mercoledì 27 febbraio 2019

RAGAZZI FUORI: MAFIA, GENITORI, FIGLI, SCUOLA, SOCIETA'

La ‘ndrangheta, i ragazzi e il loro futuro. 

Come restituire ai figli dei boss una vita libera e armoniosa? 

Intervista al Presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella.

Intervista a cura di Vincenzo Sanfilippo

Roberto Di Bella è il Presidente del Tribunale per i minori di Reggio Calabria. Ha adottato, in diverse circostanze, misure di sospensione della responsabilità genitoriale per allontanare i figli dai boss della ‘ndrangheta. Vive, da allora, sotto scorta e il suo operato apre un forte dibattito. 
Ci sono “ponti” che legano un’istanza etica come quella della nonviolenza e l’operare di un magistrato che lavora con minorenni, ponendosi il problema della loro libertà. Le mafie sono violente anche perché, nel plasmare le personalità dei minori, annullano per loro la possibilità di una vita libera e armoniosa. L’essersi imbattuto con questo dato, lo ha condotto alle pratiche di allontanamento di alcuni minori dalle famiglie mafiose... 
Io svolgo il ruolo di giudice minorile dal 1993. Ho lavorato quasi ininterrottamente presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Questa lunga esperienza mi ha consentito un’osservazione privilegiata. Dal 1993 abbiamo trattato più di 100 procedimenti per reati di criminalità organizzata, più di 50 per omicidio o tentato omicidio, reati commessi da minorenni appartenenti alle famiglie di ‘ndrangheta che adesso, da adulti, si trovano sottoposti al regime del 41 bis, o sono latitanti, o sono stati uccisi nel corso delle faide locali. Abbiamo giudicato minori coinvolti in sequestri di persona, che hanno trattato partite di droga o esercitato il racket o sono stati coinvolti nelle faide; in un caso abbiamo giudicato un minore autore di sei omicidi. Oggi ci troviamo a giudicare i figli di coloro che erano processati negli anni Novanta, tutti appartenenti alle stesse famiglie: stessi cognomi, stessi reati. La cultura di ‘ndrangheta si eredita dalle famiglie. Le famiglie di ‘ndrangheta mantengono il potere con l’indottrinamento malavitoso sistematico dei figli minori. Da qui l’esigenza di modificare l’orientamento giurisprudenziale, per censurare il modello educativo mafioso che mette a repentaglio il corretto sviluppo psicofisico dei minori. Dal 2012 stiamo adottando procedimenti civili di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale e, nei casi più gravi, l’allontanamento dei minori dal nucleo familiare. Procedimenti che vengono adottati “caso per caso”, mai in via preventiva: non si allontana il minore perché la famiglia è mafiosa. Queste misure vogliono assicurare adeguate tutele per una regolare crescita psico-fisica e nel contempo offrire chance di orizzonti culturali e  affettivi diversi da quelli del contesto di provenienza. 
