sabato 24 dicembre 2022

LA VITTORIA CHE SOLO VALE

 


Le nostre fragilità 

e la certezza del Natale. 

Natale è Dio con noi, con noi invasi dalla malinconia che ci fa sentire sbagliati, con noi perdutamente innamorati nella vita.

- di Matteo Zuppi *

 Natale è molto più buono di quanto pensiamo! E soprattutto è davvero buono, tutt’altro che una melassa di sentimenti a poco prezzo. Certo, è buono perché ispira gratuità, induce a donare, a preparare regali e a scoprire che siamo contenti di prepararli per le persone che amiamo o che vogliamo sentano il nostro amore. Indicazione valida tutto l’anno! Ma è ancora più buono se pensiamo che il nucleo incandescente di questa irradiazione di affetti che riscalda il cuore del mondo a Natale, è il grembo di una ragazza che ha offerto tutto l’amore di Donna che aveva per dare alla luce il Figlio di Dio.

 Natale è la certezza che il mistero di Dio non è l’oggetto astratto di futili dispute filosofiche, politiche, persino religiose. Futili, e anche pericolose, perché interessate a decidere la vittoria di una parte dell’umanità su un’altra. E si vince solo insieme! Futili perché Dio non lo riconosci nelle dotte istruzioni dei gestori economici della qualità della vita che, quando le cose vanno male, denunciano gli errori dei tuoi calcoli e passano all’incasso della loro buonuscita.

 Natale è Dio con noi, con noi invasi dalla malinconia che ci fa sentire sbagliati, con noi perdutamente innamorati nella vita. Questo Bambino è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Davvero con noi. È nato e per trenta anni ci ha studiati amorevolmente (non con le statistiche e i bilanci), vivendo come noi e con noi, prima di dirci quello che doveva dirci per conto di Dio. E che doveva dirci, per conto di Dio? Doveva dirci che il mondo del quale Dio è il Signore (“il regno di Dio”) è il mondo che viviamo: quello nel quale cerchiamo come possiamo di amare e di essere amati; quello nel quale sappiamo di non essere mai all’altezza delle promesse fatte e ricevute. Il Figlio che nasce a Natale afferma: «In verità, in verità vi dico» che il più piccolo dono d’amore (fosse un bicchiere d’acqua a un estraneo) vale una vita eterna. E ci fa conoscere la vita di Dio, che ci è destinata fin dalla creazione del mondo. Nasce nel mondo perché la nostra vita nasca al cielo. Una vita nella quale la fiducia dei bambini e le speranze dei loro padri e delle loro madri, avranno un mondo infinito da abitare: dove ogni lacrima sarà asciugata e neppure una carezza verrà sprecata.

 Il Natale è più che un sogno, è la carne di Dio che riveste di amore la nostra fragile carne, di Dio eterno che rivela l’amore del nostro presente.

 Nel Natale di Gesù, il mistero di Dio assume una forma che chiunque può riconoscere (“chiunque”, capisci?), diventa un volto che si può decifrare, un Tu con il quale si può prendere confidenza, una carezza e uno sguardo dal quale ci si può sentire infinitamente amati. Il Natale di Dio non contiene tutte le risposte, ma ci dona il suo amore che è la risposta a tutto. Da quando Dio è uno dei nostri bambini, nessuno osi mortificare il più piccolo dei nostri figli. Dio è nel suo volto. Il Vangelo narra la nascita di Gesù e rivela la causa per cui Maria è costretta a partorire in una mangiatoia: «non c’era posto per loro nell’alloggio» (Lc 2,7). Questo non smette di stupirci, commuoverci, interrogarci. È proprio quello che accade in tante situazioni di fragilità di donne, uomini, piccoli, famiglie del nostro tempo. Ne condivido tre.

 Penso anzitutto alla fragilità della pace. Viviamo il primo Natale di guerra in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ci coinvolge tutti e capiamo quella «guerra a pezzi» di cui da tempo parlava papa Francesco. Poco ascoltato. Guerra significa dolore, morte, devastazione del territorio, fuga di chi cerca riparo lontano da casa. La guerra è il punto di deflagrazione: ma la pace manca pure dove i diritti vengono calpestati e dove chi li cerca o li difende cercando una società più giusta e libera viene condannato a morte.

Penso alla fragilità dell’educazione. La povertà economica risucchia nel suo vortice una fetta sempre più ampia della popolazione.

Ma c’è anche la povertà meno evidente ma ugualmente grave della scuola che a fatica sta riprendendosi dopo i mesi terribili della pandemia. Scuola significa socializzazione, ascensore sociale, consapevolezza di sé, dignità. Ai giovani dobbiamo garantire il merito che è possibile per ciascuno, la cultura per capire il mondo, l’umanesimo per non diventare bruti, le competenze intellettuali, la crescita nella capacità di relazionarsi, i mezzi stabili per costruire insieme un mondo migliore. Quanti giovani si sentono e sono spesso soli, incerti, sempre precari? Questo è il tempo di genitori, di insegnanti, di educatori e di pastori maturi, che sappiano essere veri maestri di vita e aiutino a credere al futuro.

