 agosto 2023).


[Sorelle e fratelli, sono parole bellissime, che ricordano quanto Papa Francesco diceva a Lisbona, durante la Giornata Mondiale della Gioventù, ad altri giovani come voi: «Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno […] una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre […], a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro […]. Non siamo malati, siamo vivi!» (Discorso per l’incontro con i Giovani Universitari, 3 agosto 2023).]
There is a burning question in our hearts, a need for truth that we cannot ignore, which leads us to ask ourselves: what is true happiness?  What is the true meaning of life?  What can free us from being trapped in meaninglessness, boredom and mediocrity?
In recent days, you have had many beautiful experiences.  You have met other young people from different parts of the world and from diverse cultures.  You have exchanged knowledge, shared expectations and entered into dialogue with the city through art, music, technology and sport.  At the Circus Maximus, you also approached the Sacrament of Penance and received God’s forgiveness, asking for his help to live a good life.


[C’è una domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della mediocrità? Nei giorni scorsi avete fatto molte belle esperienze. Vi siete incontrati tra coetanei provenienti da varie parti del mondo, appartenenti a diverse culture. Vi siete scambiati conoscenze, avete condiviso aspettative, avete dialogato con la città attraverso l’arte, la musica, l’informatica, lo sport. Al Circo Massimo, poi, accostandovi al Sacramento della Penitenza, avete ricevuto il perdono di Dio e avete chiesto il suo aiuto per una vita buona.]


In tutto questo potete cogliere una risposta importante: la pienezza della nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo né, come abbiamo sentito nel Vangelo, da ciò che possediamo (cfr Lc 12,13-21). È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere (cfr Mt 10,8-10; Gv 6,1-13). Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, alle «cose di lassù» (Col 3,2), per renderci conto che tutto ha senso, tra le realtà del mondo, solo nella misura in cui serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità, facendo crescere in noi «sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3,12), di perdono (cfr ivi, v. 13), di pace (cfr Gv 14,27), come quelli di Cristo (cfr Fil 2,5). E in questo orizzonte comprenderemo sempre meglio cosa significhi che «la speranza […] non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (cfr Rm 5,5).
Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù. È Lui, come diceva San Giovanni Paolo II, «che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna» (XV Giornata Mondiale della Gioventù, Veglia Di Preghiera, 19 agosto 2000). Teniamoci uniti a Lui, rimaniamo nella sua amicizia, sempre, coltivandola con la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente, la carità generosa, come ci hanno insegnato i beati Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, che presto saranno proclamati Santi.

 Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo.


Vi affido a Maria, la Vergine della speranza. Con il suo aiuto, tornando nei prossimi giorni ai vostri Paesi, in tutte le parti del mondo, continuate a camminare con gioia sulle orme del Salvatore, e contagiate chiunque incontrate col vostro entusiasmo e con la testimonianza della vostra fede.

wwww.vatican.va 

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giovedì 7 agosto 2025

CREATORI DI FUTURO

 


 OLTRE

 L’IDEOLOGIA 

DEL FARE

 E DELL’AVERE


-       di FRANCESCO CICIONE

Parlare di “giovani” significa parlare di “futuro”. E parlare di “futuro”, per chi come me si occupa di “innovazione”, significa necessariamente parlare di “cambiamento”. A maggior ragione in un’epoca senza precedenti per l’intensità, la profondità e la velocità dei mutamenti in atto. Ma si può davvero parlare di “futuro”, di “innovazione” e di “cambiamento” autenticamente possibili, senza interrogarsi sul “senso”?