In sostanza, attraverso l’ausilio di operatori sociali e volontari come quelli di Libera, cerchiamo di far vedere a questi ragazzi che esiste un mondo diverso in cui la violenza e l’omicidio non sono lo strumento ordinario di risoluzione dei conflitti, dove vi è parità di diritti tra uomini e donne, dove le scelte, anche quelle più intime, come i matrimoni, non devono essere imposti dalle famiglie per suggellare sodalizi malavitosi, ma dai dettami dei sentimenti. Cerchiamo di far capire che il carcere non è una medaglia da appuntare sul petto e da esibire ai capi, ma un luogo da evitare a tutti i costi, un cimitero vivente. Spesso la possibilità di scegliere alternative alla ‘ndrangheta non si contempla, perché non si sa che esiste un’alternativa. Pensiamo a un ragazzo proveniente da un piccolo paese della Calabria, nella cui famiglia ci sono soggetti malavitosi, dove il nonno è stato ucciso, il padre è in carcere, i fratelli sono latitanti… In casi come questo la cultura di ‘ndrangheta non è percepita come disvalore ed è intrinseca alla cultura familiare. 
Quando si parla di prevenzione si fa riferimento alle strutture di intelligence, dimenticando l’importanza della rete sociale. Nella faida di San Luca, sfociata nella strage di Duisburg, alcune famiglie non mandarono più i figli a scuola per paura di ritorsioni e queste vistose assenze non furono segnalate dagli istituti scolastici. 
È vero, le famiglie contrapposte non mandarono i figli a scuola per un lungo periodo di tempo per il timore di ritorsioni. Lo abbiamo saputo, nel corso del processo alcuni anni dopo. Noi interveniamo su situazioni che sono già patologiche. La prevenzione primaria spetta alla scuola e le agenzie alternative alla famiglia. Se nel mezzogiorno d’Italia esiste una cultura diffusa del malaffare, se oggi ci sono le stesse organizzazioni criminali da quasi un secolo… tutto ciò vuol dire che la scuola ha fallito. La scuola è il primo momento di contatto del minore con la società e primo momento di assunzione di responsabilità del bambino: nella scuola ci si confronta con la realtà esterna alla famiglia. A scuola vanno tutti: il figlio del poliziotto e il figlio del boss. La nostra Costituzione o la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, del 1989, affermano che la scuola ha compiti precisi, come quello di educare il fanciullo al rispetto dei diritti fondamentali di libertà dell’individuo. L’educazione scolastica deve tendere a far diventare il fanciullo un membro utile della società e a sviluppare il suo senso di responsabilità. Se questo non accade vuol dire che anche la scuola ha delle responsabilità. Anche le politiche sociali sui territori sono inadeguate. Qui a Reggio, su 98 comuni la metà non ha servizio sociale. Fino a qualche tempo fa non esisteva nessun centro di educazione culturale; di recente Save the Children ha istituito un “Punto luce”. Bisogna recuperare culturalmente questi territori di frontiera. La sconfitta della povertà educativa dovrebbe diventare una priorità di tutti gli amministratori pubblici. Intervenendo sul versante culturale, si prosciuga il bacino su cui si riproduce il modello mafioso. .....