 Infine, penso anche alla fragilità dell’evangelizzazione. Il Cammino sinodale, giunto al suo secondo anno, rivela certo anche tante fatiche, debolezze, a volte il desiderio nostalgico di tornare a come eravamo prima del Covid, l’incertezza di risposte non più sufficienti. Il cammino sinodale ha significato anche l’occasione perché il Vangelo parli di nuovo a tutti i nostri compagni di strada e ispiri la scelta di costruire comunità umane, case che siano la famiglia di Dio, Chiese domestiche, di comunione e di servizio ai poveri. Era proprio questo il programma del Concilio Vaticano II.

 Certo, sentiamo tante fatiche e stanchezze, ma è questa la stagione in cui la Chiesa sia davvero missionaria e generi l’incontro tra Dio e ogni uomo e donna. Guardiamo Gesù Bambino nella mangiatoia, Maria e Giuseppe accanto a lui. E risuonano le parole di san Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Ecco il Natale, la pace che disarma i cuori, l’amore che dona forza e intelligenza la speranza che libera dalla rassegnazione e mette in cammino. Partiamo proprio dalle fragilità per riconoscerci umili, deboli, ma capaci di grandi cose perché pieni del Dio che si pensa per sempre con noi.

 *Matteo Zuppi è cardinale, arcivescovo di Bologna presidente della Cei

venerdì 19 agosto 2022

MARIO RESTIVO. IL SANTO DELLA TENDA ACCANTO

In questi giorni si svolge a Castelbuono un incontro di riflessione sulla vita di Mario Restivo. Vi partecipano vari capi scout e giovani. Nella tavola rotonda di ieri sera si sono avute varie testimonianze di persone che lo hanno conosciuto e che hanno condiviso con lui varie attività scout.

Quaranta anni fa è tornato alla Casa del Padre il servo di Dio, Mario Giuseppe Restivo, giovane scout diciannovenne che ha lasciato una significativa traccia di santità. Dopo quaranta anni egli continua ad essere un prezioso punto di riferimento per i giovani e gli educatori di oggi.

Tra i vari e molteplici problemi educativi di oggi, emerge la necessità di fornire ai ragazzi e ai giovani degli esempi “concreti” di coetanei che hanno vissuto e vivono percorsi di crescita volti alla costruzione del bene comune e alla conquista di quei valori che esaltano la dignità della persona.

Purtroppo, oggi, siamo oppressi da messaggi e messaggini, immagini, “cinguettii”  e brevi frasi frutto di fugaci emozioni e sovente autoreferenti e propagatori più di pettegolezzo che di valori. Sono come fuochi fatui che appaiono e scompaiono in pochi istanti. Per molti l'importante è fare rumore, apparire per ricevere likes, mettersi in mostra con ogni mezzo, esporsi come merce in cerca di guardoni e acquirenti ...

Mario, con il suo breve ma intenso cammino di vita, ci stimola a privilegiare quel che conta, evitando ogni spasmodica ricerca dell’appariscente, dello spettacolare e del "pirotecnico”. E' un invito al cammino, passo dopo passo, con impegno e con viva speranza, verso una meta elevata: l'incontro con Dio, il Santo dei santi.

Papa Benedetto, nel corso della sua visita in Sicilia, lo ha citato come esempio per i giovani. La Conferenza Episcopale a lo ha inserito nella raccolta "I Santi della posta accanto".

E' in corso la causa di beatificazione

 La vitaMario Restivo nacque a Palermo il 24 Gennaio 1963.

Sin da piccolo manifestò vivacità, sensibilità ed impegno tanto da essere benvoluto e stimato da tutti. La sua maturazione fu precoce. A 9 anni compose la sua prima poesia, seguita da altri componimenti. Nel 1974 fu data alle stampe la prima raccolta di poesie che fu intitolata "La mia aurora". A questa fece seguito un'altra raccolta, pubblicata con il titolo "In cammino" e un’altra (postuma) dal titolo “La stagione dell’incontro”.

 A 15 anni scelse come modello di vita la figura di S. Francesco impegnandosi ad incarnarne lo spirito di povertà. Lo scautismo cattolico fu il suo più forte ideale nel quale poter esprimere la sua passione giovanile, la sua fede, il suo spirito di servizio, la gioia di vivere con gli altri e per gli altri.

Le sue opere poetiche e i suoi scritti, il suo cammino terreno evidenziano il suo impegno per fare del proprio meglio per vivere secondo la Legge scout alla luce degli insegnamenti del Vangelo. Egli seppe vivere intensamente la propria esistenza di ragazzo tra i ragazzi, di giovane tra i giovani e, come giovanissimo educatore, ebbe un’alta tensione educativa.

In Mario fu costante l’ardente desiderio di “andare oltre verso l’infinito” per spaziare in Dio, per conquistare la vera felicità: “La vera felicità si conquista nell’amore per Dio e per gli altri. E’ fede in Dio, nella vita. E’ solidarietà gioiosa. Tutto il resto è apparenza e vanità”.

 Morì il 19 Agosto 1982 nei pressi di Chambéry , in seguito ad un incidente automobilistico, mentre con altri scout si recava a Taizé.

 Uno dei suoi ultimi scritti (Mario aveva maturato sin la piccolo l’abitudine di prendere appunti, scrivere riflessioni ed esperienze, comporre brevi liriche. Il suo Quaderno di caccia testimonia il suo cammino):

 

Non avete saputo vegliare con Me neppure un’ora”

“E’ pensando a queste parole che mi sono alzato prima del solito stamattina per venire qua davanti a Te, Signore. Sai, non ero abituato a sentirTi una presenza, ma ora, in quest’alba di uno splendido mattino che ancora una volta ci dai, Tu ci sei: sento il tuo battito in me, ma anche fuori di me. In me, poiché la mia disponibilità dell’essere qui stamattina, come dell’aver partecipato a questo campo, vive del tuo amore verso di me; fuori di me perché tutto qui attorno è buono, poiché proviene dalla Tua onnipotenza: il cielo, il bosco, gli uccellini, l’erbetta, le foglie secche, reliquia di un autunno ormai lontano, il freddo, il silenzio, l’orizzonte.

