sabato 19 gennaio 2019

SETTIMANA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI

Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.

Papa Francesco: Oggi ha inizio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nella quale siamo tutti invitati a invocare da Dio questo grande dono. L’unità dei cristiani è frutto della grazia di Dio e noi dobbiamo disporci ad accoglierla con cuore generoso e disponibile. Questa sera sono particolarmente lieto di pregare insieme ai rappresentanti delle altre Chiese presenti a Roma, ai quali rivolgo un cordiale e fraterno saluto. Saluto anche la Delegazione ecumenica della Finlandia, gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa Cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano con il sostegno del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse, operante presso il Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Il libro del Deuteronomio immagina il popolo d’Israele accampato nelle pianure di Moab, sul punto di entrare nella Terra che Dio gli ha promesso. Qui Mosè, come padre premuroso e capo designato dal Signore, ripete la Legge al popolo, lo istruisce e gli ricorda che dovrà vivere con fedeltà e giustizia una volta che si sarà stabilito nella terra promessa.
Il brano che abbiamo appena ascoltato fornisce indicazioni su come celebrare le tre feste principali dell’anno: Pesach (Pasqua), Shavuot (Pentecoste), Sukkot (Tabernacoli). Ciascuna di queste feste richiama Israele alla gratitudine per i beni ricevuti da Dio. La celebrazione di una festa richiede la partecipazione di tutti. Nessuno può essere escluso: «Gioirai davanti al Signore, tuo Dio, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita che abiterà le tue città, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te» (Dt 16,11).
Per ogni festa, occorre compiere un pellegrinaggio «nel luogo che il Signore avrà scelto per stabilirvi il suo nome» (v. 2). Là, il fedele israelita deve porsi davanti a Dio. Nonostante ogni israelita sia stato schiavo in Egitto, senza alcun possesso personale, «nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote» (v. 16) e il dono di ciascuno sarà in misura della benedizione che il Signore gli avrà dato. Tutti riceveranno dunque la loro parte di ricchezza del paese e beneficeranno della bontà di Dio.
Non deve sorprenderci il fatto che il testo biblico passi dalla celebrazione delle tre feste principali alla nomina dei giudici. Le feste stesse esortano il popolo alla giustizia, ricordando l’uguaglianza fondamentale tra tutti i membri, tutti ugualmente dipendenti dalla misericordia divina, e invitando ciascuno a condividere con gli altri i beni ricevuti. Rendere onore e gloria al Signore nelle feste dell’anno va di pari passo con il rendere onore e giustizia al proprio vicino, soprattutto se debole e bisognoso.
I cristiani dell’Indonesia, riflettendo sulla scelta del tema per la presente Settimana di Preghiera, hanno deciso di ispirarsi a queste parole del Deuteronomio: «La giustizia e solo la giustizia seguirai» (16,20). In essi è viva la preoccupazione che la crescita economica del loro Paese, animata dalla logica della concorrenza, lasci molti nella povertà concedendo solo a pochi di arricchirsi grandemente. È a repentaglio l’armonia di una società in cui persone di diverse etnie, lingue e religioni vivono insieme, condividendo un senso di responsabilità reciproca.
Ma ciò non vale solo per l’Indonesia: questa situazione si riscontra nel resto del mondo. Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza. Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide.
San Paolo, scrivendo ai Romani, applica la stessa logica alla comunità cristiana: coloro che sono forti devono occuparsi dei deboli. Non è cristiano «compiacere noi stessi» (15,1). Seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo infatti sforzarci di edificare coloro che sono deboli. La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che reggono la famiglia cristiana.
Come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio. Anche tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi. È facile scordare l’uguaglianza fondamentale che esiste tra noi: che all’origine eravamo tutti schiavi del peccato e che il Signore ci ha salvati nel Battesimo, chiamandoci suoi figli. È facile pensare che la grazia spirituale donataci sia nostra proprietà, qualcosa che ci spetta e che ci appartiene. È possibile, inoltre, che i doni ricevuti da Dio ci rendano ciechi ai doni dispensati ad altri cristiani. È un grave peccato sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione. E come potremo allora entrare nel Regno promesso?
Il culto che si addice a quel Regno, il culto che la giustizia richiede, è una festa che comprende tutti, una festa in cui i doni ricevuti sono resi accessibili e condivisi. Per compiere i primi passi verso quella terra promessa che è la nostra unità, dobbiamo anzitutto riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane. Di conseguenza, sarà nostro desiderio partecipare ai doni altrui. Un popolo cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che conduce all’unità.