Vanitas vanitatum

Nella Giornata Mondiale dei Giovani, papa Leone XIV ha pronunciato un’esortazione che scuote le coscienze e che, in poche parole, racchiude tanti significati necessari: « Comprare, ammassare, consumare non basta per placare la sete che arde nel cuore dell’uomo ». Risuona (probabilmente non per caso) la contestuale lettura domenicale del Qoelet: « Vanitas vanitatum et omnia vanitas » (« vanità delle vanità, tutto è vanità»), « praeter amare Deum et illi soli servire » («eccetto amare Dio e servire Lui solo»), verrà precisato molti secoli dopo ne L’imitazione di Cristo. La sapienza biblica ricorda che ogni sforzo, se privo di un significato autentico, rischia di tradursi in un vano “ rincorrere il vento”. Pura idolatria del “fare” e dell’”avere”, che ci impedisce di “essere”. Perché, ricorda ancora una volta il Qoelet, la chiamata universale dell’umanità e di ogni persona, è ad “essere”, appunto: « Egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore ». L’attuale modello di sviluppo (e, conseguentemente, di società) è, invece, ontologicamente acquisitivo, incrementale ed estrattivo. Disumano, dunque. Le mirabili sorti e progressive ci sono, probabilmente, sfuggite di mano. Un dato, su tutti, lo testimonia.

 La tecno-sfera

La tecno-sfera ha raggiunto e superato la massa della bio-sfera. La massa artificiale prevale sulla massa naturale. Non si tratta, quindi e solo, di governare l’avvento dell’intelligenza artificiale. Quanto di governare l’avvento della società artificiale. Dopo la società aperta e la società liquida siamo, infatti, entrati nell’era dell’antropocene aumentato. Tutto sta diventando artificiale. E questa artificialità ci schiaccia, ci soffoca, ci sovrasta, ci uccide. Eppure, ci ostiniamo a non cambiare. Siamo prigionieri di noi stessi, dei nostri vizi, della nostra voluttà, della nostra ingordigia, della nostra superbia, del nostro falso benessere. Empi ed infelici. Poiché non può esserci felicità nell’ingiustizia.

Viviamo da carnefici.

Il nostro stile di vita costa letteralmente la vita di un pezzo di umanità presente e futura. La storia ci presenterà il conto. La storia ci sta già presentando il conto. Dobbiamo cambiare. Dobbiamo ricomporre la frattura tra verità dell’essere e verità dei fini. Al motto olimpico dobbiamo sostituire il motto aureo. Dobbiamo ricominciare ad agire da buoni antenati delle future generazioni e da buoni discendenti delle generazioni che ci hanno preceduti. Dobbiamo vivere da custodi e non da proprietari del creato. Dobbiamo ricordare che il nostro diritto di proprietà non è ius utenti et abutendi bensì potestas procurandi et dispensandi.

Abbiamo urgente bisogno di una nuova matematica e di una nuova grammatica dello sviluppo. Lo desideriamo tutti, ma nessuno ha il coraggio di farlo. Nessuno ha la forza di abbandonare la propria comfort zone. Vorremmo che fossero gli altri a cambiare affinché ciascuno possa mantenere i propri privilegi. Non può esserci cambiamento restando all’interno dello schema che vogliamo cambiare. Siamo chiamati ad essere controintuitivi, ad inseguire “ virtute e nuova canoscenza”, oltre l’extrema thule del mondo conosciuto.

Speranza di futuro

I giovani, piccolo grande gregge, possono e debbono essere, vera speranza di futuro. Come scriveva il filosofo tedesco Wilhelm Dilthey, «il giovane è quel punto di crisi tra ciò che è stato e ciò che sarà»: una crisi passa per il disorientamento e diventa soglia creativa, opportunità di ripensare criticamente l’idea stessa di progresso e di società.

Per assolvere a questo compito ai giovani (oggi come ieri, oggi come domani) è chiesto, però, di scegliere coraggiosamente ed autenticamente: essere “consumatori di presente” o “creatori di futuro”? Inseguire una felicità effimera e non duratura fondata sul possesso dei beni, o ricercare, passo dopo passo, fatica dopo fatica, la gioia che non muore e che dona senso alla vita? Perché è nella fatica che troviamo la verità, ed è nella verità che troviamo la salvezza. 

Sant’Agostino nel suo Discorso sul Vangelo di Giovanni, ha indicato la via: «Se vuoi che il mondo diventi un luogo migliore, comincia a custodire il tuo cuore». È da questo cuore custodito e orientato al bene autentico e non retorico che può nascere davvero un mondo nuovo, un mondo migliore, un mondo armonico.