Signore, dammi sempre un inizio, dammi soprattutto la morte che lo precede, aiutami ad educare al vero amore le persone che mi stanno attorno. Dio, guidami sulla strada del ritorno, affinché la mia casa divenga la Tua casa, la mia vita diventi la Tua vita.

Signore, dammi  il coraggio, la comprensione e l’umiltà alla maniera del tuo Figlio. Ti prego per le persone smarrite, per chi non sa ancora da che parte andare, eppure ci va.  Dammi la spontaneità e la fantasia perché sia un ragazzo tra i ragazzi. Ti prego perché non muoia in me la speranza.

E, quando sono solo, Signore, quando a sera busso alla porta di qualcuno e nessuno mi dà risposta, ricordaTi di me e rendimi capace di sorridere. Fa’ che possa sempre darmi agli altri in umiltà e completa condivisione. Nel mio cuore, Signore, troverò il posto per le mille vite dell’universo.

E, ora, Signore, lascia che il Tuo servo vada in pace secondo la tua parola, fa’ che il tuo servo abbia il coraggio di uccidere le sue maschere. Amen.

 

martedì 12 luglio 2022

OCCHI GRANDI PER UNA NUOVA EUROPA

 In un messaggio ai partecipanti alla EU Youth Conference, Conferenza dei giovani dell'UE, che si apre oggi a Praga, Francesco li esorta ad essere generativi nelle idee e nell’amore, a scrutare nell’altro le sue ricchezze, a guardare alla Verità. Nel cuore del Papa anche la “guerra assurda” che si combatte in Ucraina. "Come al solito, pochi potenti -scrive - decidono e mandano migliaia di giovani a combattere e morire. In casi come questo è legittimo ribellarsi!"

 

-        -  di Benedetta Capelli -

E’ pieno di fiducia e speranza il messaggio che Papa Francesco rivolge ai tanti giovani riuniti da oggi fino al 13 luglio a Praga per la EU Youth Conference, l’iniziativa promossa dalla presidenza ceca dell'Unione Europea che intende mettere in contatto i ragazzi con chi è chiamato a decidere e promuovere allo stesso tempo un impegno comune per un'Europa sostenibile e inclusiva.

L’invito del Papa è chiaro: trasformare il “vecchio continente” in un “nuovo continente”. Un passaggio non semplice ma i ragazzi, scrive Francesco, hanno “buone carte da giocare”.

Siete giovani attenti, meno ideologizzati, abituati a studiare in altri Paesi europei, aperti a esperienze di volontariato, sensibili ai temi dell’ambiente. Per questo sento che c’è speranza.

Fate sentire la vostra voce

Capaci di dare un volto nuovo all’Europa ma anche capaci di guardare oltre. Il Papa si sofferma sull’etimologia ancora poco chiara della parola “Europa” e rilancia l’espressione suggestiva di “eurús op”, cioè “occhio grande”, “ampio sguardo”. Guardando al Patto Educativo Globale, iniziativa lanciata nel 2019, per un’alleanza tra educatori e nuove generazioni, Francesco invita a far sentire la propria voce.

Se non vi ascoltano, gridate ancora più forte, fate rumore, avete tutto il diritto di dire la vostra su ciò che riguarda il vostro futuro. Vi incoraggio ad essere intraprendenti, creativi e critici.

L’altro, una ricchezza

Da qui il Papa disegna un cammino che ha come prima tappa quella di “aprirsi all’accoglienza”, all’inclusione perché l’altro è sempre una ricchezza.

Fa bene avere “occhi grandi” per aprirsi agli altri. Nessuna discriminazione contro nessuno, per nessuna ragione. Essere solidali con tutti, non solo con chi mi assomiglia, o mostra un’immagine di successo, ma con coloro che soffrono, qualunque sia la nazionalità e la condizione sociale.

La vostra ambizione, sottolinea Francesco, non sia di “entrare negli ambienti formativi d’élite” ma in esperienze che educhino alla crescita della persona, al bene comune. “Saranno – scrive - queste esperienze solidali che cambieranno il mondo, non quelle esclusive (ed escludenti) delle scuole d’élite. Eccellenza sì, ma per tutti, non solo per qualcuno”. Poi l’invito a leggere la Fratelli tutti, per crescere “in fraternità”, e il

Concreti nella difesa della Casa comune

L’altra proposta del Papa riguarda la cura per la casa comune ma in tal senso elogia la concretezza dei giovani, “per questo – scrive - dico che questa volta può essere la volta buona”. Francesco ricorda la necessità di “ridurre il consumo non solo di carburanti fossili ma anche di tante cose superflue” e “in certe aree del mondo, è opportuno consumare meno carne”. Invita pertanto a leggere la Laudato si’ per impegnarsi a favore di un’ecologia integrale.