venerdì 18 gennaio 2019

ROGOREDO. EMOZIONI FORTI PER UNA VITA VUOTA


Don Mazzi su Rogoredo: «Questi ragazzi cercano emozioni forti perché la loro vita è vuota»

  «NOI ADULTI ABBIAMO FALLITO PERCHÉ LI ABBIAMO MESSI AL MONDO MA NON GLI ABBIAMO DATO RADICI».

Fanno il giro sul web le immagini agghiaccianti di due ragazzi che fumano eroina sulla metro gialla appena saliti alla fermata Rogoredo, alla periferia di Milano. Ragazzi che provenivano dal cosiddetto "Bosco della droga" perché di questo si tratta. Un punto di ritrovo del Nord Est di tutti coloro che consumano eroina. Don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus che effetto le fa?
«Per noi non esiste l’effetto del 13 o del 17 gennaio, è un fenomeno che conosciamo molto bene e si esprime in varie maniere. È esploso e dobbiamo smettere di parlare solo di Rogoredo ma tornare alla vita quotidiana sennò ripetiamo l’errore di Parco Lambro quando la droga da lì poi è andata in Stazione Centrale, per le strade, nelle piazze e nei sottopassi. Questa foto ci impressiona perché sono ragazzi mentre allora erano adulti, gente distrutta e disfatta. Questi sono giovani che hanno tutto a casa, non i disperati di 30 anni fa».
Lei è stato tra i primi a fare un salto a Rogoredo
«Quello che mi ha impressionato due mesi è che ho incontrato un ragazzo di 14 anni che andava a cercare lo spacciatore per prendere l’eroina a tre euro e farsi tutta la cerimonia. Voleva bucarsi, sentire quell’emozione che non gli danno le droghe chimiche di cui si è stufato. “Ed è inutile che ci insegnate che si muore” mi ha detto “lo sappiamo perfettamente e sono fatti nostri”. Aveva bisogno dell’emozione forte. Mi ha spiazzato che un quattordicenne mi tirasse fuori il vecchio rituale della siringa e del sangue perché deve provare lo sballo, visto che le droghe nuove ti mandano fuori di testa ma manca l’emozione forte. Questo mi diceva: “io vado, compro l’eroina, ho già la siringa, vado in un angolo e godo. Questo è il problema».
Che responsabilità abbiamo noi adulti?
«Di aver fatto dimenticare il passato ai nostri ragazzi, non gli dobbiamo insegnare come morivano una volta ma dare radici. Dove abbiamo buttato la cultura del passato? Gli adulti di oggi non hanno trasmesso la storia di ieri. Abbiamo dei ragazzi di 14 anni che non sanno niente di quello che è successo 15 anni fa. Questi sono ragazzi che nascono artificialmente. Invece noi siamo le radici dei nostri ragazzi, non quelle marce, ma quelle della storia anche positiva. Abbiamo tradito i nostri figli e non gli abbiamo dato le radici. Questo ragazzi di 14 anni veniva lì perché voleva emozioni. Punto».
Che risposte abbiamo noi adulti?
«Ieri la parte drammatica del Parco Lambro era drammatica perché drammatica era la vita; oggi il dramma di Rogoredo è che questi ragazzi vanno a cercare il dramma perché la vita è stupida. Quella era la droga che usciva dal dolore, dalla solitudine, dall’ingiustizia questa che esce dal capriccio o dal non sapere cos’è successo ieri. Oggi è l’eroina, domani potrebbe essere il suicidio. Mancano le motivazioni delle emozioni in giovani che non hanno radici, diventano grandi artificialmente attraverso la Tv, la scuola che non è scuola e compagnie che non sono di amici ma di persone con cui passare il tempo. Davanti a quel ragazzo di 14 anni mi sono sentito analfabeta. Spiazzato. Non abbiamo un progetto né strumenti. Perché non gli diamo motivazioni». 

