lunedì 28 ottobre 2019

CONCLUSO IL SINODO SULL'AMAZZONIA. INIZIO DI UN NUOVO CAMMINO ALLA LUCE DEL VANGELO


Conversione e missione: così il Vangelo può salvare i popoli e la terra dell’Amazzonia

Il filo rosso che attraversa il documento finale del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia

 di ANDREA TORNIELLI 

«Abbiamo la nostra visione del cosmo, il nostro modo di guardare il mondo che ci circonda. La natura ci avvicina di più a Dio. Ci avvicina guardare il volto di Dio nella nostra cultura, nel nostro vivere. Noi come indigeni viviamo l’armonia con tutti gli esseri viventi… Non indurite il vostro cuore, dovete addolcire il vostro cuore. Questo è l’invito di Gesù. Ci invita a vivere uniti. Crediamo in un solo Dio. Dobbiamo restare uniti. Questo è quello che noi desideriamo come indigeni. Abbiamo i nostri riti, però questo rito deve incardinarsi nel centro che è Gesù Cristo».
Una delle testimonianze più forti e più vive, tra quelle ascoltate dai partecipanti al Sinodo dei vescovi dell’Amazzonia, l’ha offerta Delio Siticonatzi Camaiteri, membro del popolo Ashaninca. Ancora una volta si è verificato ciò che più volte Papa Francesco ha insegnato con il suo magistero: si esce per annunciare il Vangelo ed essere vicini ai più poveri, agli scartati e agli indifesi non per “portare” qualcosa ma innanzitutto per essere evangelizzati, cioè per incontrare il volto del Dio di Gesù Cristo nei volti di questi nostri fratelli.
Il documento finale del Sinodo, frutto del discernimento comune dei vescovi dell’Amazzonia e di altre parti del mondo radunati dal Successore di Pietro, presenta il filo rosso di una triplice conversione: ecologica, culturale e sinodale. Una triplice conversione per realizzarne una quarta, quella pastorale, al fine di annunciare con rinnovato slancio missionario il Vangelo di Gesù Cristo in queste terre. Infatti, a fondamento di queste quattro conversioni - sottolinea il documento - c’è «l’unica conversione al Vangelo vivente, che è Gesù Cristo».
I drammi che vive quell’immenso e poco popolato territorio, attraversato da fiumi e ricco di biodiversità, definito nel documento “cuore biologico” del pianeta, sono un esempio dei drammi che viviamo in questo tempo. I cambiamenti climatici, la deforestazione, il depredamento rapace delle risorse, l’abbandono in cui vivono i popoli autoctoni, le sfide rappresentate dalla crescita delle periferie delle metropoli, le migrazioni interne ed esterne, le violenze perpetrate sui più deboli. Tutto ciò sfida i cristiani e li richiama alle loro responsabilità.
Dal documento finale emerge chiaramente la necessità di un cambio di passo, che non potrà mai essere frutto di strategie di marketing missionario o soltanto di nuove strutture ecclesiali. C’è bisogno di tornare alla sorgente, a quel “centro” testimoniato con passione da Delio. L’Amazzonia ha bisogno innanzitutto della sovrabbondanza della grazia, di uomini e donne che amano Gesù e lo scoprono nei volti, nei drammi, nelle ferite dei popoli dimenticati e sfruttati.
Tutto ciò che nel testo consegnato dai vescovi al Papa viene suggerito - dalla nascita di reti ecclesiali per le comunità amazzoniche all’istituzione di specifici organismi per radunare i vescovi della regione, dalla proposta di nuovi ministeri laicali per le donne che rappresentano le vere colonne di molte comunità all’invito rivolto alle congregazioni religiose perché mandino missionari in quelle terre, la necessità di inculturare meglio nella liturgia le tradizioni e le lingue dei popoli autoctoni, fino alla proposta di rilanciare il diaconato permanente studiando anche la possibilità di arrivare all’ordinazione sacerdotale di diaconi permanenti sposati - trova un suo contesto e una sua luce in quella conversione che Francesco ha proposto fin dall’inizio del suo pontificato con l’esortazione Evangelii gaudium.
Il Sinodo che si conclude dopo aver ascoltato il grido dei popoli amazzonici non è stato un incontro “politico”: è stato invece un evento ecclesiale, in ascolto dello Spirito Santo, per cercare nuovi cammini di evangelizzazione, nella consapevolezza che tutto è connesso e che per i cristiani l’interesse e la preoccupazione per la salvaguardia dei poveri e degli scartati, per la cura e la difesa del creato che Dio ha affidato alla custodia degli uomini, non è un optional, ma scaturisce dal cuore della nostra fede.
Infine, da questo Sinodo giunge un appello all’unità di tutta la Chiesa, a camminare insieme, guidati dallo Spirito Santo. È l’appello che viene da Delio, dagli indigeni dell’Amazzonia: «Non indurite il vostro cuore … Questo è l’invito di Gesù. Ci invita a vivere uniti … Dobbiamo restare uniti … nel centro che è Gesù Cristo».