Non lasciatevi sedurre dalle sirene che propongono una vita di lusso riservata a una piccola fetta del mondo: possiate avere “occhi grandi” per vedere tutto il resto dell’umanità, che non si riduce alla piccola Europa; aspirare a una vita dignitosa e sobria, senza il lusso e lo spreco, perché tutti possano abitare il mondo con dignità.

Ucraina, la guerra assurda

Parlando di Europa, il Papa fa riferimento all’Ucraina dove “si combatte una guerra assurda”, rilancia il concetto di fraternità sottolineando che l’Europa unita è sorta da un forte anelito di pace. “Se il mondo fosse governato dai giovani, – si legge nel messaggio - non ci sarebbero tante guerre: coloro che hanno tutta la vita davanti non la vogliono spezzare e buttare via ma la vogliono vivere in pienezza”.

 Ora dobbiamo impegnarci tutti a mettere fine a questo scempio della guerra, dove, come al solito, pochi potenti decidono e mandano migliaia di giovani a combattere e morire. In casi come questo è legittimo ribellarsi!

Porta poi gli esempi di due giovani “dagli occhi grandi”: Franz Jägerstätter, che Benedetto XVI ha proclamato beato, era un giovane contadino austriaco che, a motivo della sua fede cattolica, fece obiezione di coscienza di fronte all’ingiunzione di giurare fedeltà a Hitler e di andare in guerra. Morì per questo. Stessa sorte toccata a Dietrich Bonhoeffer, giovane teologo luterano tedesco, antinazista.

Cercare la Verità

Infine, Francesco ricorda che “dopo la conoscenza di sé stessi, degli altri e del creato, finalmente la conoscenza del principio e del fine di tutto”, esorta a ricercare il senso della vita, guardando in alta, all’origine e alla fine, “perché non si vive se non si cerca la Verità”. Da qui l’invito a camminare “con i piedi ben piantati sulla terra, ma con sguardo ampio, aperto all’orizzonte, al cielo”, grazie anche alla lettura della Christus vivit e dopo averli invitati alla prossima Gmg di Lisbona.

E voglio concludere con un augurio: che siate giovani generativi, capaci di generare nuove idee, nuove visioni del mondo, dell'economia, della politica, della convivenza sociale; ma non solo nuove idee, soprattutto nuove strade, da percorrere insieme. E che possiate essere generosi anche nel generare nuove vite, sempre e solo per amore! Amore al vostro sposo e alla vostra sposa, amore alla famiglia, amore ai vostri figli, e anche amore all’Europa, perché sia per tutti terra di pace, di libertà e di dignità.

 Vatican News

MESSAGGIO DEL PAPA AI GIOVANI



 

 

martedì 5 luglio 2022

UNA BELLA E BUONA VITA

 

UNA PERENNE SFIDA PER CIASCUNO E PER TUTTI.

-Qualche semplice riflessione-

 -  di Giovanni Perrone 

 Tutti cerchiamo con affanno la buona vita. Talora incolpiamo il buon Dio e gli altri per ogni difficoltà o stortura che incontriamo. Facilmente dimentichiamo che la buona vita non cade dal cielo come la manna, ma che è costruita giorno per giorno mediante le nostre scelte e il nostro intelligente, competente e generoso impegno.

Le relazioni con gli altri, e con noi stessi, talora sono ingarbugliate e possono provocare danni alle persone e alle stesse istituzioni. Perciò, è opportuno non avere malintesi, gelosie, invidie, astio, rancori, risentimenti, insofferenze, pregiudizi, malumori, odio .... verso alcuno. Sono tarme che rodono il cervello, miasmi che imputridiscono l'aria e affannano il respiro e il cammino, sporcizie che imbrattano gli occhiali e offuscano la visione e la mente, nebbie  che disorientano il giudizio e l'agire, distruggono le relazioni, provocano malessere e favoriscono la cattiva salute individuale e collettiva .....

Sono pesanti zavorre che non fanno volare in alto, miopie che ostacolano il veder bene e lontano, scelte che disorientano e fanno vagare di qua e di là, trasportati dalle turbolenze del tempo, alla spasmodica e alienante ricerca del vuoto o della “vera verità”.

Per vedere, pensare, comprendere e vivere bene occorre curare la pulizia degli occhiali (o cambiarli), tenere sgombra la mente da rovi e acquitrini, saper comprendere ed accogliere il bene che ci viene donato e che sta attorno a noi; preferire la benevolenza alla maldicenza, il ben pensare al mal pensare, È necessario aiutarci l’un l’altro a resistere ad ogni intemperia della vita e a superare ogni difficoltà; scegliere l'onestà e non l’inganno, il dialogo e non la diffidenza....

È bene apprendere, sin da piccoli, a sorridere lealmente al Creatore, agli altri e a noi stessi, ad ogni nuovo giorno che ci viene donato; maturare il sentimento della gratitudine e dell'essenzialità; imparare a costruire piuttosto che a distruggere: preferire l'accoglienza al respingimento, il confronto e la cooperazione alla conquista e alla colonizzazione. Vita buona, infatti, vuol dire essere portatori di gioia e di pace, in se stessi e negli altri; farsi dono per donare serenità e felicità a tutti coloro che si incontrano nel cammino della vita, lasciare una luminosa traccia di pace lungo il proprio cammino, sanando le eventuali ferite che eventualmente possono avverarsi.

È un’utopia?  No! È la perenne sfida della saggia e buona vita, per ciascuno e per tutti. Per costruire, insieme, una migliore società.