da Famiglia Cristiana

giovedì 17 gennaio 2019

TutelAmi sempre - ABUSO dei MINORI: UN PROBLEMA TRAGICO e TRASVERSALE


Don Di Noto presenta la Giornata bambini vittime della violenza

L’abuso dei minori è un fenomeno globale, nella sola Europa sono circa 20 milioni i minori abusati. Intervista con don Fortunato Di Noto, presidente e fondatore di Meter


di Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

È incentrata sul tema “TutelAmi sempre” la XXIII Giornata dei bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza contro la pedofilia. L’iniziativa, che si concluderà a Piazza San Pietro il prossimo 5 maggio, alla Recita del Regina Coeli, è promossa dall’Associazione Meter. Su questo appuntamento, presentato ieri, si sofferma a Vatican News don Fortunato Di Noto, presidente e fondatore di Meter. (Ascolta l'intervista)
R. – “TutelAmi” è una parola composta: è la tutela attraverso l’amore. Noi siamo chiamati a svolgere un ruolo alla luce anche dell’appello del Santo Padre nella Lettera rivolta al Popolo di Dio (il 20 agosto scorso). Papa Francesco ha invitato tutti i battezzati. Certo, noi lo facciamo da 23 anni e questo significa che ogni anno, da 23 anni, siamo in Piazza San Pietro in comunione con la Chiesa, in comunione con il Santo Padre e soprattutto in una tensione, alla luce della preghiera e dell’ascolto della Parola di Dio, a operare concretamente nella società, dato che il fenomeno dell’abuso è un fenomeno globale, non certamente relegato solo alla Chiesa.
Quello degli abusi è un problema tragico e trasversale. Quali sono, in particolare, i dati, gli aspetti su cui oggi dobbiamo maggiormente riflettere?
R. – Non è possibile pensare o tollerare – questi sono dati mai smentiti – che solo in Europa ci sono 18-20 milioni di minori che sono stati abusati sessualmente. Se noi facessimo un rapporto uno a uno, significa che abbiamo quasi 20 milioni di abusatori solo in Europa. Dall’abuso non si guarisce. Ci si convive, si vive con l’abuso perché l’abuso fa morire una parte di sé.
In tutta Italia verrà diffusa una preghiera scritta dalle vittime di abuso del Centro ascolto e accoglienza di Meter
R. – Questo è qualcosa di bello, di profondamente intenso; è un’emozione che nasce nel rapporto filiale che anche le vittime hanno nei confronti del Padre, perché le vittime non hanno niente contro la Chiesa, se non solo quando i pastori non hanno ascoltato, non hanno aiutato, non hanno accompagnato. Non c’è odio contro la Chiesa, perché la Chiesa, per le vittime e per tutti noi, è una Madre che accoglie premurosa. Certo, poi a volte ci sono pastori – ahimé, mi dispiace dirlo, e non sono frasi mie ma dei Padri della Chiesa – che “spesso siedono su cattedre di pestilenza”. E’ una parola dura, però a volte è vero. Quella preghiera verrà diffusa in tutta Italia ma anche all’estero e milioni e milioni di persone pregheranno con quella preghiera, scritta direttamente dalle vittime di abusi sessuali. Questa veramente è una cosa che mi commuove: mi emoziona perché significa che siamo sulla buona strada. Siamo sulla buona strada perché si può fare molto e molto di più.
A proposito di buona strada e di cammini che si compiono, è stata annunciata ieri, dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, la creazione del Servizio nazionale per la tutela dei minori…
R. – È un servizio che deve essere seriamente organizzato e deve essere un servizio quotidiano e costante perché servire i bambini non è una moda ma un impegno permanente della Chiesa.