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mercoledì 20 febbraio 2019

110 ANNI FA LE PRIME GUIDE!

Messaggio della Capo Guida e del Capo Scout d’Italia

Care a cari coccinelle e lupetti, guide e esploratori, scolte e rover, capo e capi,
è trascorso più di un secolo… sono passati 110 anni da quando alcune ragazze, che partecipavano a un raduno di fratelli e amici scout, si recarono da Baden-Powell ed espressero il desiderio di vivere anche loro un’esperienza uguale. Nacquero così le guide!
Immaginiamo che cosa deve essere stato per quelle ragazze conoscere personalmente B.-P., noi che invece oggi possiamo soltanto leggere i suoi libri o guardarlo in rari video in bianco e nero. Di lui però sappiamo che è stato un capo degno di essere ascoltato e di cui seguire l’esempio. Proprio B.-P. ci ha insegnato che “nessun insegnamento vale quanto l’esempio.
Il tema della “Giornata del Pensiero” di quest’anno è la leadership. E’ una parola che noi usiamo poco. Usiamo più spesso la parola “capo”: capo sestiglia, capo squadriglia, capo reparto, capo fuoco, capo Gruppo… a tutti noi può succedere di diventare un giorno un capo, un leader.
Quali sono le sue caratteristiche, che cosa deve sapere fare?
Nello scautismo e nel guidismo, un leader è chi si pone in atteggiamento di ascolto, sa prendersi responsabilità, si interessa agli altri, è in grado di generare legami positivi tra le persone e sa creare un bel clima nel Gruppo, perché ciascuno si senta apprezzato e valorizzato e perché, tutti insieme, si raggiunga l’obiettivo scelto.
Gesù ci ha insegnato che “chi vuol essere il primo, si faccia il servo di tutti” e di se stesso ha detto: “io sono in mezzo a voi come colui che serve”.  E’ nel servizio, nell’aiutare gli altri in ogni circostanza che possiamo esprimere al meglio la nostra leadership: essere attenti a un fratellino o a una sorellina che non riesce a giocare, fare in modo che nell’impresa ogni guida e ogni esploratore abbia il proprio ruolo e il proprio compito, aiutare i propri amici rover e scolte nella scelta degli impegni nel proprio punto della strada. 
Lo scautismo ci pone davanti i valori di Legge e Promessa che mai dobbiamo dimenticare o mettere in secondo piano: sono lo specchio attraverso il quale ciascuno di noi si deve guardare in trasparenza. Questi valori sono quanto mai attuali nel nostro tempo e quotidianamente devono guidare i nostri gesti, anche quelli piccoli ed apparentemente insignificanti.
In questi giorni, in cui molti Gruppi saranno impegnati nelle attività della “Giornata del Pensiero”, il Thinking Day 2019, vi proponiamo un gioco: provate a cercare esempi di leader carismatici, persone belle e significative del nostro tempo, provate a capire le loro virtù, a scoprire come hanno vissuto e che cosa hanno portato nelle loro comunità. Possiamo scavare nella memoria del passato o possiamo rivolgerci al nostro tempo. Che cosa possiamo imparare da loro? Sono persone che sono state capaci di lasciare il nostro mondo un po’ migliore di come lo hanno trovato.
Noi oggi pensiamo a Liliana Segre, nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. Quando racconta di sé, con atteggiamento mite, fermo e deciso, Liliana Segre si rivolge soprattutto alle giovani generazioni. La narrazione della sua storia, bambina di origine ebrea, cittadina italiana, prima emarginata, espulsa dalla scuola, poi privata della libertà e infine deportata nei campi di concentramento, ci invita a essere sentinelle dell’oggi per evitare che una pagina così tragica dell’umanità possa essere dimenticata o, peggio, ritornare.
A tutti l’augurio di vivere le attività della “Giornata del Pensiero 2019” con la consapevolezza di poter aiutare, attraverso la tradizionale raccolta del penny, lo sviluppo dello scautismo lontano -in particolare del guidismo e dello scautismo femminile- in quelle aree del mondo dove le donne ancora non riescono, nonostante i loro sforzi, a portare quel contributo così incisivo e speciale che sarebbero in grado di donare per il bene comune.
Buon volo, buona caccia e buona strada!
Donatella Mela e Fabrizio Coccetti
La Capo Guida d’Italia e Il Capo Scout d’Italia