 

 Giovanni Perrone

 

mercoledì 25 maggio 2022

UNA STRADA CHE VIVE

Cristo 

è la strada 

che vive

-di padre Giacomo Grasso o.p.


“Il cristiano è uno che fa strada. La fa, questa strada, sicuro. Infatti, la sua strada è Gesù stesso. Leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni: ”Io sono la Strada, la Verità, la Vita.”(Gv 14,6).

“Io sono la strada.” Gesù è la nostra strada, non nel senso di colui che ci indica la strada. Se fosse così, Gesù sarebbe per noi una guida sicura, certo, ma solo una guida. Quando in montagna ci affidiamo a una guida, siamo più certi di arrivare alla meta.

Ma la fatica è ancora quasi tutta nostra. 

Diminuiscono le preoccupazioni, le incertezze, diminuisce anche la fatica perché la guida ci conduce nei sentieri più adatti, secondo il percorso meno faticoso. Ma la strada dobbiamo farcela ancora tutta noi. Possiamo ancora diminuire le incertezze e le fatiche prendendo con noi, oltre la guida alpina, un portatore. Sarà lui a trasportare le parti più pesanti della nostra attrezzatura. Ma il portatore non ci porta sulle sue spalle.

Quella strada che è Cristo, invece, è la strada che porta con sé. 

Il suo significato evangelico è chiaro. Gesù non è tanto un maestro di vita: è la Vita; non è tanto un insegnante di verità: è la Verità; non è uno che si limita a indicare la strada: è la Strada, nel senso più pieno di colui che porta.” 

(Sulle strade, una spiritualità per chi cammina)

LA STRADA DELLA FELICITA'


 LA FELICITA' ? 

  QUESTIONE 

DI STILE !


Enzo Bianchi nel suo scritto “Le vie della felicità” evidenzia che noi tutti, come cristiani ma ancor prima come donne e uomini, dobbiamo avere come obiettivo di tendere alla felicità, desiderare di vivere una vita felice nonostante tutto, avere la forza ma anche la costanza di praticare quella che Bianchi definisce come la ricerca del senso.

Nella prefazione del saggio di Bianchi si legge: “solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita, cioè morire, essi trovano anche una ragione per spendere quotidianamente la vita e, di conseguenza, sono felici. Ebbene, le beatitudini aiutano a scoprire questa ragione e così consentono di dare un senso alla vita, anzi conducono al senso del senso”.

Le beatitudini

L’intera esperienza umana di Gesù non è altro che la testimonianza di come è possibile agire nella logica espressa nel Vangelo delle beatitudini.

Gesù mostra all’uomo uno stile di vita, dove la parola “stile” tanto cara a molti, sempre più distante dal linguaggio e dalla comprensione di tanti nostri ragazzi (ed anche adulti), consiste nell’orientare la propria vita ai valori che esaltano la dignità umana e si concretizza in comportamenti ed atteggiamenti coerenti con questa scelta.

In questo tempo particolare, caratterizzato da eventi tragici e difficilmente comprensibili, trovo provocatoria la terza beatitudine citata nel Vangelo di Matteo: Beati i miti perché erediteranno la terra.

La mitezza

La mitezza è lo stile con il quale Gesù dialoga con l’altro, soprattutto nei momenti difficili.

Grazie all’agire con mitezza è possibile gestire la relazione ed il confronto mantenendosi in un contesto di pace … laddove la pace non è un concetto contrapposto alla guerra, ma uno stile del quotidiano che dice il mio modo di relazionarmi con l’altro.

Saper gestire in modo pacifico le relazioni, essere creatori di pace.

Il mite non è una persona remissiva o rassegnata, la più silenziosa delle altre perché non ha niente da dire, non è l’elemento passivo, debole di carattere o “sfigato”, ma è colui che incarna la virtù dei forti che frère Roger Schutz definiva la “violenza dei pacifici”.

Da maestro dei novizi mi sono interrogato spesso rispetto allo stile del relazionarsi con l’altro osservando le novizie ed i novizi che mi sono stati affidati.

In questo periodo, caratterizzato da pandemia e ultimamente da eventi bellici, ancor di più.

Mi sono chiesto come si pongono nelle relazioni tra di loro, nelle relazioni amicali, in quelle famigliari …. con quale obiettivo, con quale disponibilità all’accoglienza e all’ascolto, con quale stile.

Mi sono anche chiesto come si pongono nelle relazioni che caratterizzano il grande mondo dei social …. con quale autenticità, con quanta responsabilità, ponendosi o meno in modo coerente.

Spazi di felicità

Mi sono chiesto quanto nelle nostre realtà associative si vivano situazioni di serenità e di felicità e quanto ci si adoperi perché ogni realtà ed ogni evento sia spazio vero di impegno e di felicità.

Credo nella forza della comunità capace di incarnare esperienze di pace; credo nella fatica del cammino che insegna la pazienza dell’attendere … attendere di arrivare con fatica da qualche parte, ma anche attendere che la verità si riveli.

In un tempo che evidentemente non è tempo di pace, che spesso e per molti non è nemmeno tempo di felicità, credo che il nostro agire educativo (e associativo) debba essere orientato con determinazione a ciò che è veramente “essenziale”.

Riconoscendo nel desiderio di vivere in modo felice, gioioso, il vero obiettivo della nostra vita, ed il vero orizzonte educativo verso il quale siamo chiamati a servire come educatori, ritrovo nell’atteggiamento del mite il giusto modo di porsi di fronte alle diverse occasioni che la vita e la terra ci propongono.