 
 

martedì 15 gennaio 2019

NORBERTO RAMELLA E' TORNATO ALLA CASA DEL PADRE


Norberto Ramella, prezioso maestro e amico, è tornato oggi alla casa del Padre. Aveva compiuto 93 anni.
Fede, cultura, impegno educativo e sociale,  generosità,  spirito di servizio, stile e competenza  scout, saggezza e sapienza lo hanno contraddistinto. 
Uomo di pensiero ed azione, sin da giovane impegnato in molteplici realtà di servizio civico, educativo, associativo, sempre dando il meglio di se stesso e divenendo punto di riferimento per giovani e meno giovani.
Molteplici le esperienze che lo hanno contraddistinto: insegnante di filosofia e poi preside, amministratore e vice sindaco di Piacenza, educatore scout, pioniere ed animatore del Settore Specializzazione dell'ASCI e dell'AGESCI ......
Il 15 dicembre del 1992 il Presidente della Repubblica gli conferì la medaglia d'oro come benemerito della scuola, della cultura e dell'arte.
Sempre pronto ad interagire lealmente e proficuamente con gli altri per costruire insieme il bene comune.
Lascia una profonda traccia in tutti coloro coi quali ha condiviso il cammino umano, professionale, cristiano e scout.
Il Signore lo accolga tra le sue paterne braccia e lo ricompensi per il grande bene svolto a favore di tutti.

Nelle foto: Norberto Ramella con Gigi Menozi e Giovanni Perrone nel 1974 e nel 2012 (Settore Specializzazioni)

 Da Elisabetta, Giovanni e Franco di Piacenza:
 Norberto è entrato da adulto nel movimento scout, coinvolto in quest'avventura da Gigi Menozzi. Insieme hanno creato e dato vita al Settore Specializzazioni nel 1967/1968.
Per decenni Norberto è stato il pedagogo del Settore, colui che ha definito l'aspetto educativo delle tecniche, che ha chiarito l'importanza delle specializzazioni nella crescita globale della persona, che ha evidenziato il ruolo delle tecniche nella metodologia scout. Se il nostro Settore ha acquisito la sua fisionomia in tutti questi anni, lo dobbiamo in buona parte a lui.
Norberto ha svolto il ruolo di capo campo innumerevoli volte, prima nei primi campi a Travazzano e poi a Spettine. E' stato membro della Pattuglia Nazionale del Settore fino a pochi anni fa.
E' stato il primo Responsabile della Zona di Piacenza dopo la nascita dell'Agesci, Maestro dei Novizi, Capoclan. Ha partecipato al Jamboree in Norvegia nel 1975.
Appassionato di filosofia e teologia, fuori dal mondo scout è stato prima di tutto un insegnante e poi preside nelle scuole superiori.
E' stato molto attivo in politica, prestando il suo servizio anche come Assessore e Vice Sindaco nel Comune di Piacenza.
E' stato Presidente e Consigliere Nazionale del Centro Sportivo Italiano, a conferma della sua volontà di stare sempre vicino ai giovani.
Chiediamo di pregare per lui, perchè continui a guidarci da lassù.

Leggi :IL NUOVO GIORNALE -PIACENZA 




Sono arrivate numerose testioninane. Ne pubblichiamo alcune.