Vatican News

sabato 26 ottobre 2019

QUOTIDIANI FATTI DI CRONACA CI INTERPELLANO


Recentissimi episodi di cronaca ci costringono a riportare l’attenzione sul fenomeno, ormai quasi rimosso dai mass media e dall’opinione pubblica, della diffusione della droga fra i giovani.

di Giuseppe Savagnone

Vicino Livorno una ragazza di 19 anni è morta in discoteca dopo aver ingerito delle pasticche, sembra di Ecstasy, insieme ad alcool.
Nei pressi di Palermo due ragazzi, uno di 16, uno di 17 anni, sono morti perché l’auto su cui tornavano dalla discoteca, guidata da un ventenne risultato poi positivo ai test su alcool e droga, è uscita di strada.

Un fenomeno rimosso
Non si tratta di incidenti casuali. Il costante aumento del consumo di droga tra i giovani è segnalato da tutte le statistiche.
Gli esperti segnalano che ormai diventa sempre più frequente il passare con leggerezza da una droga all’altra, o l’assumere sostanze senza nemmeno sapere di che si tratta, solo perché l’ha appena assunta il tuo vicino.
Anche per l’enorme varietà di prodotti in circolazione, dalla cannabis allo SPICE alle anfetamine alla cocaina (con un ritorno perfino della “vecchia” eroina). Senza parlare di quelle droghe “legali” che sono l’alcool e il fumo, di cui spesso si sottovaluta la gravità.
La fragilità delle nuove generazioni
Questi dati ci avvertono che – malgrado l’immagine rassicurante di Greta e dei milioni di ragazzi e ragazze che, sul suo esempio, hanno dato in questi giorni una lezione di responsabilità agli adulti sui problemi del clima – cresce la fragilità di fondo delle nuove generazioni sul piano esistenziale e, con essa, l’enorme responsabilità che abbiamo verso di loro anche sotto questo profilo.
Perché, al di là della desertificazione ambientale, su cui la recente protesta studentesca ha incentrato la sua vibrante accusa, la nostra società ne ha determinato un’altra, forse ancora più devastante – anche se i giovani la subiscono a un livello troppo profondo dentro di loro per riuscire a metterla a fuoco, pur soffrendola dolorosamente sulla propria pelle –, ed è quella che riguarda il senso da dare alla propria vita.
Il “senso” perduto
Le generazioni passate, nel complesso, erano riuscite nell’impegno di trasmettere ai propri figli qualcosa – giusto o sbagliato che fosse – in cui credere.
Si trattasse della fede religiosa, o dei princìpi della morale borghese, o della patria, o della rivoluzione proletaria, si cresceva all’interno di una visione complessiva della realtà che consentiva, anzi richiedeva, l’orientamento della persona verso uno scopo oggettivo, in grado di dare senso – nella duplice accezione di “significato” e di “direzione” – alla sua esistenza.
Ancora le lettere scritte in carcere dai giovani partigiani in procinto di essere giustiziati dai nazisti, testimoniano la loro convinzione di non aver sacrificato invano la propria vita.
Valori autoreferenziali
Oggi sarebbe difficile trovare qualcuno disposto a morire per qualcosa di più grande di lui. E chi non ha niente per cui morire è difficile che abbia qualcosa per cui vivere.
Sì, nella nostra cultura ci sono dei valori, ma a guardare attentamente si scopre che sono per lo più caratterizzati da una sostanziale autoreferenzialità: la libertà, ma intesa solo come mancanza di impedimenti esterni, che spinge a rifiutare la responsabilità dei legami; l’autenticità, che consiste nell’essere fedeli ai propri stati d’animo, indipendentemente dagli effetti che le nostre azioni possono avere sugli altri; l’autorealizzazione, che spesso rischia di far perdere di vista che un lavoro non si fa innanzi tutto per realizzarsi, ma per rendere un servizio alla società, e di cui l’autorealizzazione è solo una conseguenza, non il fine.
Il rischio del narcisismo
È quella che Umberto Galimberti chiama «cultura del narcisismo», associandola al nichilismo sempre più dilagante.
«La cultura del narcisismo (…) si compone con la cultura del relativismo, per cui ciascuno, chiamato alla propria autorealizzazione, deve decidere da sé in che cosa questa consista, senza che nessuno debba o possa interferire in questa auto-determinazione (…). Ma sbarrare la porta alle richieste provenienti dall’esterno dell’Io, accantonare la storia, la natura, la società e ogni altro riferimento che non sia ciò che l’Io trova in se stesso, significa sopprimere le condizioni per cui qualcosa è più o meno rilevante e, nell’impossibilità di questa valutazione, sopprimere anche le condizioni per l’esercizio della propria libertà ».
Non per nulla i giovani, sensibilissimi quando si tratta di battaglie a livello planetario, come quello del clima, sono invece estremamente restii a interessarsi di politica, non leggono i giornali, disertano le assemblee studentesche..