Educare alla mitezza significa aiutare tutti coloro coi quali percorriamo i sentieri della vita (specialmente coloro che sono a noi affidati) ad essere persone responsabili e  “forti”, orientate alla felicità durevole ed in grado, come dice il testo evangelico, di ereditare la terra che è la terra dei viventi, che detto in altro modo corrisponde alla possibilità di vivere il tempo che ci è dato come persone felici.

La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, non solo di grandi cose.

Succedono ogni giorno, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile che l’anima respira e grazie alla quale vive. (Banana Yoshimoto da “Un viaggio chiamato vita”).

  Da Diego Zanotti in Rs-Servire

giovedì 17 marzo 2022

INSIEME E' MEGLIO

LA RIVINCITA DEL FARE INSIEME

 

In un contesto in grande evoluzione gli schemi individualisti del passato creano incertezze incolmabili. Quest’epoca ci chiede di tornare a camminare includendo

 

-         di GABRIELE GABRIELLI

-          

Il tempo che viviamo ha diverse sfaccettature, dipende dalle prospettive e dalle sensibilità con le quali lo si guarda. Ce n’è una, forse, più prepotente delle altre: è quella che guarda al tempo come dimensione nella quale tutto ci sfugge di mano, non riuscendo a star dietro alla velocità dei cambiamenti che ci propone. Ogni cosa ci appare fragile e al tempo stesso sproporzionata rispetto alle nostre capacità. Tutta la società così diventa accelerata, popolata da donne e uomini che corrono, si incrociano senza toccarsi, procedono con lo sguardo rivolto a terra. È il tempo in cui le relazioni diventano altro: si digitalizzano, perdono sostanza preferendo una leggerezza senza responsabilità. Un contesto nel quale la solitudine irrompe, senza fare distinzioni, nella vita rumorosa dei più giovani e in quella silenziosa e ritirata degli anziani.

Nel cuore delle persone, allora, pulsano con forza domande come queste: dove sto correndo? Che senso ha questo vivere affaticato e triste? Come stanno i miei figli e cosa pensano? Sono felici? E gli altri dove sono finiti? Quando li ho persi di vista? Tutto prende il colore dell’incertezza con le sue variegate tonalità: paura, ansia, solitudine, pessimismo, apatia, immobilismo, chiusura, depressione. Nel lavoro poi il senso di incertezza causato da fattori come riorganizzazioni repentine, modelli di leadership che tengono costantemente sotto pressione le persone, ruoli che frantumano i contenuti del lavoro rendendoli elementi da ricomporre flessibilmente, diventa fonte di disadattamento. Le implicazioni sulla salute sono numerose.

L’incertezza è categoria complessa e multidimensionale. Quando la viviamo percepiamo un senso di sbandamento perché tutto si muove, si alimenta un senso di instabilità che crea quel profondo disagio che si prova quando tutto sembra fuori controllo e dalla nostra portata. Ci strattona violentemente inducendo a pensare che non possiamo fare niente. Però, come dimensione dell’umano, l’incertezza è anche straordinaria occasione generativa di consapevolezza e crescita individuale e collettiva.

Da questa prospettiva essa apre alla ricerca, sollecita l’immaginazione di opzioni, esplora nuove possibilità. Mettersi in spalla il suo zaino per attraversarla e farne esperienza può essere vitale. Riacquistare fiducia in sé stessi e negli altri, rimettendo al centro il senso della vita come scoperta e ragione del nostro esistere, può rappresentare l’agenda di un rinnovato impegno di ricerca personale, comunitario, sociale. Decidere con consapevolezza gli attrezzi che vogliamo mettere nello zaino può essere metafora utile per riflettere sull’incertezza come tratto significativo di questo tempo.

Possiamo farci guidare da tre criteri che individuano altrettanti livelli di analisi: l’individuo, gli altri, la società con le sue istituzioni. Questi quasi due anni di socialità intermittente hanno generato in molti casi il potenziamento di un dialogo interiore che frettolosamente avevamo messo a tacere. Abbiamo rispolverato il perché della nostra vita e il senso della nostra presenza. La sponda del dialogo interiore ha consentito a molti di mettersi in sicurezza e di sollevare lo sguardo, alzandolo dalla ristretta vista

dei propri passi per allargarlo e per condividere le orme degli altri. Ascoltarsi in profondità costituisce un’àncora di salvezza, non c’è appiglio più necessario e sicuro del dialogo con sé stessi per ritrovare le coordinate della vita.

Il cammino per attraversare l’incertezza e farne esperienza, però, ha bisogno anche di altre risorse perché non viaggiamo da soli, siamo in compagnia. Nello zaino che portiamo sulle spalle ci sono gli altri, il cammino si fa insieme. Questa è la seconda sponda a cui aggrapparci. Qui l’immagine è ben diversa da quella da cui siamo partiti. Camminare insieme significa volgere lo sguardo verso una direzione comune; vuol dire aiutarsi reciprocamente in una sorta di grande laboratorio di ascolto orizzontale. Occorre un’altra sponda per completare il piano del viaggio perché sia sicuro. Il cammino, infatti, deve essere inclusivo perché sono in tanti a compierlo. Occorre sviluppare quel senso di un destino comune che unisce con legami invisibili tutti gli esseri. È questa interdipendenza concreta fra tutti gli esseri umani che sarà capace di svelarci nuove possibilità per affrontare i rischi e le incertezze di quest’epoca.