Eugenio Garavini ( già Capo Scout AGESCI):  Un altro vero maestro di vita che viene a mancare!! A Spettine nei campi di spec. ho avuto il privilegio di averti come maestro!
Da Capo Scout ho ricordato sempre quei momenti che hanno contribuito a ciò che sono maturato! Grazie Norberto.
Virgilio Politi:  È uno delle tante persone significative incontrate nello scautismo di cui ho avuto l'onore della sua amicizia. Incontrato da esploratore in uno dei primi campi di Specializzazione a Spettine. Collaborato con lui e Gigi come Capo in anni successivi sempre a Spettine in tanti campi di Specializzazione. Un affettuoso ricordo e tanta gratitudine per quello che generosamente ha dato come educatore non solo nello scautismo.
Francesco Lo Mascolo E' triste sentire la notizia che un grande amico con cui si è condiviso un cammino é tornato alla Casa del Padre. Una persona che assieme a quelle persone che sono nella foto (Gigi e Giovanni) hanno scritto tanto sul Settore Specializzazioni e per il Settore, sia dal punto di vista metodologico che dal punto di vista psicopedagogico, dando contributi profondi alla valenza educativa delle tecniche  nello scoutismo e cercando sempre di trovare i Capi che rispondessero a quelle qualità essenziali per un buon trapasso nozioni. Ricordo solo che sono quelli che insieme, anche ad altri, hanno scritto il Manuale dei Capi Campo e dei Master, in cui oltre a dare una giusta e chiara configurazione delle qualità essenziali per essere Capi Campo e per essere dei Master hanno dato le idee di base per la struttura del Settore Specializzazioni e del suo, anche se potesse sembrare lento, sviluppo che mirava sempre alla qualità eccellente! Buona Strada Fratello sui sentieri del Cielo, che il Signore ti accolga fra le sue braccia e ti dia un posto vicino a Lui. Riposa in Pace e veglia come sempre su di noi per essere fedeli ai nostri ideali!!!
Sergio Cametti (già incaricato nazionale Branca E-G e Settore Specializzazioni):  Norberto è nato al Regno di Dio. Sta concordando con B.-P. su come aiutarci nel nostro servizio. Con quelle sue parole semplici e profonde e con l'amore per i ragazzi vissuto fin dal periodo dell'insegnamento.
Giovanni Perrone (già incaricato naz. Settore Specializzazioni) : Norberto, prezioso maestro e amico.  Il Signore mi ha dato la grazia di condividere con Lui (sin dal 1972) un lungo e significativo cammino nel Settore Specializzazioni dell'ASCI-Agesci. Grazie, carissimo Norberto! Grazie per la profonda traccia che hai lasciato in tutti coloro coi quali hai condiviso il cammino umano, professionale, cristiano e scout. Grazie per la lunga e leale amicizia condivisa e per quanto mi hai insegnato ed aiutato. E' stato bello fare strada con te!
Lucina Spaccia Grazie per la cura, la passione e l'impegno che ha sempre messo nel suo mandato educativo lungo...tutta una vita.

 


lunedì 14 gennaio 2019

MIGRANTI: AIUTARE GLI ALTRI IN OGNI CIRCOSTANZA


 “…il principio fondamentale della Legge Scout esclude risolutamente l'egoismo e spalanca la porta alla buona volontà ed al servizio verso il prossimo”


                          (Baden-Powell, da “La strada verso il successo”)

Come Federazione Italiana dello Scautismo siamo colpiti da quanto accaduto in queste ore - e, più in generale, in questa epoca - nei nostri mari e di fronte alle nostre coste.

Il servizio educativo rappresenta per noi da sempre una grande e bellissima sfida: amare i giovani, accompagnandoli nel loro percorso di crescita ad essere persone libere e felici. È una missione che viviamo accanto a ragazzi di ogni estrazione sociale, di ogni religione, di ogni provenienza geografica. È un servizio a cui rimaniamo fedeli e che gratuitamente continuiamo a portare avanti con il sorriso, perché “l’egoismo è la radice della tristezza”, scriveva il fondatore dello scoutismo Baden-Powell.

Le storie di disperazione che ci raggiungono attraverso i media, e ancora prima nella testimonianza dei tanti gruppi scout che vivono nei territori maggiormente coinvolti dai fenomeni migratori, ci sconvolgono per la loro drammaticità.

Di fronte a tutto questo ci sentiamo chiamati a ribadire la fedeltà alla nostra promessa scout, rinnovando l’impegno che da sempre cerchiamo di portare avanti come cittadini: aiutare in ogni modo possibile coloro che si trovano in uno stato di bisogno o in difficoltà. Senza nessuna volontà di appiattimento culturale, e senza temere le diversità.

Questo approccio non è né ideale né tantomeno ideologico, ma nasce dalla nostra concreta esperienza educativa e dall’adesione ad una vera fratellanza internazionale.