COSTRUIRE L'UNIONE EUROPEA, DOVERE DI OGNI CITTADINO

APPELLO DEI VESCOVI EUROPEI


di Sarah Numico

La Commissione degli episcopati della Comunità europea  (COMECE) diffonde un testo che guarda alle elezioni del 23-26 maggio. Il sostegno della Chiesa alla "casa comune", anche se "non è perfetta". La persona al centro della politica. Le riforme necessarie e alcuni  temi-chiave: famiglia, migrazioni, sviluppo, diritti.
Un invito, forte, convinto e deciso, a sostenere il processo di integrazione europea anche attraverso l’importante momento elettorale del 23-26 maggio. Con un messaggio della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità europea, i cristiani sono interpellati per la costruzione di un bene comune che vada al di là degli interessi particolari e nazionali. “Rivolgiamo un appello a tutti i cittadini, giovani e anziani, perché votino e si impegnino durante il periodo pre-elettorale e alle elezioni europee”. Il messaggio arriva a 100 giorni dal voto per il rinnovo del Parlamento europeo ed è intitolato “Ricostruire comunità in Europa” (“Rebuilding community in Europe”).
Evitare lo sguardo ripiegato. Il voto dei cittadini, chiamati alla “responsabilità” politica, scrive la Comece, presieduta da mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, “condizionerà decisioni politiche che avranno conseguenze tangibili sulla nostra vita quotidiana per i prossimi cinque anni”. È da “più di duemila anni” che la Chiesa cattolica “partecipa alla costruzione europea”, in particolare “con la sua Dottrina sociale”. E quindi, i vescovi si rivolgono proprio ai cittadini europei in questa fase che precede le elezioni per il rinnovo del Parlamento: se “l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha aperto un ampio ventaglio di nuove possibilità”, dieci anni fa, oggi sembra dominare un “atteggiamento meno ottimistico”. Si impongono dunque necessarie “scelte politiche” che portino a “una rinnovata fratellanza” e “rilancino il progetto europeo”. Fondamentale è che “i credenti e tutte le persone di buona volontà” vadano a votare, “senza cadere nella tentazione di uno sguardo ripiegato” e che “esercitino i loro diritti guardando alla costruzione dell’Europa”.
“Non è perfetta…”. Manifestando le proprie opinioni politiche, ogni persona potrà “orientare l’Unione” – che “non è perfetta” – là dove vogliono che vada. Oggi serve “una nuova narrativa di speranza che coinvolga i cittadini in progetti percepiti come più inclusivi e al servizio del bene comune”, indicano i vescovi. Occorre però innanzitutto l’espressione del voto, perché “ogni voto conta” nello scegliere persone che da maggio in poi “rappresenteranno le nostre opinioni politiche”. E occorrerà che, dopo le elezioni, i cittadini “in modo democratico monitorino e accompagnino il processo politico”.
Campagna elettorale. Guardando al futuro prossimo dell’Ue i vescovi affermano che i cittadini e le istituzioni Ue avranno bisogno di “spirito di responsabilità” per “lavorare insieme per un comune destino”, “superando divisioni, disinformazione e strumentalizzazione politica”. Il riferimento dei vescovi Comece nel loro documento è alla campagna elettorale, che dovrà concentrarsi sulle “politiche Ue” e su come i candidati “sapranno elaborarle e concretizzarle”. L’auspicio è che si “presentino le differenti visioni” evitando “sterili contrasti”.
La questione migratoria. Qualità necessarie per “coloro che vorranno assumersi un mandato a livello Ue” sono “integrità, competenza, leadership e impegno per il bene comune”. I vescovi indicano inoltre alcuni temi che stanno loro particolarmente a cuore: “l’economia sociale”, politiche per ridurre la povertà, basate sul principio per cui “ciò che funziona per i meno fortunati, funziona per tutti”, insieme a “un rinnovato sforzo per trovare soluzioni efficaci e condivise su migrazioni, asilo e integrazione”. A questo riguardo due le sottolineature: l’integrazione “non riguarda solo le persone che entrano nell’Ue”, ma “anche i cittadini Ue che si spostano in un Paese diverso dal loro”, quindi la questione di fondo è “come accogliersi meglio gli uni gli altri in Europa?”. In secondo luogo, i temi della migrazione e dell’asilo non sono a sé stanti, ma sono legati ai temi della “solidarietà, a una prospettiva centrata sulla persona, a politiche economiche e demografiche efficaci”.

Ambiente, pace, diritti. “Votare in queste elezioni significa anche assumersi la responsabilità per il ruolo unico dell’Europa a livello globale. Il bene comune è più grande dell’Europa”, si legge nel messaggio Comece. “Ad esempio, l’attenzione per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile – scrivono i vescovi europei – non possono essere limitati ai confini dell’Ue e i risultati elettorali avranno un impatto sulle decisioni che riguardano l’intera umanità”. Una “Unione forte sulla scena internazionale è anche necessaria per la promozione e la protezione dei diritti umani in tutti i settori e per un solido contributo dell’Ue come attore multilaterale per la pace e la giustizia economica”. Dopo aver citato un intervento di Papa Francesco sul futuro dell’Europa, il documento prosegue così: “Le elezioni potrebbero essere solo un primo passo, ma il più necessario”. “Chiediamo a tutti i cittadini, giovani e meno giovani, di votare e impegnarsi” in vista del voto. Il documento conclude: “Il voto non è solo un diritto e un dovere, ma un’opportunità per plasmare concretamente la costruzione europea”.

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