 

www.avvenire.it

 

giovedì 10 marzo 2022

ADOLESCENTI, COVID e GUERRA

InAdatti: Covid e adolescenti

 Scholas Occurrentes ha voluto parlare di giovani nell’anniversario del lockdown mentre la guerra è entrata nelle case di tutti.

Dai rappresentanti delle istituzioni presenti sono arrivati sostegno e apprezzamento per l’iniziativa: “Il lavoro che stiamo facendo insieme a Scholas attraverso il nostro protocollo sta andando nella giusta direzione, soprattutto in questo momento difficile. Oggi più che mai abbiamo bisogno di solidarietà, vicinanza, condivisione e sostegno, soprattutto per chi è in difficoltà. Credo che il lavoro di istituzioni come Scholas aiuti a guarire le ferite, soprattutto evidenziando il lavoro congiunto con la comunità” ha affermato il ministro della salute Roberto Speranza.


E di un lavoro istituzionale a favore della salute emotiva dei giovani parla il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: “Credo che il lavoro che stiamo facendo insieme a Scholas sia fondamentale perché è un lavoro che parte dalle persone e, soprattutto, parte dalle difficoltà e dal disagio delle persone e per questo dobbiamo lavorare per ricostruire un senso di comunità.". Di comunità ha anche parlato Elena Bonetti, ministra alle Pari Opportunità e Famiglia: “Noi italiani ci siamo mostrati rispettosi per le regole. Code perfettamente silenziose e distanziate fuori dai supermercati, senza la minima protesta. È scattato quel senso di comunità e le famiglie sono state la rete di tutto questo”.

Di comunità e famiglia, questa volta digitali, nella tavola rotonda moderata da Milly Tucci (Ambassador dell’evento per volontariato) parla Costanza Andreini (Public Policy Manager Meta): “Unire comunità ci unisce alla Fondazione Scholas Occurrentes, noi lo facciamo dal lato digitale - dice - il mio è un invito a riflettere sul fatto che usare i social non significa saperli usare. Meta, infatti, investe nella creazione di consapevolezza e cultura perché i ragazzi vanno accompagnati nell’avventura digitale, non solo per proteggerli ma anche per fornire loro le chiavi di lettura dell’online. Take a break, per esempio è un promemoria che invita a non passare troppo tempo sui social, uno strumento ed un invito alla consapevolezza”.

 La riflessione su giovani e digitale continua con Martina Colasante (Government Affairs & Public PolicyManager Google) che emozionata ricorda il contributo determinante del motore di ricerca nella didattica a distanza, che ha permesso ai giovani di continuare a studiare. “Oggi i più piccoli devono confrontarsi con immagini violente in cui ci sono volti e storie di bambini – precisa – noi responsabilmente, come abbiamo fatto durante la pandemia, cercheremo di contrastare la disinformazione con una strategia che pone in evidenza le fonti autorevoli, quali sono le istituzioni”. La formazione è importante anche per Google che ha creato percorsi per ragazzi, docenti, genitori e nonni allo scopo di aiutarli a sviluppare lo spirito critico: “Mettiamo in grado le persone di saper riconoscere le fonti giuste - conclude Martina Colasante –. Abbiamo anche inventato una sorta di vademecum, distribuito nelle scuole, che aiuta a muovere i primi passi in un mondo in cui l'informazione diventa sempre più complessa”.

 Giacomo Lev Mannheimer di Tik Tok dice che la caratteristica della sua piattaforma è la contaminazione, niente like o follower, e riporta del caso #Bookstock, hashtag che ha prodotto 25 miliardi di visualizzazioni ed ha addirittura attratto l'interesse delle case editrici di libri.

 Derrick de Kerckhove, sociologo esperto del mondo digitale e direttore scientifico di TuttiMedia/MediaDuemila partner dell’evento, parla di tempi interessanti ma difficili da gestire: “Che tu possa vivere in tempi interessanti. Questa antica maledizione cinese trova la sua piena realizzazione nell’oggi, nel terrorismo con la caduta delle torri gemelle a New York City, nella pandemia senza fine con il covid-19 ed ora anche nella minaccia di una guerra nucleare, con allo sfondo una catastrofe ambientale dovuta al cambiamento climatico. È interessante notare che una giovane adolescente, Greta Thunberg, a soli 15 anni è stata capace di accelerare la presa di coscienza globale. L'insicurezza è una delle condizioni più comuni nei giovani, in particolare nelle prime fasi della crescita. In questo contesto particolarmente simbolico puntiamo a soluzioni per capire come evitare o curare i traumi emotivi nelle diverse fasi della crescita, in una società globale”.

 Per Carlo Rodomonti, (marketing strategico e digital Rai Cinema) il disagio giovanile può essere aiutato anche con le produzioni di Rai Cinema che lo raccontano. Gli hikikomori , giovani rinchiusi in se stessi, sono protagonisti di un cortometraggio Rai : “Dare spazio ai racconti di storie complesse - afferma - permette di approfondire le tematiche più nascoste e più complesse della vita”.

 Di televisione occupata dai giovanissimi parla Marco Lanzarone (Rai Kids): “I giovanissimi, parlo dei bimbi fino a 6 anni dopo il 2020 hanno preso possesso del nostro programma attraverso i messaggi che mandavano ai loro cari. Con il Covid abbiamo capito di doverli ascoltare.”

