OLTRE IL «DIO INGABBIATO», UNO SCENARIO INEDITO
Non sono 'contro' ma 'dopo' la religione.
Quale corrente seguono i
«Millennials», come uccelli migratori, per spostarsi da un mondo
religioso a loro avviso troppo stretto verso nuove regioni inesplorate
dello spirito?
di Stefano Didone*
«Penso che sia possibile
avere un rapporto con Dio a prescindere dalla Chiesa... per cui non
credo sia necessario dover andare in chiesa per forza ogni domenica».
La voce di questa ragazza, intervistata nell’ambito della indagine su
giovani e fede svolta dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo
(cfr. a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia,
Vita e Pensiero, Milano 2015), esprime il sentire profondo di molti
suoi coetanei, anche tra quelli più 'vicini' e partecipi alle varie
esperienze ecclesiali. Giovani che si mostrano 'allergici' di fronte a
qualsiasi forma strutturata e 'preconfezionata' della fede, eppure
assetati di risposte vere di fronte alle domande che contano: perché il
dolore e la morte? Qual è il senso della mia esistenza? C’è un Dio? Le
paure che li abitano sono quelle di sempre: paura di rimanere soli nella
vita e senza affetto. Grattando via la vernice che molta letteratura
sulla condizione giovanile imprime su di loro (dai 'nativi digitali' ai
'nichilisti attivi'), appare improprio parlare di una vera e propria
'mutazione antropologica' nel caso dei Millennials (e per la
'generazione Zeta' aspettiamo ancora a dire). Forse si tratta più
semplicemente di ascoltarli in profondità e di avviare con loro nuovi
percorsi per interpretare insieme le domande e le paure vere
dell’esistenza umana. È quello il crocevia giusto in cui riannodare
eventualmente le fila con le grandi tradizioni spirituali.
I
n vista del Sinodo dei Giovani di ottobre molte diocesi hanno
realizzato delle 'campagne di ascolto' attraverso questionari o altre
iniziative nelle scuole, università e ambienti pubblici (come le 'tende
nelle piazze'). I risultati sono difficilmente sintetizzabili anche se
il trend appare ormai chiaramente. In uno dei questionari, realizzato in
una diocesi del Nord Italia, alla domanda relativa alla rilevanza della
religione («Nella tua vita, quanto è importante la religione?»), la
maggior parte delle risposte oscilla tra «abbastanza», «poco» e
«niente». Queste risposte vanno riconosciute per quello che esprimono,
come indicatori di una frattura profonda, nei giovani, tra l’esperienza
religiosa così come l’hanno conosciuta e vissuta finora e la domanda di
spiritualità 'a tutto campo' che c’è in loro.
Il Rapporto Giovani 2018 consegna dati cristallini, dai quali si ricava
l’impressione che il solco scavato sia già profondo: al Nord e al
Centro i giovani che si dichiarano cattolici sono sotto il 50% e coloro
che dichiarano di frequentare la chiesa una volta la settimana sono
l’11,7%. Il 25,1% non frequenta mai. L’impressione generale, ha
osservato Paola Bignardi, è che «il discorso
specificamente religioso si sia ulteriormente indebolito, mentre le
domande esistenziali e il bisogno di spiritualità si siano addirittura
rinforzati, in una situazione in cui si sono rarefatte le risposte o è
stata rifiutata la tradizione religiosa». M
a quali sono i tratti emergenti del loro «bisogno di spiritualità»?
Quale corrente seguono i giovani, come uccelli migratori, per spostarsi
da un mondo religioso a loro avviso troppo stretto verso nuove regioni
inesplorate dello spirito? In primo luogo, vi è una grande diversità di
tempi e di modi nella loro esperienza. La spiritualità dei giovani
appare multiforme, non codificata, non 'contro' la religione, ma 'dopo'
la religione. Una generazione che cerca una spiritualità molto
'personalizzata', la cui caratteristica principale è favorire il
rapporto con se stessi e la propria interiorità. Di fronte a una
decisione hanno bisogno di più tempo per fidarsi, ma ciò non significa
che prima o poi arrivino a farlo. La differenza con la tradizione
religiosa cristiana appare marcata da una sorta di 'sbarramento' nei
confronti di un modo di presentare Dio troppo 'ingabbiato', ma non sono
chiusi ai racconti dei testimoni dell’invisibile. La possibilità di una
forma di relazione con un Dio personale è tendenzialmente collocata
nell’ambito delle 'opinioni personali in ambito religioso', ma quando scoprono che il nome di Dio non è la paura, ma l’amore, le cose cambiano.