La droga come surrogato di una qualsiasi fede
E allora si capisce meglio perché la droga. Naturalmente le ragioni immediate del ricorso ad essa possono essere le più varie: la pressione o anche semplicemente l’esempio del gruppo; solitudine; incomprensioni in famiglia; delusioni affettive; ansia da prestazione; o anche semplicemente curiosità.
Ma sempre, in ultima istanza, la droga ha la funzione di dare quella forza per vivere che un tempo veniva da una fede, fondata o infondata che fosse.
In altri termini, a dei giovani a cui non è rimasto molto in cui credere oltre se stessi, la droga consente di affrontare una vita sempre più frenetica e competitiva malgrado la loro fragilità.
Da qui il ricorso alle pasticche, nelle estenuanti nottate in discoteca, per reggere alla fatica del divertimento; oppure durante la preparazione a un esame, per far fronte allo stress; oppure prima di fare sesso, per sopperire al diffuso indebolimento della carica erotica e della potenza sessuale.
Lo “sballo”
Accanto a questa funzione “adiuvante”, la droga ne ha anche una di “stordimento”.
Quello che si cerca, sotto questo profilo, è lo “sballo” per se stesso, la perdita di coscienza, l’ebbrezza di una liberazione da ogni peso e da ogni limite. Ancora una volta, la momentanea rivincita sul vuoto di una vita priva di veri contenuti e di scopi, e in cui l’esperienza estatica dell’incontro col vero, col bello, col bene, viene surrogata con quella dell’ecstasy o di altre sostanze simili.
Sullo sfondo, la famosa canzone di Vasco Rossi. «Voglio una vita maleducata Di quelle fatte così voglio una vita che se ne frega che se ne frega di tutto sì. Voglio una vita spericolata voglio una vita come quelle dei film. Voglio una vita esagerata la voglio piena di guai. E poi ci troveremo come le star a bere del whisky al Roxy Bar..».
La droga fa male
Fa pena che i ragazzi affascinati da questa illusione di pienezza vitale siano in realtà condannati a un impoverimento umano da tutti punti di vista. Perché la droga – qualunque droga – fa male.
C’è chi sottolinea i danni che queste sostanze – ma ripeto, non bisogna dimenticare l’alcool e le comuni sigarette – arrecano alla salute fisica e mentale. Alcune soprattutto, in una stagione della vita il cervello si modella e assume la struttura adulta, possono avere effetti deleteri sulle capacità cognitive, sulla memoria, sulla capacità di concentrazione.
Per non parlare del condizionamento che deriva dall’assuefazione e del pericolo mortale derivante dalla possibilità di overdose. È riferendosi a tutto ciò, probabilmente, che Jim Morrison, il leader del famoso gruppo musicale “The Doors”, notava: «Comprare droghe è come comprare un biglietto per un mondo fantastico, ma il prezzo di questo biglietto è la propria vita».
I desti e i dormienti
Senza minimamente sottovalutare questi aspetti, vorrei soprattutto sottolineare, però, che di tutto i nostri giovani hanno bisogno, tranne che di qualcosa che li aiuti a stordirsi.
Già i ritmi di vita imposti dalla società e l’uso indiscriminato delle nuove tecniche di comunicazione – computer, tablet, smartphone –, tendono a distoglierci dalla riflessione e da una comunicazione degna di questo nome, fondata cioè sulla reale capacità di capirsi a vicenda e di confrontarsi in profondità.
Un antico pensatore, Eraclito, distingueva gli uomini in «desti» e «dormienti». Il problema è terribilmente attuale. La vita odierna ci anestetizza e ci rende sonnambuli.
Già per gli adulti questo è un dramma e la loro testimonianza non può certo essere di aiuto alle nuove generazioni. Ma esse sono ancora più indifese, perché non hanno neppure – come invece i loro genitori –, la remota memoria dell’esperienza di un mondo diverso, dove si parlava a tavola la sera, dove si pensava che la verità differisse dalla menzogna, e ancora, in politica, si discuteva di idee, senza ridurre il confronto a uno scambio di insulti.
Abbiamo bisogno che i giovani restino svegli
Abbiamo bisogno di giovani che siano lucidi, per sconfiggere le malattie dell’anima che noi adulti abbiamo sviluppato e che stiamo trasmettendo loro. Il diffondersi della droga, in cui essi credono di vedere una coraggiosa trasgressione, in realtà li indebolisce e segna la loro resa all’esistente.
Il potere è grato di avere cittadini “fatti” e mezzo addormentati a cui continuare a imporre la falsa democrazia di cui siamo ostaggio. La nostra società ha bisogno di una profonda trasformazione che solo dai giovani può venire. Per questo soprattutto dobbiamo chiedere loro di non drogarsi, per restare svegli.