Ci siamo riconosciuti nell’invito rivolto alla nazione dal Presidente della Repubblica, di costruire “comunità di vita”: sono comunità di vita reale e fraterna quelle che sanno generare sogni nei bambini e nei ragazzi con cui quotidianamente ci confrontiamo.

Siamo adulti testimoni di come i giovani sappiano vivere con sincerità l’amicizia e la fratellanza internazionale: lo abbiamo potuto riconoscere ad esempio durante i “Jamboree”, incontri tra giovani scout provenienti da tutte le parti del mondo.

Crediamo che da paese a paese possa cambiare il colore della pelle, dei fazzolettoni che portiamo al collo, del credo religioso: a non cambiare è la convinzione che ad una vera e leale fratellanza non esista, per la nostra umanità, un’alternativa.

Per tutto questo, come Scout e cittadini, continueremo ad impegnarci per lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Vogliamo contribuire con il nostro servizio educativo ad essere sentinelle di speranza, affinché il nostro Paese senta propria la sfida di avere uno sguardo coraggioso per trasformare in opportunità di rinnovata umanità ciò che oggi la paura fa apparire come un problema.
  
Federazione Italiana dello Scautismo

mercoledì 9 gennaio 2019

LO SCAUTISMO? UNA PREZIOSA RISORSA PER L'EDUCAZIONE!

Sono acquattato dietro un masso pieno di muschio, attorno a me ci sono foglie cadute da poco e la luce di una bella giornata di sole filtra tra i rami. Guardo in alto per vedere se arriva qualcuno, il sasso è in fondo ad una discesa e ci sono arrivato seguendo un altro bambino più grande di me. Stiamo giocando ad Alce Rossa, non ci ho mai giocato prima e mi piace tantissimo, si tiene un cartellino con un numero sulla fronte e bisogna nascondersi e allo stesso tempo attaccare per scoprire i numeri sulla fronte degli altri bambini per conquistarli. Quando il gioco finisce risalgo la discesa e mi riunisco con gli altri bambini che hanno giocato con me, tutti assieme ci mettiamo in cerchio su un prato verde.