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venerdì 1 agosto 2025

MIGLIORARSI ASSIEME


 

Il calo dei volontari e il loro ruolo

 

-       di VANESSA PALLUCCHI

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C’è una forza centrifuga all’individualismo, al consumismo dei sentimenti e all’indifferenza, che sta scuotendo il nostro Paese. E c’è una spinta alla solidarietà che viaggia in senso opposto, non si arrende e trova anche nuove forme di espressione per continuare a esistere.

L’Italia solidale che resiste dopo la pandemia, in una fase di crisi partecipativa e di aumento di povertà e solitudini mi sembra il primo dato da estrarre dall’indagine di Istat sul volontariato, di cui Avvenire ha scritto ieri, che conferma i 4,7 milioni di volontari italiani pilastro della coesione sociale. Ma i nuovi dati sono in grado di raccontarci anche molto altro, che riassumerei in tre punti: i numeri, le tendenze, i perché.

Partiamo dai numeri. Già la fotografia scattata da Istat nel 2023 (riferita al 2021, per il Censimento degli enti non profit) aveva evidenziato un rilevante calo, in dieci anni, di circa 900mila volontari. Se da una parte, però, la conferma di questi numeri non ci stupisce oggi, dall’altra la diminuzione non ci ha lasciati indifferenti nel tempo trascorso. Si è infatti avviato un processo, stimolato anche da un dibattito pubblico, che ha iniziato a interrogare le organizzazioni sulla loro capacità di attrarre i volontari e, più in generale, sulle trasformazioni del contesto in cui operano e sul modello evolutivo da perseguire. Tornando ai numeri, possiamo anche constatare come oggi ci troviamo in un momento di stabilizzazione, se non addirittura di timida ripresa dell’impegno volontario, se consideriamo che le stime Istat del 2023 parlavano di 4,6 milioni di volontari.

Passando alle tendenze, tra le novità più rilevanti dell’indagine c’è sicuramente l’aumento di volontari che svolgono attività in forma “ibrida”, cioè sia all’interno di organizzazioni che attraverso aiuti diretti (nonostante il calo riguardi entrambe le forme prese singolarmente). Interessante è anche la crescita dell’impegno nelle attività ricreative e culturali. Entrambe queste tendenze riflettono l’emergere di nuovi bisogni, tanto dei volontari quanto delle comunità in cui operano, e dunque la ricerca di nuove risposte sociali. È compito, assolutamente cruciale, delle organizzazioni quello di leggere queste trasformazioni ed evolvere, rafforzando quegli elementi che più le contraddistinguono, a partire dalla capacità di costruire reti sociali laddove la società attuale tende a disgregare; di offrire una cornice di valori condivisi e una visione di futuro migliore possibile laddove prende spazio disillusione e paura; di favorire l’acquisizione di competenze, importanti anche per la crescita personale dei volontari; di porsi come facilitatrici tra il desiderio e l’effettiva possibilità di realizzare azioni concrete di cittadinanza attiva. Infine, veniamo ai “perché”. Credo sia un segnale molto positivo la maggiore predisposizione, evidenziata da Istat anche in chi svolge aiuti diretti, a indirizzare il proprio contributo verso la collettività, l’ambiente, il territorio piuttosto che verso relazioni interpersonali dirette. In una fase complicata e spesso cupa come quella che viviamo, assume più peso il sentirsi immersi in un simile destino con il prossimo anche sconosciuto, e quindi la necessità di resistere e migliorare assieme. La realizzazione che “nessuno si salva da solo”, come diceva anche papa Francesco, pare accomunare sempre più persone.

Al Terzo settore l’incarico di offrire tutti i migliori strumenti per difendere e incoraggiare il desiderio di solidarietà.