mercoledì 2 ottobre 2019

ADOLESCENTI e SALUTE, BUONE LE RELAZIONI SOCIALI MA IN PERICOLO LA SALUTE

Comunicato Stampa N°20/2019 
dell'Istituto Superiore di Sanità


Gli adolescenti hanno un’alta percezione della loro qualità di vita
e un buon rapporto con i compagni e gli insegnanti


Tuttavia, tre su 10 non fanno la prima colazione e appena uno su 10 svolge attività fisica.
Quasi tutti si relazionano tra loro attraverso i social media.
 Nella fotografia dell’ISS i comportamenti degli adolescenti italiani

Gli adolescenti italiani hanno un’alta percezione della loro qualità di vita, anche se le loro abitudini non sono poi così corrette. Dal 20 al 30% degli studenti tra 11 e 15 anni, infatti, non fa la prima colazione nei giorni di scuola, solo un terzo dei ragazzi consuma frutta e verdura almeno una volta al giorno e meno del 10% svolge almeno un’ora quotidiana di attività motoria, come raccomandato dall’Oms, mentre un quarto di loro supera le due ore al giorno (il massimo raccomandato) davanti ad uno schermo.
La fotografia a tutto tondo dei comportamenti degli adolescenti è stata scattata dalla rilevazione 2018 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), promosso dal Ministero della Salute/CCM (Centro per il Controllo e la prevenzione delle Malattie), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena e svolto in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali.
L’indagine, i cui risultati vengono illustrati oggi nell’Aula Pocchiari dell’ISS, mostra oltretutto che aumentano i fenomeni estremi quali il binge drinking e la preferenza, soprattutto tra le ragazze, di trascorrere tempo online con gli amici piuttosto che incontrarsi. Di contro, l’Italia risulta essere tra i paesi meno interessati dal fenomeno del bullismo. Gli studenti, perdipiù, si sentono supportati da amici e compagni di classe e hanno un buon rapporto con gli insegnanti.
 Alimentazione e stato ponderale
Sulla base di quanto auto-dichiarato da 58.976 ragazzi i dati 2018 evidenziano che il 16,6% dei ragazzi 11-15 anni è in sovrappeso e il 3,2% obeso; l’eccesso ponderale diminuisce lievemente con l’età, è maggiore nei maschi e nelle Regioni del Sud. Rispetto alla precedente rilevazione effettuata nel 2014 tali valori sono tendenzialmente stabili.
Tra i comportamenti alimentari scorretti, l’HBSC ha evidenziato nel 2018 l’abitudine frequente a non consumare la colazione nei giorni di scuola, con prevalenze che vanno dal 20,7% a 11 anni, al 26,4% a 13 anni e al 30,6% a 15 anni; tale percentuale è maggiore nelle ragazze in tutte le fasce d’età considerate. Questa abitudine, rispetto al 2014, ha subìto un lieve peggioramento.
Solo un terzo dei ragazzi consuma frutta e verdura almeno una volta al giorno (lontano dalle raccomandazioni) con valori migliori nelle ragazze. Rispetto al 2014 aumenta il consumo, almeno una volta al giorno, di verdura ma diminuisce quello di frutta in tutte le fasce d’età e per entrambi i generi. Pane, pasta e riso sono gli alimenti più consumati in assoluto (1 ragazzo su 2).
