La Chiesa cresce per l’attrazione di una fede
coinvolta con la vita vera. Domande sul Sinodo dei giovani in dialogo
con Giacomo D’Alessandro, animatore di un centro al servizio dei poveri
presente nella chiesa di San Pietro in Banchi a Genova
«Da quattro anni provo a fare vita comunitaria con altri ragazzi
nei locali di una chiesa nel centro storico di Genova. Un luogo deputato
da 35 anni al dialogo tra culture e religioni, a percorsi di ricerca
esistenziale e rete sociale. Di mio sono una sorta di “viandante”: il
movimento lento, l’incontro, la narrazione caratterizzano un po’ tutte
le mie attività. Quelle di comunicatore, quelle di camminatore, quelle
di musicista». Si definisce così Giacomo poco sopra i
venticinque anni animatore di questo centro straordinario di
condivisione, reciprocità, ricerca di cammino vocazionale per giovani
che vogliono impegnarsi seriamente a servizio del Vangelo.
Laboratorio privilegiato e appassionante di proposte maturate tra
giovani che vogliono fare della loro qualcosa di bello per loro stessi e
per gli altri. «Ho una passione per il Vangelo e la Chiesa che da 10
anni mi portano a documentarmi, scrivere e organizzare eventi di
approfondimento critico. Ho provato a smettere, ma niente. C’è troppo di
buono da valorizzare, spesso offuscato da troppo di malsano da
denunciare e rimuovere. Molte ceneri sopra le braci ardenti, come diceva
Martini. E in un mondo così complesso, abbiamo bisogno di tornare alla
radicalità limpida delle braci originarie».
A Giacomo domandiamo: un giovane della chiesa di Genova, cosa si aspetta dal Sinodo dedicato ai giovani?
Se permetti la battuta, un giovane della chiesa di Genova non sa
nemmeno che ci sarà un Sinodo, nel nostro “feudo” purtroppo la chiesa di
papa Francesco ancora non arriva. Personalmente, dal Sinodo mi aspetto
un cambio di approccio da parte della gerarchia ecclesiastica (perché
ricordiamo che questi consessi non li conduce il Popolo di Dio che è la
Chiesa, ma la gerarchia che è una piccola parte uniforme di Chiesa). Mi
aspetto quello che si stanno impegnando a fare con tanta buona volontà:
mettersi in ascolto delle voci libere di tanti giovani diversi, credenti
e non credenti, per ricevere da loro una lettura della realtà globale,
locale, e della chiesa stessa. Mi aspetto la capacità di non starsene
dei contributi giovanili clericali (rischiano di essere i più), ma che
sappiano capire da dove arrivano i contributi più originali e
rappresentativi, le intuizioni più qualitativamente sensate per
rispondere ai segni dei tempi. Mi aspetto infine che si abbia il
coraggio di sbloccare alcune riforme attese da troppi anni, penso al
diaconato femminile (che ricchezza libererebbe nella chiesa mondiale!),
la fine dei seminari su modello tridentino, percorsi vocazionali in
grado di valorizzare davvero i diversi carismi espressi dai giovani nel
mondo, non soltanto quei carismi che rientrano negli stretti parametri
dell’inquadramento ecclesiastico. Non è vero che sono calate le
vocazioni, sono calate “questo” tipo di vocazioni pre-confezionate, che
non impattano più sulla vita e sulla realtà delle persone.
Secondo la tua esperienza, la Chiesa nelle sue forme, strutture e liturgie è ancora attraente per un giovane?
So che per alcuni queste saranno parole insopportabili, ma bisogna
accettare che molti giovani credono “nonostante” le forme, strutture e
liturgie della Chiesa. Da tempo queste cose sono, di fatto,
controproducenti a percorsi di fede adulta. Non per niente negli
ambienti ecclesiali la qualità delle persone si è drasticamente
abbassata, rispetto agli anni post-conciliari. L’ossessione
dell’omologazione (scambiata per comunione) unita all’immobilismo
pachidermico (che fa restare in maniera crescente “fuori dal tempo”) ha
tolto alla chiesa le energie migliori. I giovani più svegli sono i primi
ad andare altrove ad esprimere i loro talenti, piuttosto che rimanere
invischiati in ambienti stantii, dove per smuovere un centimetro devi
lottare contro frotte di anziani formati a linguaggi incomprensibili e a
strumenti decisionali anti-democratici. Quello che è ancora attraente
per i giovani è l’impegno radicale e civile di tanti credenti che
agiscono nella società, a partire dal Vangelo, “in Cristo per l’Uomo”.
Molti giovani sono in cerca di senso forte per la loro vita, di mission valide in cui tradurre le loro grandi capacità ed esperienze.
Un giovane che vuole seguire Gesù cosa domanda alla chiesa oggi?
È difficile dirlo, dal momento che mai lo si chiede. A questo può
servire il Sinodo: capire quali domande porre ai giovani, nella speranza
di ottenere delle risposte utili a migliorare gli ambienti educativi.
Nella mia limitata esperienza vedo che molti giovani reagiscono bene in
situazioni esperienziali forti: il viaggio, il cammino, la missione, il
volontariato, la vita comunitaria… Ci sono giovani che hanno fatto tutti
i percorsi parrocchiali disponibili, e da adulti si accorgono di non
aver mai fatto un percorso di qualità per comprendere i Vangeli. Altri
si accorgono di aver fatto tante parole sui valori, ma di non sapere da
che parte cominciare per metterli in pratica. Altri ancora hanno bisogno
di strumenti per fare discernimento, ma la formazione per essere
accompagnatori equilibrati, magari su modello ignaziano, non è certo di
tutti i preti e religiosi. Le nuove generazioni generalmente vogliono
partire dal fare. Anche perché hanno ben altre preoccupazioni che “fare
salotto” o retorica valoriale. Se la fede che si presenta loro è “credi o
non credi in Dio”, allora non interessa più a nessuno, perché non ha
nulla a che fare con la vita vera. Devono studiare, trovare lavori,
aumentare curriculum, capire chi sono, dove vanno, quali stimoli siano
distrazioni, quali desideri siano sopiti, dove va il mondo, come
incidere su una realtà complessa, come far fronte a esigenze materiali
che paiono insormontabili e angoscianti… Si chiedono se sia ancora
possibile appartenere a qualcosa, o se sia doveroso andarsene,
sperimentare l’altrove, e come tenere insieme percorsi individualistici
pur cercando relazioni forti, un ambiente in cui sentirsi a casa. Le
esigenze si sono individualizzate e moltiplicate. Per questo la vecchia
parrocchia o il vecchio parroco oberato di liturgie non possono
rispondere se non a un pugno di giovani. Servono team pastorali con una
rete di proposte di qualità più affidabile, il cui fine non sia “portare
i giovani in parrocchia”, ma “fare strada accanto a loro” ovunque
siano, offrendo stimoli e spunti di crescita interiore ed esistenziale. E
sul livello adulti e famiglie, ricostruire delle comunità domestiche,
“fuori dal tempio”, dove si condivida la vita, si trasmetta il Vangelo,
si facciano scelte coraggiose insieme per essere lievito nella pasta.
Fonte: Città nuova - da: Silvano Gianti
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