L’ Instrumentum laboris
in vista del Sinodo utilizza il termine «varietà» per esprimere i
diversi percorsi e riconosce che i giovani sono «aperti alla
spiritualità, anche se il sacro risulta spesso separato dalla vita
quotidiana» (n.29). È questa la separazione che la Chiesa è chiamata a
ricucire, non mettendo una toppa sopra lo strappo ma con «il vestito
nuovo» (Lc 5,36) dell’empatia, dell’ascolto e della vicinanza. In
secondo luogo, la spiritualità dei giovani si esprime attraverso canali
preferibilmente destrutturati e legati alla propria biografia.
L’ambiente digitale è la loro acqua e la decostruzione dei linguaggi il
loro alfabeto.
Immagini,
profili, citazioni, simboli: la domanda di spiritualità è dentro il
grande calderone multimediale, ma in forma discreta e sottotraccia, mai
esibita perché segue la corrente opposta dell’imperativo della
condivisione a tutti i costi. C’è soprattutto l’idea che l’esperienza
spirituale debba essere anzitutto un percorso personale e legato alla
vita, un’esperienza che passi per la 'cruna dell’ego', ma senza restare
incagliati. La gelosa difesa della propria soggettività non è vissuta
come chiusura alla possibilità di un incontro, ma condizione per la
sua autenticità. In terzo luogo, la spiritualità dei giovani è alla
ricerca di figure significative, 'guide' che si affianchino, non che
si impongano. Quante volte mi sono sentito dire nel dialogo personale
con gli universitari: 'Caro don, sono proposte interessanti, ma non
chiedermi nulla', restituendomi chiaramente l’impressione di una
Chiesa che ai giovani deve sempre 'proporre' o chiedere qualcosa. Fosse
anche solo compilare un questionario. Occorre ricostruire un rapporto
all’insegna della vicinanza e della gratuità dell’ascolto, dedicando
più tempo all’incontro, anche a quelli più fortuiti. Non cercano figure
eroiche, l’importante è che non siano giudicanti.
L
a sfida che sembra delinearsi per la Chiesa consiste nel rendere
nuovamente affascinante l’incontro con il Dio di Gesù Cristo, colui che è
'più interiore' alla propria stessa interiorità. Il Dio di Agostino
appare quello più vicino alla sensibilità dei
Millennials, giustamente gelosi della propria unicità personale, non
'senza fede', ma casomai 'senza religione' e in ogni caso contro ogni
massificazione e intruppamento. Sempre nell’Instrumentum si legge che
«in diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e
momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana, ma
occorre riconoscere che non sempre i pastori sono capaci di entrare in
sintonia con le specificità generazionali di queste attese» (n.30).
Se la Chiesa riesce a presentarsi ai giovani con il vestito nuovo
della misericordia, forse anche la domanda di spiritualità
troverà nuovi canali di espressione e nella borsa dei giovani
riguadagnerà quotazione il Vangelo del Regno. Ma questo richiede tempo
e fiducia. Ha scritto Chiara Giaccardi: «Non si può chiedere a qualcuno
di avere fede se non gli si dà fiducia, perché il movimento è lo
stesso: fede, fiducia, fedeltà vengono da fides, corda.
La fede non è un insieme di contenuti. È un legame (di amore, di
filiazione). Solo 'in cordata' possiamo camminare con coraggio, perché
se qualcuno cade gli altri lo tengono». Lo Spirito forse sta tracciando
nuovi sentieri non per 'deboli di cuore', e i giovani più sensibili sono
i primi a saperli riconoscere. È tempo di dare loro fiducia.
*Docente di Teologia alla Facoltà teologica del Triveneto
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