Le bibite zuccherate/gassate sono consumate maggiormente dagli undicenni e dai maschi (le consumano almeno una volta al giorno: il 14,3% degli undicenni; il 13,7% dei tredicenni; il 12,6% dei quindicenni). Il trend è però in discesa, già dal 2014, per tutte le fasce d’età e senza differenza di genere.
 Attività fisica e sedentarietà
L’OMS raccomanda almeno 60 minuti di attività motoria moderata-intensa tutti i giorni per i giovani (5-17 anni) includendo il gioco, lo sport, i trasporti, la ricreazione e l’educazione fisica praticate nel contesto delle attività familiari, di scuola e comunità. Nel 2018, la frequenza raccomandata di attività motoria moderata-intensa quotidiana è rispettata dal solo 9,5% dei ragazzi 11-15 anni, diminuisce con l’età (11 anni: 11,9%; 13 anni: 6,5%; 15 anni: 6,8%) ed è maggiore nei maschi; tale comportamento risulta in diminuzione rispetto al 2014.
Le linee guida internazionali raccomandano di non superare due ore al giorno in attività dedicate a guardare uno schermo (videogiochi/computer/internet). Dai dati 2018 si evince che circa un quarto dei ragazzi supera questo limite, con un andamento simile per entrambi i generi e valori in aumento dopo gli 11 anni. Rispetto al 2014 non si riscontra un cambiamento sostanziale.
 Fumo, alcol, cannabis e gioco d’azzardo
La quota totale (11-15anni) dei non fumatori negli ultimi 30 giorni si mantiene stabile: 89% nel 2018 rispetto al 88% del 2014. Le 15enni italiane fumano di più rispetto ai coetanei maschi; infatti il 32% delle ragazze rispetto al 25% dei ragazzi ha fumato almeno un giorno nell’ultimo mese.
Il 16% dei 15enni italiani (e il 12% delle 15enni) ha fatto uso di cannabis nel corso degli ultimi 30 giorni.
Aumentano i fenomeni estremi legati al consumo di alcolici tra i giovani. Nel 2018, il 43% dei 15enni (38% nel 2014) e il 37% delle 15enni (30% nel 2014) ha fatto ricorso al binge drinking (assunzione di 5 o più bicchieri di bevande alcoliche, in un’unica occasione) negli ultimi 12 mesi.
Più di 4 studenti su 10 hanno avuto qualche esperienza di gioco d’azzardo nella vita, con i ragazzi 15enni che risultano esserne coinvolti maggiormente (62%) rispetto alle coetanee (23%). La quota di studenti a rischio di sviluppare una condotta problematica o che possono già essere definiti problematici (presentano almeno due sintomi del disturbo da gioco d’azzardo come per esempio aver rubato soldi per scommettere) è pari al 16%, con un +10% rispetto al 2014.
Il rapporto tra pari, il contesto scolastico, il bullismo e il cyberbullismo
L’HBSC indaga anche alcuni aspetti del contesto di vita familiare e scolastico, come ad esempio il rapporto con i genitori, con i compagni di classe, gli insegnanti, i pari, il bullismo e il cyberbullismo. Nel 2018 più del 70% dei ragazzi (11-15 anni) parla molto facilmente con i genitori; più dell’80% dichiara di avere amici con cui condividere gioie e dispiaceri e più del 70% di poter parlare con loro dei propri problemi. Infine, oltre il 60% dei ragazzi ritiene i propri compagni di classe gentili e disponibili. Un ragazzo su 2 dichiara che gli insegnanti sono interessati a loro come persone e il 62,4% dei ragazzi dichiara di avere fiducia negli insegnanti.