 

Portavoce Forum Nazionale del Terzo Settore

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sabato 26 luglio 2025

AMBASCIATORI DI FRATELLANZA E PACE

 


MESSAGGIO 

DEL SANTO PADRE 

LEONE XIV 


PER IL RADUNO 

DEGLI SCOUTS 

ET GUIDES DE FRANCE

[Jambville, 24-28 luglio 2025]

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Cari amici scout e guide di Francia,

 Vi rivolgo i miei cordiali saluti in occasione del vostro grande raduno “Clameurs”. Avete deciso di incontrarvi e di riflettere su un mondo più giusto e sostenibile, quale eco delle grida che salgono dalla terra. Mi rallegro di questa bella iniziativa perché volete essere attori e attrici del cambiamento, mettendo lo scoutismo al servizio delle sfide climatiche. Vivendo un tempo forte e collettivo di giochi, di discussioni e di riflessioni attorno alle questioni sociali ed ecologiche, volete offrire il vostro contributo alla tutela dell’ambiente e rafforzare il vostro impegno al servizio del bene comune.

Oggi siamo invitati ad ascoltare con attenzione il grido del creato. Questa urgenza s’impone a tutto il genere umano, a cui Dio ha affidato la sua opera. La nostra coscienza è fortemente interpellata di fronte ai danni ambientali sempre più gravi che si producono. Dinanzi all’inquinamento e al cambiamento climatico, alla perdita della biodiversità, al deterioramento della vita e al degrado sociale, alle disuguaglianze a livello mondiale, alla mancanza di acqua potabile e di accesso all’energia per molte popolazioni, un’educazione ecologica s’impone a tutti per invertire l’ordine delle cose.

Il vostro incontro vi permette di compiere un discernimento per trovare nuove vie e orientamenti per salvaguardare la vostra casa comune. Siete giovani, siete pieni d’idee e di entusiasmo. Volete conquistare il mondo non per sottometterlo, ma per servire la vita che viene da Dio. L’umiltà, lo spirito di servizio e un rapporto profondo con Cristo vi permettono di radicare in voi i valori cristiani. Solo la conversione interiore rende possibile il cambiamento di abitudini e di mentalità, che si traduce in un nuovo modo di vivere in comunione con l’ambiente. E voi, scout, siete abituati a vivere nella natura, a fabbricare oggetti, a orientarvi e a creare giochi e veglie; il che vi porta a trattare il creato con rispetto. Per questo potete offrire molto alla società con il vostro stile di vita.

Sono convinto che questi momenti intensi che state vivendo vi permettono di arricchirvi ulteriormente di valori come l’incontro e l’accoglienza dell’altro nella sua diversità e nella sua complementarità. Cari scout, siate gli ambasciatori della fratellanza e della pace nel vostro ambiente di vita. Provenite da tradizioni culturali e da contesti sociali diversi, avete personalità ed età differenti. Siete a contatto con persone adulte e persone anziane. È una ricchezza, un vantaggio che vi consente di vedere le cose in grande e di concepire un mondo pacificato con le armi del cristiano, che sono la fede, la verità, la giustizia, il Vangelo della pace (cfr. Ef 6, 11-17).

Cari amici, molti di voi ricevono oggi il sacramento della Confermazione, segno del vostro impegno nella Chiesa. In questo sacramento, ricevete in pienezza lo Spirito Santo, presenza divina che guida, illumina e conforta nel cammino di fede. Vi invito a invocarlo spesso per essere colmati dei suoi doni e delle sue grazie.

Siete ormai consacrati, incaricati di testimoniare la vostra fede nel mondo, di essere agenti di cambiamento e di speranza nella società. È questa la responsabilità di un discepolo attivo di Cristo, impegnato nell’annuncio del Vangelo e nell’amore verso il prossimo. Tuttavia, tutto ciò è possibile solo grazie a una vita di preghiera e di amicizia con Dio.

Vi incoraggio ad andare avanti senza perdere la speranza, senza scoraggiarvi e senza cedere al pessimismo. Sappiate che ognuno di voi è unico nel creato, amato in modo personale dal Signore. Non smettete di credere a un mondo migliore e all’avvento di un’autentica civiltà dell’amore. Come diceva Papa Francesco, siate, anche voi, costruttori di ponti tra le generazioni, le culture e i popoli.

Affidandovi all’intercessione di san Giorgio, vostro patrono, e alla sollecitudine materna della Vergine Maria, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, che estendo ai vostri animatori e alle vostre famiglie.

 Dal Vaticano, 3 luglio 2025

 Leone PP. XIV

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n. 173, lunedì 28 luglio 2025, p. 3.