 L’obiettivo della mattinata è stato raggiunto con Alessandra Graziosi (Fondazione Scholas Occurrentes Italia) che ha coinvolto relatori e spettatori in un tempo dedicato allo sguardo e allo stupore abbiamo condiviso le parole di dice Josè Maria Del Corral, direttore mondiale di Scholas Occurrentes direttore mondiale di Scholas Occurrentes: "I giovani sono diventati i nuovi veterani di guerra. Perché hanno appena combattuto una pandemia e adesso si trovano ad affrontare una nuova minaccia. Ecco perché in questo anniversario speciale vogliamo far capire le ricadute di questi avvenimenti sulla sfera emotiva dei giovani. Fino ad ora nessuno ha associato la pandemia e la guerra”.

L'iniziativa è stata organizzata grazie al sostegno e alla collaborazione con Osservatorio TuttiMedia.

Per vedere altra volta la diretta:

https://www.youtube.com/watch?v=6gttJabHYcU

Per maggiori informazioni:

redazione@mediaduemila.com

virginia.priano@scholasoccurrentes.org

giovedì 3 marzo 2022

IL DISAGIO DEGLI ADOLESCENTI


 Gli adolescenti 

e la domanda «nascosta»

 di significato


- «Ciò che caratterizza l’essere umano è l’essere un costruttore di senso, senza il quale egli si smarrisce».

L’affermazione dello scrittore e drammaturgo tedesco Johann Wolfgang Goethe aiuta a riflettere sulle cifre dei suicidi che, secondo l’Istituto nazionale di statistica (Ine), stanno raggiungendo livelli drammatici: 3.941 nel 2020, di cui 1.479 riguardanti giovani e adolescenti per i quali il suicidio è la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali. Non passa giorno che la cronaca non riferisca di persone che si tolgono la vita per motivi assolutamente spropositati al gesto che compiono e per giunta nei modi più assurdi. I suicidi che avvengono nelle carceri sono quelli di cui più si parla: 12 nei primi due mesi di quest’anno. Meno si sa dell’incremento di giovanissimi che si rivolgono al “Telefono amico” e all’associazione “Samaritans onlus” per raccontare difficoltà quotidiane, problemi legati alla famiglia, al bullismo, alle sfide estreme su TikTok. Fa riflettere un dato che emerge dall’ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove le attività di consulenza nei riguardi degli adolescenti psichicamente disagiati sono passate dal 36% di prima della pandemia al 63% nel 2021. Al tempo del Covid il disagio adolescenziale viene generalmente attribuito all’impatto che il virus lascia sulla salute anche mentale, come riferisce una recente ricerca dell’Università Cattolica e della Fondazione

Soleterre. Ma da un rapido esame al tempo antecedente l’epidemia emerge che la familiarità con i gesti estremi dipende fondamentalmente dalla perdita del senso della vita. Non si capisce la morte se non si capisce la vita e non si ha il senso della morte, se non si ha il senso della vita. Al Forum di Incontri Interdisciplinari, organizzato dalla Fondazione Paolo VI, svolto il 9 febbraio scorso a Madrid, il presidente della Società di psichiatria di Madrid, José Luis Carrasco, ha attribuito la matrice dei tentativi di suicidio, cresciuti di dieci volte negli ultimi due anni, alla «paura che si impadronisce soprattutto dei giovanissimi in una società intrappolata dall’incertezza». L’attuale disagio esistenziale deriverebbe, secondo Carrasco, dall’intreccio tra gli effetti prodotti dalla pandemia sulla vita sociale, in particolare sulla vita relazionale, e il nichilismo presente nella cultura contemporanea, che relega al rango d’illusione la ricerca di una finalità da dare alla vita. Alla radice del suicidio non ci sarebbe solo l’epidemia o una delusione, ma la carenza di valori e l’assenza di maestri di vita autorevoli e significativi. Un segnale viene dal numero dei gesti autolesionistici compiuti da adolescenti, maggiori per chi vive in ambienti degradati rispetto ai coetanei appartenenti a solide famiglie cristiane. Chi è educato a guardare alla vita come a un dono di Dio vede le cose in altro modo, sente di essere servitore, non padrone, della propria e dell’altrui esistenza. Non casualmente Gesù, volendo riassumere la sostanza del suo insegnamento, dice: «Sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». In particolare, riflettendo sugli adolescenti che in un momento di disperazione, o di vuoto psicologico, si tolgono la vita, non si può escludere che nel loro gesto si nasconda una domanda di significato, una ricerca di fede nel Dio della vita, che la società non riesce a soddisfare. In tal senso l’impianto educativo va ripensato. Grande è la responsabilità degli adulti nell’abilitare gli adolescenti a diventare costruttori del loro futuro e nel trasmettere loro l’idea che il successo non dipende da traguardi prestigiosi da raggiungere, ma dall’essere se stessi con i propri talenti e i propri limiti. Ancor più delicato il compito degli educatori cristiani nell’aiutare gli adolescenti ad accogliere, dentro la loro progettualità, l’appello di Dio, nella convinzione che attraverso le vie della fede possono formulare un giudizio sulla coerenza della propria esistenza. È un punto essenziale dell’evangelizzazione, difficile da comprendere perché non si tratta della continuazione del catechismo dei bambini, ma di qualcosa da inventare e da percorrere!


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