 Il bullismo continua a vedere l’Italia tra i paesi meno interessati dal fenomeno rispetto al complesso di quelli coinvolti nella rilevazione. Gli atti di bullismo subìti a scuola nel corso degli ultimi due mesi decrescono con l’età: coloro che dichiarano di essere stati vittima di bullismo almeno una volta negli ultimi 2 mesi sono il 16,9% degli undicenni (erano il 23% nel 2014), il 13,7% dei tredicenni e l’8,9% dei quindicenni. Rispetto al 2014 tale fenomeno è quindi complessivamente in riduzione. La percentuale di coloro che dichiarano di aver subìto azioni di cyberbullismo negli ultimi due mesi diminuisce con l’età (11 anni: 10,1%; 13 anni: 8,5% e 15 anni: 7%).
 L’uso problematico dei social media
La diffusione e l’uso dei social media, soprattutto tra i più giovani, richiede un’attenzione particolare; per tale motivo nei questionari HBSC 2018 è stata introdotta un’intera sezione su questo fenomeno. I risultati mostrano che i giovani che fanno uso problematico dei social media sono l’11,8% delle ragazze e il 7,8% dei ragazzi. La preferenza per le interazioni sociali online rispetto agli incontri faccia a faccia è frequentemente considerato un comportamento che contribuisce al rischio di sviluppare un uso problematico dei social media. Infatti, soprattutto le ragazze di 13 anni (19%) dichiarano di essere d’accordo o molto d’accordo nel preferire le interazioni online per parlare dei propri sentimenti. La maggioranza delle ragazze (86,9%) e dei ragazzi (77%) ha dichiarato di avere contatti giornalmente o più volte al giorno con la cerchia di amici stretti che frequentano anche faccia a faccia.
 Le abitudini sessuali
Il 21,8% dei 15enni (26,2% maschi vs 17,6% femmine) dichiara di aver avuto rapporti sessuali completi. Il tipo di contraccettivo prevalentemente utilizzato è il preservativo (70,9% dei maschi e il 66,3% delle femmine), seguito dal coito interrotto (37% maschi vs 54,5% femmine), dalla pillola (11,1% maschi vs 11,5% femmine) e poco meno del 6,5% riferisce l’uso di metodi naturali.
L’indagine
Il sistema di Sorveglianza HBSC raccoglie importanti informazioni sulla salute e gli stili di vita degli adolescenti di 11, 13 e 15 anni (studenti delle scuole primarie di II grado e scuole secondarie). L’età pre-adolescenziale e adolescenziale rappresenta una fase cruciale per lo sviluppo dell’individuo e la comprensione dei determinanti dei comportamenti a rischio, frequenti in questa fascia d’età, può contribuire alla definizione di politiche e interventi in grado di promuovere l’elaborazione di valori positivi e che facilitino l’adozione di stili di vita salutari.
 Nella rilevazione 2018, i ragazzi di 11, 13 e 15 anni che hanno risposto al questionario sono stati 58.976 distribuiti in tutte le Regioni italiane (con un tasso di rispondenza complessivo pari al 97,1%); le classi campionate sono state 4.183, distribuite anch’esse in tutte le Regioni d’Italia (con un’adesione pari all’86,3%). L’elevata partecipazione, sia dei ragazzi che delle classi, è indicativa di un buon livello di sinergia tra il settore scolastico e il settore sanitario, nonché di una sensibilità particolare delle famiglie dei ragazzi verso i temi affrontati.
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