Questo è il primo ricordo che porto con me legato alla mia vita all’interno degli scout. Per chi non lo sapesse lo scautismo è un movimento educativo per i giovani basato sull’educazione ai valori, sulla vita all’aria aperta, sullo sviluppo del lato pratico e sul volontariato. Esiste da un centinaio di anni ed è il più grande movimento giovanile che esista. Potrei sprecarmi a dire che è molto di più che far attraversare la strada alle vecchiette elencandovi le migliaia di cose che vengono fatte agli scout, ma sono sicuro di potervi convincere anche solo continuandovi a parlare di quel ricordo di quando avevo otto anni. È un ricordo semplice, fatto di pochi elementi: il sasso, le foglie, la luce, il bambino più grande, eppure allo stesso tempo è un ricordo ricco: ogni elemento è chiaro, so ancora oggi dove si trova quel sasso, so esattamente nome e cognome di quel bambino più grande, ricordo tantissimi dei volti dei bambini che avevano giocato con me. La cosa più interessante ancora è che questo ricordo me lo porto dietro inconsapevolmente da quasi vent’anni e non ne avevo mai ripassato i dettagli. Quando ho iniziato a scrivere questo articolo i dettagli sono arrivati da soli, assieme alle emozioni associate al ricordo.
Il ricordo corrisponde alla prima uscita, caccia in termini scout, che ho fatto quando sono entrato dai Lupetti (la fascia d’età più piccola all’interno degli scout, le altre sono Esploratori e Rover). Da allora sono passati quasi vent’anni e dagli scout non me ne sono mai andato, adesso faccio il capo e mi impegno in tante piccole e grandi cose per l’associazione di cui faccio parte. In questi vent’anni ho accumulato un numero di ricordi che non riesco a contare, in ogni anno riesco a collocare qualcosa da piccoli scampoli di immagini a intere giornate.
Da un po’ di tempo a questa parte ho iniziato a pormi domande profonde su questa mia parte di vita, raccolgo i vari ricordi e li rielaboro secondo diversi punti di vista, cerco di capire cosa essere scout mi abbia lasciato in profondità, cerco di capire in cosa mi abbia cambiato. La domanda forse più interessante che mi sono posto nell’ultimo periodo è stata: perché lo scautismo mi ha cambiato? Sono sicuro che non sarei quello che sono senza lo scautismo eppure fino a poco tempo fa non ero riuscito a capire come mai mi avesse cambiato in profondità. In altre parole: perché lo scautismo cambia le persone?
Partendo da questa domanda ho iniziato a fare un confronto: quanti ricordi ho degli scout e quanti del resto della vita? Sicuramente del resto della vita ne ho di più, ma considerato che nel corso di una settimana il tempo dedicato agli scout è una mezza giornata in media, resta ancora assurdo quanti siano i miei ricordi scout. In particolare se qualcuno dovesse chiedermi cosa ho fatto in una particolare settimana d’estate dei miei 10 anni gli risponderei di sicuro vagamente, ma se invece mi chiedesse cosa ho fatto alle mie vacanze di Branco (il campo scout estivo dei lupetti che dura sette giorni) della stessa estate saprei ancora elencare almeno un’attività al giorno. A questo punto posso certamente dire: lo scautismo mi ha cambiato perché è riuscito a lasciarmi un quantitativo enorme di ricordi ed esperienze indelebili.
La mia curiosità a questo punto però non è ancora soddisfatta infatti mi spinge a chiedermi: perché mi sono rimasti tutti questi ricordi? Non è naturale no? La risposta che mi sono dato a questo punto è legata strettamente al come le cose vengono fatte agli scout, cosa che ho imparato solamente quando sono diventato capo e che prima avevo vissuto inconsapevolmente.
Nelle attività che vengono organizzate per le ragazze e i ragazzi difficilmente viene ripetuta due volte una stessa esperienza, ogni volta c’è qualcosa di nuovo, ogni volta c’è qualcosa che stimola il cervello a sforzarsi di catturare i dettagli di quello che succede. Le esperienze che vengono vissute agli scout inoltre tendono ad essere incredibilmente intense e forti perché coinvolgono i ragazzi e le ragazze in ciò che per loro è più importante: ci sono le sfide, c’è la meraviglia di scoprire la natura, ci sono le interazioni con i coetanei, c’è la presenza dei capi come esempio... Tutto questo insieme di particolari piccole e grandi esperienze contribuisce a far collezionare ricordi che poi in futuro potranno tornare utili perché abbiamo inconsapevolmente sentito di aver imparato qualcosa. Questa è una regola che vale in generale ovviamente, le cose che impariamo su noi stessi e su come agire nella vita le possiamo utilizzare consapevolmente solamente se ce le ricordiamo. Il successo dello scautismo quindi sta tutto nell’offrirti tante esperienze indimenticabili. Esperienze che spiccano nella monotonia della vita di tutti i giorni come le più belle vacanze. Un bravo capo poi ci mette del suo e di solito fra quei ricordi riesce a nascondere un messaggio positivo, un piccolo trucco pratico, un aggancio per la crescita dei ragazzi e delle ragazze. L’educazione agli scout funziona perché le cose che si imparano, che sono moltissime, si trasformano in ricordi positivi molto facilmente. Ovviamente lo scautismo non è infallibile, ci sono i cattivi ricordi ad ostacolare l’educazione, ci sono le attività mal riuscite che non saranno indelebili, ci saranno i cattivi esempi. La grande responsabilità dei capi sta nell’accettare che dovranno riuscire a generare molti e più forti ricordi positivi e il minor numero possibile di ricordi negativi.
Mentre scrivevo questo articolo mi sono venuti alla memoria almeno un altro centinaio di momenti del passato agli scout e non, momenti di scout da giovane e momenti da scout da capo, momenti a scuola e momenti di vita quotidiana. Dover confrontare ancora una volta questi ricordi tra loro mi ha emozionato un bel po’ e mi ha convinto ancora di più della mia tesi: lo scautismo funziona, dannatamente bene.